è naturale che la morte di una persona cara provochi grande dolore che si manifesta in afflizione e pianto.
Un pianto che tempo fa, non solo non veniva contenuto, ma esplodeva in scene di disperazione; si piangeva raccontando i momenti più significativi dei rapporti con lestinto quando era in vita, dellaffetto che lo legava alla famiglia, mentre gli amici più stretti, commossi, consolavano i piangenti.
Se si trattava della morte del marito, la moglie si scioglieva le trecce, e piangendo ogni tanto si strappava un ciuffo di capelli e li deponeva nella bara, dimostrando così a tutti il suo grande dolore: poi ognuno fuori commentava.
Quando, invece, moriva la moglie, il marito di solito non piangeva. Se capitava che piangesse, e poi nel giro di pochi mesi si trovasse la fidanzata, come spesso avveniva, le donne del vicinato commentavano: Questo era quello che piangeva! E laltra: Non ha perso tempo a consolarsi! E se la futura moglie abitava sulla via che portava in chiesa o al cimitero dicevano: Di sicuro gli sarà venuta in mente al ritorno dal funerale. E laltra ancora: Di certo non avrà dormito la notte! Ma cera sempre qualcuno che aveva una parola buona: Prima o poi doveva farlo, meglio prima che poi.
U trìvolu, però, consisteva nel lamento di donne, amiche conoscenti o vicine di casa che raccontavano episodi della vita trascorsa a stretto contatto col morto, della loro amicizia, del rispetto reciproco; quando finiva una iniziava unaltra; durante questi momenti i familiari dovevano smettere di piangere per permettere ai presenti di ascoltare: il racconto lamentoso di questi ricordi onorava la memoria del defunto; e chi gli faceva trìvolu era come se gli offrisse una corona di fiori; non fiori, dunque, ma u trìvolu.
Da tempo u trìvolu è scomparso, e a poco a poco nemmeno scene tragiche si fanno più, son cambiati i tempi, è cambiata la mentalità delle persone, certo non è cambiato il sentimento del dolore per la perdita di una persona cara, ma senza rimembranza alcuna, senza una parola, senza una lacrima.