Data: 31/12/2016 - Anno: 22 - Numero: 3 - Pagina: 46 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
IMPOVERIMENTO Fuga dal Sud |
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Negli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo questo nostro Sud, e quindi la Calabria, e anche Badolato, avevano ormai alle spalle anche la terza ondata migratoria di massa oltreoceano, degli anni successivi alla seconda guerra mondiale e al disastro causato dalle alluvioni del 1951. Né più si organizzavano nei nostri paesi corsi di formazione professionale per adulti, in quanto altre Nazioni europee e le grandi città italiane del Nord già ospitavano centinaia di migliaia di operai più o meno formati allo scopo quaggiù. La Scuola Media Unica, e obbligatoria, nata nei primi anni Sessanta, era già consolidata e stava raggiungendo gli obiettivi, quelli intenzionali, e qualcuno non intenzionale, purtroppo dannoso nel futuro. Diretta conseguenza dell’allungamento dell’obbligo scolastico da cinque a otto anni è stata -e non poteva essere altrimenti- la creazione ovunque e quindi la frequenza di Istituti di Scuola Media Superiore. Da qui, ancora quasi naturale conseguenza, il desiderato e atteso e indiscutibile ingresso all’Università, dove già c’era. E dove non c’era? È cominciato in quegli anni un altro tipo di esodo dei giovani calabresi, e anche lucani, che per motivi vari non hanno privilegiato gli Atenei di Messina e/o di Bari: hanno preso il treno -che ancora c’era anche da noi- e son partiti per andare ad addottorarsi a Napoli, a Roma, a Firenze, a Bologna, a Milano,… A seconda dei gusti, delle esigenze, del portafogli,… Con la legittima aspirazione di tornare a casa da medico, avvocato, ingegnere, architetto, biologo, professore,… E tornavano, a casa, in treno, in autobus, in aereo. Tornavano a Natale, a Pasqua, per l’estate. E risalivano poi, giovani pendolari, maschi e femmine, in mezzi di trasporto spesso stracarichi di giovani, studiosi, allegri e spensierati, con la ricarica di specialità alimentari e di affetto che la nostra famiglia sa dare. Nei mesi trascorsi fuori casa, per mezzo di camion che facevano soltanto questo lavoro ricevevano saltuariamente da mamma e papà pesanti pacchi pieni di salumi fatti in casa, di pelati, di formaggi paesani,… persino di pane. Ricordo ancora la conversazione di due giovani universitari badolatesi di quegli anni: discorrevano con amarezza delle ulteriori spese che tali spedizioni comportavano per le famiglie che s’impoverivano sempre di più; e dei tanti giovani che sarebbero rimasti a lavorare dove s’erano addottorati, impoverendo la propria terra anche di cultura, e quindi di energie umane valide e qualificate. Ma il mondo cammina, e spesso va dove noi non vorremmo: intanto nessuno riesce a fermarlo. Oggi i treni e gli autobus non sono più pieni di giovani che vanno su e giù dalla Calabria a Roma, a Bologna, a Milano. E neanche gli aerei, oggi di maggiore uso, sono pieni di giovani speranze di casa nostra. Perché la loro permanenza in città, per motivi vari e facilmente intuibili e pure comprensibili, va sempre più trasformandosi da temporanea in stanziale. Questi nostri giovani, in poche parole, li stiamo perdendo tutti, perché sempre meno numerosi sono quelli che ritornano a Sud. Pertanto i pochi treni di cui disponiamo, specialmente nella fascia ionica della regione, e i numerosi autobus di linea che raggiungono il Centro e il Nord, dall’Est all’Ovest, in prossimità delle classiche vacanze italiane per Natale e per Pasqua, sono oggi carichi di padri e madri, più o meno anziani o vecchi, che viaggiano per andare ad incontrare i propri figli, i loro affetti più cari, e fare poi ritorno a casa, nel sempre più desolato Sud. In questi ultimissimi anni, poi, si stanno verificando sempre più numerosi casi di genitori che, rimasti soli in casa, e magari con gravi difficoltà per la scarsità e cronaca inefficienza dei servizi che qui offrono le pubbliche Istituzioni, prima fra tutte la Sanità, si mettono in automobile, o prendono l’unico treno, o prenotano il solito autobus di linea ed emigrano anche loro, per andare a invecchiare e morire in una terra cui non appartengono, ma accanto ai propri figli non più Calabresi. Forse scenderanno qualche volta quaggiù in vacanza, nella casa che non sono riusciti a vendere. E troveranno un villaggio che pure loro, per forzata emigrazione, hanno contribuito a rendere più povero. |