Data: 31/12/2002 - Anno: 8 - Numero: 4 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Suonava i piatti nella banda del maestro Vaccaro, mastro Cosimo u scarpru, procurandosi con la saltuaria attivit di musicante le poche lire necessarie per pagare laffitto di casa e per acquistare sale, zucchero, fiammiferi e poche altre cose non producibili dal mondo agricolo e artigiano locale. Al resto, a tutto quanto serviva per lalimentazione della numerosa famiglia, e anche a parte del vestiario occorrente, provvedeva con il mestiere di calzolaio, che raramente gli procurava denaro contante, ma che gli assicurava, in unimperante economia di scambio, olio, grano, fagioli, ortaggi vari e frutta di stagione. Non era un calzolaio rifinito mastro Cosimo; non era andato a Napoli a imparare il mestiere, come avevano fatto, invece, numerosi altri artigiani del luogo; ma aveva un buon numero di clienti, quasi tutti contadini, con qualche artigiano ed anche un paio di professionisti. Alle sue prestazioni ricorreva anche uno dei quattro parroci del paese, don Pasquale, claudicante, con la mania, forse compensatoria, di calzare una scarpa che, piegandosi e ristendendosi nel cammino, emettesse un particolare strido del cuoio, conosciuto come cichi-cichi: una delle licenze, non tutte pulite, che si permetteva il non ancora anziano parroco. E mastro Cosimo era veramente maestro nel realizzare questo suo curioso desiderio. La banda del maestro Vaccaro, lunica, peraltro, nel paese, veniva chiamata a rendere musicali le processioni di tutte le feste religiose del borgo, che non erano poche: le pi importanti quelle della Settimana Santa, gioved sabato e domenica, e quelle dellAssunta, dellImmacolata e di SantAntonio; seguivano le feste di SantAndrea Avellino, di Santa Caterina dAlessandria, del Rosario, della Provvidenza, di San Vincenzo, di San Rocco, del Corpus Domini Ma la banda andava talvolta anche in trasferta nei paesi vicini: una buona occasione per i musicanti di portare a casa qualche lira in pi. Per cui mastro Cosimo non mancava mai, n alle feste paesane n a quelle fuori paese. La banda fu chiamata un anno a suonare per la festa di San Pantaleone, in un paese non molto lontano. Alla fine della festa, com usanza un po in tutti paesi del Sud, i musicanti, sudati e stanchi, sono stati invitati dal parroco in canonica per consumare uno spuntino e bere un buon bicchiere di vino. E, come spesso accadeva, fu festa un po per tutti, che non disdegnavano di bagnarsi e ribagnarsi la gola con il succo duva; ma fu festa soprattutto per il nostro Cosimo, che aveva una predilezione particolare per il vino buono. A fargli piacevole e pressante compagnia, nella mezzora di riposo prima della partenza, il suonatore della grancassa della fanfara locali, presente con tutti i suoi membri, sudati e spossati anche loro al termine della processione. massru Panti mangi e bevve quanto e pi di mastro Cosimo, che non bevve poco. I due, attratti da strana e reciproca simpatia, bevvero con volutt, guardandosi spesso negli occhi come se dovessero leggervi dentro qualcosa di inespresso e di celato. Con il rientro della banda fin la festa di San Pantaleone, ma cominci unintima amicizia tra mastro Cosimo e massru Panti, che venne spesso a Badolato a far visita allamico calzolaio-musicante. Lavvicinamento riceveva impulso dalla propensione dellartigiano per il ceto agro-pastorale, quasi a porsi da cerniera sociale tra la gente della terra e il pi evoluto mondo della borghesia; li accomunava sempre di pi luso eccessivo e quasi smodato del vino, non solo nellora dei pasti; li esaltava lebbrezza che provavano quando, di tanto in tanto, sinoltravano maestro il suonatore di tamburo e promettente discepolo il suonatore di piatti- nei proibiti sentieri della magia. Di massru Panti, nonostante vivesse a continuo contatto con le pecore e dedicasse il suo tempo a far ricotte e formaggio, erano ben note le straordinarie capacit di magru, e gli incredibili risultati della sua magia erano conosciuti oltre i confini del suo paese. Lesito pi grosso lo incass fece andare anzitempo al Creatore un nobilotto di un paese vicino, contro cui , inferocito per un grave torto subito direttamente in famiglia, us tutto il suo malefico potere. Si parl subito, da quelle parti, di magia nera, ma la conferma venne qualche anno dopo, quando nel palazzo di campagna della vittima, in un angolo scuro e