Data: 31/12/2013 - Anno: 19 - Numero: 3 - Pagina: 9 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
"Mani cahrisi,\ mani virtsi"... |
|
Letture: 1352
AUTORE: Enrico Armogida (Altri articoli dell'autore)
(Linteressante saggio che segue, dellamico professore Enrico Armogida, noi labbiamo letto nel 2006: ci tanto piaciuto da non dimenticarlo, al punto da chiedergli, ora, di poterlo offrire anche allattenzione dei nostri lettori. Nel ringraziarlo anche da queste colonne vogliamo precisare, per completezza e chiarimento, che il dialetto dello scritto, tanto necessario quanto ricco ed efficace, quello di S. Andrea Apostolo dello Ionio, paese in cui nato e da sempre vive il professore Armogida, autore, tra laltro, di un pregevole Dizionario dialettale calabrese.) Mani cahr1si,\ mani virtsi Analisi fenomenologica delle mani nellambito della civilt contadina Come gli occhi - per voce comune - son lo specchio dellanima e, quindi, deglinfiniti e cangianti sentimenti che vi albergano, le mani (delluomo o della donna che fosse) erano un tempo gli arti che pi di tutti concorrevano allespletamento delle umane attivit e, perci, pi degli altri eran pregni delle recondite intenzioni e dei diversi sentimenti che le sorreggevano. Esse eran, dunque, un efficace mezzo espressivo, tipico del naturale linguaggio mimetico-gestuale che si associava a quello orale, ed eran largamente usate per comunicare una variegata gamma di emozioni, legate allatto di chiamare o interrogare, accogliere o respingere, promettere o dare, incontrare o partire, minacciare o comandare, implorare o pregare Ci che anzitutto affiorava era il loro aspetto, perch ceran mani e mani... Si vedeva subito, infatti, seran pulti o ntajti, e se ne poteva dedurre subito la provenienza sociale e la cura che un individuo aveva di s e del proprio corpo; seran lisci o cahr1si e se appartenevano, quindi, a gente vacabnda o fatigatra; e tante volte serano stritti, cio avare, abbundanzisi o addirittura bucti, cio incapaci di risparmio, oppure se - nel sollecitare un favore - erano chjni o vacnti, perch un detto secolare consigliava da noi On jra mi cu i mani vacnti! Ma si poteva notare anche se le mani eran musci, cio flemmatiche, o lasti, cio veloci nel compimento di un incarico o di un lavoro, come quelle delle raccoglitrici di olive (i fmmani e lolvi); e si restava sempre ammirati dinanzi a certe mani miraculsi, dotate di straordinaria abilit, che - nellespletare particolari attivit o mestieri - erano in grado di far quasi prodigi. E se arzra i mani poteva essere a volte un segno di resa, ma - ancor pi - di minaccia incombente, avra i mani laviti significava aver le mani pronte a menare e gonfiar di botte, stendra i mani significava entrare in propriet altrui per appropriarsi indebitamente di qualcosa, ed ssara ganti e manu era addirittura un appellativo infamante, perch significava appartenere a famiglia adusa a rubare. Era, invece, un gesto daltruismo e generosit tenra de mani, cio reggere amorevolmente per mano i vivaci bambini che con passo incerto e vacillante si aprivano alla vita e guidarne i primi passi o i vecchi tremebondi che si attardavano stancamente sul viale del tramonto; ed un augurio accorato, volto a stornare possibili mali dallesperienza dei figli, la frase a Madnna u vi pjja cu i mani de cimi de caphr1i. Comera un segno di buona educazione tenra i mani a ppastu nei confronti delle persone, soprattutto delle donne, anche se fidanzate; mentre, non era gradita leccessiva familiarit delle mani che toccavano un po troppo, e i cui eccessi si cercava di contenere dentro casa alzando significativamentea paltta de vrsci e aggiungendo bonariamente lespressione vorssi muzzti i mani Tenra i mani ara testa era sempre indice di malore fisico e serviva a lenire un po gli spasimi di dolore, come mentra i mani ari caphr1i era segno di momentaneo imbarazzo, disagio o paura. E se erano espressione di vitalit e di gioia traboccante le mani irrequiete di chi on ava rajima, in una forma di continuo movimento ed espansivit, erano, invece, chiaro sintomo di depressione le mani njelti di chi si senta cadra i vrazzi, come colomba librata nellaria alla cui gioia di vivere fossero improvvisamente tarpate le ali. Mani, mani, tante mani Mani di ragazze cracchi do friddu e