Data: 31/12/2002 - Anno: 8 - Numero: 4 - Pagina: 23 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Raffaella Boccacciari (Altri articoli dell'autore)
Che bella festa il Natale! La sento mia da sempre, la vivo con gioia e religiosità. Durante i giorni che la precedono, mi sento pervasa da una serenità interiore, dal desiderio di chiamare a raccolta le persone a me più care, intorno a un desco imbandito con candidi lini. In un tepore tutto familiare ovattato di luci, di candele colorate, di acre odore di resina che emana dall’albero natalizio, sapientemente adornato da mani amorose. Fin da bambina. Accompagnata da mia nonna, mi piaceva respirare l’aria di festa che offriva la città per l’occasione. Ammiravo con stupore le vetrine della “Rinascente” ricolme di bambole e giocattoli di ogni specie. Si spandeva intorno l’aroma di mandorle tostate proveniente dalla bancarella dove mi piaceva soffermarmi a guardare il venditore che, con maestria, lavorava una massa di zucchero caramellato facendola roteare intorno ad un gancio d’acciaio per poi foggiare i gustosi Bomboloni, pronti da consumare ancora tiepidi. Anche da sposata, in questo periodo dell’anno, la mia famigliola si spostava nelle strade del centro storico per visitare i Presepi artistici napoletani e ammirare l’artigianato pastorale di San Gregorio Armeno e San Biagio dei librai. Era un modo piacevole e interessante per insegnare ai nostri bambini che, un giorno lontano, Nostro Signore venne al mondo per redimere i cattivi e portare un messaggio d’amore e di pace. Ma il tempo come vola! I nostri figli sono tutti sposati e io m’appresto con la gioia di sempre, a santificare il Natale. Dimenticando quelle bufere, che inevitabilmente, si abbattono su ogni essere umano. I marciapiedi rigurgitano di gente e venditori occasionali ed i, ormai nonna, vado alla ricerca di cose belle da regalare in un’allegoria tutta natalizia. Le vetrine sono fantastiche, la frutta di marzapane mi invita. I suoi colori gareggiano con quelli di un incipiente crepuscolo dorato e sonnolento. Ancora oggi, come quando ero fanciulla, adoro i vestiti e i cappelli, i mobili importanti e i tappeti esotici e come allora, sogno ad occhi aperti, qualche volta. Mentre mi cullo in progetti ambiziosi, il suono delle cornamuse fa vibrare i miei precordi e mi prende quella mestizia a me tanto congeniale. Penso con rammarico che troppo danaro si spreca ancora nel mondo, che troppi bambini muoiono ancora di fame, che il messaggio d’amore e di pace non è ancora giunto presso quei popoli dove imperversa la guerra e si costruiscono armi invece di sconfiggere l’ignoranza. Ma poi mi scuoto e dico: “Suvvia, Raffaella! Non rattristarti, cosa fai tu per alleviare le sofferenze altrui? Non capisci che il danaro deve pur circolare? Se le tasche dei potenti non sono pingui i poveri giovani che lavorano tutto il giorno, non potranno neanche percepire il loro scarso salario. Vai, dai pure il tuo contributo, procurati anche tu il piacere di spendere!”. Ed ecco che, la ressa mi spinge e mi ritrovo in un mondo incantato che mi avvolge nelle sue spire e sento tutta la mia fragilità. Inerpicandomi su scale mobili, tra grappoli di luminarie e abeti finti, tra cristalli iridescenti e porcellane policrome, mi aggiro inebetita tra banchi e scaffali opulenti. I prezzi sono proibitivi, ma si acquista. È Natale! E Natale viene una volta l’anno. Anch’io non faccio eccezione e mi procuro il mio effimero, la mia fittizia felicità, in un paradiso fiabesco che sognai da bambina, tra un apparente benessere che depreco e che mi affascina. Infine, tra una spinta e l’altra, mi dirigo sulla strada del ritorno, infilo la porta dell’ascensore della metropolitana e sono già nel trenino che mi riporta verso casa col mio pacchetto d’illusioni appena colte. E sorrido. Sorrido delle mie insicurezze passate e sulle mie certezze future.
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