abbandonato fu trovata una sua fotografia trapassata da sessanta spilli, tanti quanti gli anni bruscamente troncati. Ma ci fu pure chi parl con sicurezza di naturale e prevedibile toccu perch don Casimiro era da lungo tempo affetto da alterazione circolatoria cerebrale. Ma se massru Panti era capace di temibili fatture per procurare malanni, di contro eccelleva nellapprontare misture strane finalizzate a stimolare amori tra giovani, ricongiungimenti tra sposi separati, pacificamenti tra nemici. Alla scuola di un maestro cos bravo, mastro Cosimo impar ben presto il mestiere, divenendo il pi richiesto tra i magri del paese. Scopr persino, col tempo, di avere capacit medianiche, per cui, a richiesta di oli amici intimi e di sicura fede, organizz spesso sedute spiritiche, alle quali invitava immancabilmente il suo maestro. E i tavoli ballavano. E le voci dei trapassati, anche se si facevano quasi sempre attendere, arrivavano. Un pomeriggio dautunno inoltrato, massru Panti, secondo accordi presi in precedenza, arriv a Badolato, a bordo di uno sgangherato calesse tirato a stendo da un malconcio ronzino. Parcheggi ahru chjanu de carra e prosegu a piedi sino a casa di mastro Cosimo, con il quale labbraccio fu s caloroso come al solito, ma meno chiassoso e meno plateale, quasi che la circostanza richiedesse discrezione, compostezza, seriet. Quanto i due stavano preparando, difatti, costituiva loperazione pi importante della loro carriera di maghi. Si recarono presto in piazza dove acquistarono una scatola di fiammiferi, tre lumini dei morti, sette candele steariche, tre etti di carne di agnello, tre aghi per trapunta. Rientrati a casa si recarono al pollaio di mastro Cosimo nei pressi della chiesa dellImmacolata, uccisero tre pollastrelle bianche e ne estrassero i cuori, gettando il resto alle volpi che non mancavano nella zona. Al catju del calzolaio fu riempito un fiasco di tre litri di vino. Tutto secondo le prescrizioni del vecchio libro che massru Panti aveva portato con s nella capiente crapra della giacca: tre come le Persone della Santissima Trinit; sette come i giorni della creazione, i sacramenti istituiti da Ges, i vizi capitali, le opere di misericordia corporale, le opere di misericordia spirituale. Il bianco quale simbolo di purezza. Era venerd, e la luna piena illuminava quasi a giorno il vecchio paese addormentato: venerd come il giorno della morte di Cristo, e la luna piena simbolo di luce e di pienezza. La pietra del diavolo non distava dal paese pi di un quarto dora di strada. Quando mancava mezzora alla mezzanotte i due, con in un sacchetto tutto loccorrente per il rito, avvolto in una candida tovaglia, lasciarono la casa e savviarono gi per la discesa dellImmacolata sino al Vod, e poi su verso Crsima per il viscido e scivoloso viottolo di argilla che porta a Polju. E poi ancora gi sino allangusta valle dove lenigmatica enorme pietra, con incisi i segni del mistero, giace ormai da millenni. Mancava poco alla mezzanotte, e i due saffrettarono a preparare laltare. Stesero sulla grande pietra la bianca tovaglia e vi sistemarono simmetricamente gli oggetti rituali: al centro un piatto di ceramica bianca con dentro i tre etti di agnello e i tre cuori di pollastre bianche infilzati dai tre aghi per trapunta; intorno i tre lumini, accesi; allesterno le sette candele, anchesse accese. Mancava solo un minuto alla mezzanotte: di l a poco la magica pietra si sarebbe spostata per incanto liberando il tesoro che aveva nascosto per millenni. Mancava soltanto la formula magica. Mastro Cosimo a pagina settantasette il vecchio libro e massru Panti cominci a leggere: MUTUS DEDIT NOMEN COCIS ET TESAURUM NOBIS DEDIT Era mezzanotte. La pietra non si spost. Dimprovviso la luna fu oscurata da grossi nuvoloni; la setta di un fulmine squarci il cielo e un grosso tuono risuon paurosamente nella valle turbando la pace della notte. Dalle tenebre sbuc un enorme cane ringhioso, che mise in fuga i due magri e divor i cuori dei polli e la carne dagnello. ***** Lindomani mattina, Peppi u vuru, mentre si recava a Trisolri per labituale giornata con le sue mucche, scorse due esseri viventi che tentavano inutilmente di venire fuori da un profondo pantano di marna disciolta nellacqua piovana: vi erano finiti, lerci e irriconoscibili, mastro Cosimo u scarpru e il suo amico e maestro massru Panti.
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