riscaldate tenendole sutta i maschr1i, o di ragazzi scarzi e spenzierti, che al mattino - gi di ritorno dalla campagna - guidavano per lImpietrata lasino carico di pesanti gerle e a sera armavano la trappola (a tajjla o chjncula) ai passerotti nei vicini zzimbli. Mani che nelle plumbee giornale autunnali - sotto lUrmu maestoso de Triffuntni - con agili sassi contundenti si cimentavano a frotte a svellere dallampia e folta chioma secolare dellalbero gigantesco qualche rametto di melliflui melcucchji, o nelle tiepide giornate primaverili nchjumbvanu dalla Curva de Pignri il variopinto aquilone dalla lunga coda serpeggiante, che con un grosso gomitolo di spago in mano dirigevano in alto, sempre pi in alto, rincorrendo nel limpido cielo linnata sete di libert e lardore dei primi sogni nascenti. Mani aperte di ragazze in fiore che teneramente abbracciavano e stringevano o che segretamente cercavano e accarezzavano; e mani chiuse che sprezzantemente evitavano e respingevano. Mani euforiche di chi, al momento dellarrivo, - scorgendoti da lontano - gioiosamente inviava scomposti segni di saluto e mani cadenti di chi - al momento della partenza - tristemente dava laddio; mani tese, che monotonamente imploravano lelemosina, o mani aggrovigliate che si mbrigvanu e talora uccidevano. Mani assenti, assiderate in guerra dal gelo siberiano o straziate da un colpo di arma nemica; e mani sempre presenti, che condividevano la quotidiana fatica o malattia. Mani composte di tanti fedeli, che per le vie del paese portavano in processione una candela devotamente accesa o nella silenziosa penombra di una piccola stanza elevavano segretamente al cielo accorate preghiere dinanzi a un ammalato alletttu che languiva ormai impotente; mani colme di disperazione - tra i parenti che si strappavano i capelli - le quali restavano poi incollate al corpo del familiare estinto; e mani serenamente incrociate nella bara, per il viaggio finale di chi moriva aspettando radiosi giorni senza fine (dies sine vespera). Ma le mani - un tempo - erano soprattutto un mezzo indispensabile per lavorare e sopravvivere e si gravavano, perci, dellingrato fardello della fatica umana. I lavori pi comuni delluomo erano quelli agricoli, che richiedevano maggiore forza e costanza, come affossra, putra, zzappra e rifundra a vigna; fara i majsi e sula; abbivarra lartu,a poshr1a, i panculi o i partagallri; rampra sentari e ffara stagghjti allolivri; cotulra lolivi, lagghjnda, lammanduli o i castgni; cogghjra i fica e supa lrvuri o i ficandini de pittehr1ri; ammazzra u prcu; sparravra i gutti do vinu o i girri e lagghju; fara a vindgna aru parmantu - minndu a manhr1a aru strittju - e llolvi aru tropptu. Ma non meno gravosi eran quelli artigianali, come sciohr1ra acconzra o frabbicra i casi; fara larmacari; piallra u lignu e fara a moblia; forgira u farru e ferrra i nimla; acconzra o fara i scarpi cullattcci; appezzra o cusra i vestti pa festa o po matrimaniu; tagghjra i caphr1i e ffara a barva (ara potca o ara casa); mungra u latta (de pacuri, crapi o vacchi) e preparra a rictta eru furmggiu.. La mano delluomo era - dunque - segnata dalla immane fatica espletata giorno per giorno nei campi o nelle botteghe di lavoro. Perci, erano mani quasi sempre callose, - perch mani cahr1si,\ mani virtsi -, sempre ruvide, sgraziate, candalijti talora dal sole cocente e spesso jhaccti, cio ulcerate dallusura: quasi sdrucita carta didentit di chi, anzitempo sottratto ai giochi e ai sogni dellinfanzia, aveva dovuto lavorare fin dalla pi tenera et ed era quasi invecchiato precocemente nella lotta quotidiana per la vita. Ma erano anche mani preziose, in unepoca in cui la macchina aveva fatto appena la sua prima apparizione ed il lavoro era ancora tutto, o quasi, manuale. Ecco perch quanto pi numerose eran le mani, tanto pi consistente si sperava fosse il lavoro compiuto e tanto pi abbondante il prodotto e il guadagno ottenuti. Un detto antico asseriva che mani assi\ Dio li benedssa; perci numericamente nutrita era la famiglia (quasi sempre ricca e sangu, cio di figli!), vasta la parentela, numeroso il gruppo de discpuli, estesa la cerchia dei cumpra, cummri, amici e conoscenti cui rivolgersi in caso di bisogno, in unetica nobile di condivisione del lavoro e del pasto, della gioia e del dolore.
