Data: 31/03/2004 - Anno: 10 - Numero: 1 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Don Teodoro sera spretato ancor prima che lo relegassero a Poggioreale per lergastolo. Aveva visto la luce a scacchi per oltre trentanni, poi arriv la libert, per motivi di salute, ma, avendo quasi i piedi nella fossa, non era pi in grado di provvedere da solo alle proprie elementari esigenze. Nella speranza di trovare ancora carit, si fece accompagnare al vecchio convento francescano dove da giovane aveva insegnato ai novizi. Il padre guardiano, il pi bravo tra i suoi ex allievi, e anche il pi affezionato, non ebbe il coraggio di negare ospitalit ed aiuto a un vecchio ormai alla fine della vita, ma non ebbe neanche lardire di fargli varcare la soglia del convento. Lospit allora nella piccola ma confortevole casa deposito di attrezzi e di derrate. Ad assistere il vecchio don Teodoro ebbe lincarico fra Venanzio; a fargli spesso compagnia, per, ci pensava Pascla e Providnza, che era amico del convento fin da bambino, quando andava a fare il chierichetto e a ricevere i primi rudimenti del latino. Quando arriv la fine, il vecchio ergastolano aveva accanto a s soltanto il generoso Pascla, al quale volle regalare lunica cosa che aveva: la mappa della zona di Cohr!afnda. Ebbe appena il tempo di dirgli con voce sempre pi debole le rigorose condizioni per venire in possesso del tesoro nascosto, e spir, nelle braccia delluomo cui aveva passato una tanto esaltante quanto pericolosa consegna. Non fu difficile per il nostro Pascla trovare altri giovani come prescritto: cinque tra i pi coraggiosi giovanotti di Badolato. Nel giro di pochi giorni provvidero alloccorrente per limpresa: sei pani azimi, sei pelli di capretto, sei candele di cera vergine dapi e sei picconi con sei badili per lo scavo, nellaia di Cohr!afnda. Attesero che passasse agosto, il mese in cui nella zona era possibile incontrare gente anche di notte, perch allaia vi portavano la segala che veniva prodotta in abbondanza nei dintorni. In una notte di buio pesto, quando la luna era appena crista, -tra le altre cera questa prescrizione da rispettare rigorosamente- i sei lasciarono il paese, ormai addormentato, e savviarono alla zona del fascinoso obiettivo. Celebranti di un insolito rito, tutti compresi dellimportanza del momento e della fondamentalit delle regole, camminarono in silenzio per viottoli e sentieri che conoscevano bene. Su per la petta degli Angeli, poi per i catsi e quindi a Fangmi, da dove iniziare la pi lunga e decisiva tappa. Il buio della notte li copriva ad eventuale occhio curioso, del resto improbabile a quellora. I loro passi rimanevano inascoltati, nel pi assoluto complice silenzio. Neanche i ghiri quella notte giocavano tra i rami del castagno. Evitarono di avvicinarsi alla palazzina della Centrale del Romito, dove Petrttu e Marzila e Lagni avevano smesso di giocare a carte, e stavano certamente dormendo. Mancava ancora mezzora alla mezzanotte quando i sei erano sul luogo del tesoro, una piccola radura, accanto allaia, delimitata da tre grossi macigni, quasi vertici di un definito triangolo equilatero: Locchio di Dio, disse sottovoce agli altri Pascla e Providnza, che, per essere frequentatore del convento, sintendeva di cose religiose, oltre che di latino. A rischiarare in qualche modo la scena fu finalmente accesa la lucerna portata al seguito, allo scopo, dal caposquadra delle ferrovie, un aitante e baldo giovine del reggino, in servizio nel tronco ferroviario dello scalo di Badolato. Dato lultimo sguardo alla mappa per accertarsi ancora una volta che non ci fossero errori, Pascla ripet sinteticamente e a bassa voce le prescrizioni, tra cui la pi importante: silenzio assoluto, da quel momento in poi, pena il fallimento delloperazione, cosa per cui Satana era senzaltro in agguato. Indossate a mo di collari le pelli di capretto, deposti i pani per terra in modo tale che concretizzassero i sei vertici di una cassa da morto, e infilatevi al centro le sei candele, accese, i nostri ricercatori della notte si diedero con foga e trepidazione allo scavo, che ultimarono in un tempo che parve loro uneternit, ma che dur soltanto pochi minuti: laggi, a non pi di mezzo metro di profondit, il chiaro contorno di una bara. Il tesoro! Mancavano ancora alcuni minuti alla mezzanotte, e bisognava attendere che le lancette dellorologio si sovrapponessero. Pascla e Providnza, con aria solenne guard in viso i cinque che, secondo le indicazioni, serano posti ai vertici del tambtu, immobili, muti: il grosso orologio nella sinistra e il sacerdotale gesto nella destra ordinavano chiaramente la pur breve attesa. Al segnale convenuto tocc a Peppi e logghju e a Ndria e Carmelna scendere nella buca e sollevare con il piccone il coperchio: la bara era piena di monete doro e di pietre preziose che creavano un accecante bagliore. I sei persero in quel momento ogni emozione. Cenzu e Pracu, disturbato da un leggero fruscio alle sue spalle, ruppe per primo limmobilit della scena voltandosi di scatto per osservare: tra i rami di un rovere una gigantesca figura li osservava con ghigno beffardo. Massru, e duva nescti?, domand u Nigru e Roshr!a. E fu il terremoto. Come per lo scoppio di una grossa bomba, schizzarono in aria infiniti carboni ardenti che trasformarono la notte in una visione infernale. In pochi minuti i nostri raggiunsero trafelati la Centrale, dove sostarono insonni sino allalba, per proseguire verso casa prima dello spuntar del sole
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Ancora oggi c chi racconta che, andando a cercare funghi o a raccogliere castagne nella zona della Cohr!a, capitava di trovare per terra qualche moneta deformata per segni inconfondibili di parziale fusione. |