E soprattutto eran mani sacre, almeno quelle dei genitori, che solennemente si erano impegnate innanzi allaltare giurando eterno amore e fedelt; mani che noi bambini, quasi fossero quelle di ieratici sacerdoti domestici, la sera, prima di andare a letto, andavamo a baciare devotamente, grati e riconoscenti del loro estenuante lavoro e dello strumento principale di esso, cheran le mani. Quelle eran le mani vere e si differenziavano naturalmente dalle mani della nobilt ereditiera che si ammantava del ndon - fosse il nobiluomo, limpiegato comunale, il professionista o lecclesiastico, - insomma da quelle di un benestante che poteva risparmiare le mani, lavarle col sapone e tenerle ben curate, chiare e lisce, perch viveva di rendita o almeno di un introito sicuro. Cos gli uomini un tempo portavano scritto gi sulle mani il loro livello sociale e il loro destino esistenziale. Ma anche le donne, casalinghe oltre e pi che mogli e madri, condividevano senza rimostranze il destino familiare, ch anchesse facevano di necessit\ virt e perci sindustriavano in tutti i modi possibili per mandra avnti a famgghja, accudendo ai tanti lavori di casa e di campagna. E i lavori manuali della donna erano quelli pi numerosi, delicati e impegnativi, come ahr1attra i guaglini, scupra a casa e ppreparra u mangira ara cucna; macinra u ranu aru mulnu e ffara u pana aru cocipna; scorcira u panculu; penzra ari gahr1ni e aru parcu; jra ad acqua e a lligna; portra ncampgna u morzahr1u po servzziu; cojjra i fica lajjndi i castgni e llolvi; filra a lana o lsali e ffara cozzetthr1i pe guaglini; arripezzra ncuna cosa; assammarra i panni e ffara a vucta ara jhumra o ara casa; portra supa a testa nu mazzu e ligna po foculru o po cocipna; fara i fiscottni i cuhr1urahr1i o i cuzzpi; frijra i zzppuli i carracahr1ti o i crispahr1i; mpurnra i fica i castgni i favi aru cocipna; portra supa a testa i varhr1i e mustu ara cashr1a; portra cohr1ti dolvi da campagna o calra na cohr1ta e castgni da muntgna. Esse, per, affrontavano ogni cosa di buon grado, in ci confortate spesso dalla voce sapienziale di vecchi e venerandi sacerdoti; come larc. Antonio Mongiardo (+ 1918), il quale - secondo la mamma di Caterina da Vspica sua nipote, che di lui si prese cura in vita - alle donne soleva ripetere: O stacti mai cu i mani farmi, ca u divulu vabblla aru faddla. Perci, - nonostante la loro visibile stanchezza legata allininterrotto lavoro diurno - esse abitualmente prolungavan la durata della giornata al tenue lucore di una candela, di un lumino ad olio (lumra) o di una fioca lantrna attaccata in alto, in un angolo della casa. In casa, infatti, lultimo ad andare a letto la sera non era luomo, ma la donna, perch solo nella pace del silenzio notturno, accanto al tepore delle poche braci rimaste e in compagnia del fedele amabile gatto, ella trovava tante volte il tempo per cucire o rammendare, filare al fuso il cotone o la lana, fare ai ferri qualche maglia o calzino, sgranocchiare i tutoli di granturco per le poche gallinelle tenute nel sottoscala, stirare qualche fazzoletto o camicia, aggiustarsi a fine giornata i capelli troppo spesso trascurati S, perch certi comportamenti virtuosi li stigmatizzava il detto ara sirta\ si pttina a maritta, dato che il giorno la donna era sempre impegnata e indaffarata, a casa o in campagna; e laltro a fmmana ngalipta\ si canscia ara lumra, il quale sanciva perentoriamente che la donna garbata si riconosce dalla capacit di veglia notturna e dai tanti lavoretti che essa - facendo forza al sonno - sapeva espletare prima del nuovo giorno. Non era strano, pertanto, che - per la sua totale abnegazione - la donna in pochi decenni perdesse compiutamente lolente bellezza giovanile e il salutare vigore naturale e si ritrovasse - ancora in giovane et - gi sfiorita e consunta. Un detto diceva chiaramente On maravgghja ca trona e llampa;\ maravgghja ca sgrava a fmmana e ccampa; ed un altro, piuttosto cinico e amaro, lontano nella sua essenza da qualsiasi forma di gratitudine e riconoscenza, aggiungeva A fmmana a quarantanni\ jttala a mmara cu ttutti i panni. Ma rimaneva, nellintimo di tante mamme, linconfessata convinzione che a mortificazziani\ porta ara santificazziani
|