Data: 31/08/2021 - Anno: 27 - Numero: 2 - Pagina: 13 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
UN MONASTERO TRA MONTI E CIELO: IL SAN MARTINO DI ISCA SULLO JONIO. |
|
Letture: 776
AUTORE: (Altri articoli dell'autore)
Il monastero greco o bizantino, che sto per descrivere, era sito tra le montagne interne dei comuni di Sant’Andrea Ionio e di Isca, precisamente in un punto ove si incontrano i loro confini. Alla data della compilazione del manoscritto, noto col titolo di “Brebion”, il monastero era in attività, ed avendo origini nel monachesimo basiliano, fu sottoposto con altri monasteri dello stesso ordine alla metropoli di Reggio Calabria. 1) Il monastero. Il monastero di Isca risponde appieno a quanto imposto dalla regola monastica, e, dalla lettura del Brebion, traspare il suo programma iniziale, inalterato sino alla quiescenza, costellato di momenti intensi tra ricerca del divino e dell’umile lavoro manuale e che si compendiano in: a) scelta di un luogo isolato per potere svolgere l’ascesi, fine primario di ogni monaco; b) clausura per svolgere il proprio compito di solitario lontano da trambusti e dalle quisquilie della vita dei luoghi abitati; c) concentrazione piena nel silenzio della propria cella, o monastero, o romitaggio durante la preghiera; d) lavorare per se stesso e per gli altri, ed essere sempre disponibile nel soccorrere i bisognosi. Ad illuminare il cammino del monachesimo greco o bizantino, detto alle origini “dei padri del deserto”, è stata una prestigiosa ed insigne figura di santo: S. Basilio Magno, che in prima persona sperimentò i momenti intensi dell’estasi, che codificò in un complesso di regole che si suddividono in due parti: a) “Regulae brevius tractate”, b) “Regulae fusius tractatae”. S. Basilio, nato a Cesarea di Cappadocia intorno al 330, e quivi morto il 379, discendeva da una famiglia illustre per natali, ma cristiana sino al martirio; infatti, il nonno materno, per non aver abiurato, soffrì il martirio sotto Diocleziano in quanto cristiano. La nonna paterna, S. Macrina L’Anziana, era stata discepola del famoso Vescovo di Neocesarea del Ponto, S. Gregorio Taumaturgo, del quale il nipote Gregorio Nisseno, oltre a fregiarsi del nome, scrisse anche una rinomata omelia. Basilio frequentò la scuola di Cesarea, di Costantinopoli, di Atene. Insegnò retorica nella sua città natale, e dopo il battesimo, visitò l’Egitto, la Palestina, la Siria, la Mesopotamia, ove venne a contatto con la vita ascetica, che cominciò a praticare. Ritornato in patria, si ritirò in uno dei possedimenti di famiglia, chiamato “Annisi”, sulle rive del fiume Iris, nella Provincia del Ponto. In questo luogo radunò una moltitudine di aspiranti alla vita monastica, sviluppò il suo programma in due regole che gli attribuirono notorietà di “Padre del Monachesimo orientale “. I monaci orientali di rito greco che popolarono il meridione d’Italia, acquisirono il nome di Basiliani dal loro fondatore, così i monaci latini venivano indicati come Benedettini dal nome del Fondatore S. Benedetto. 2) Il testo greco (André Guillou: Le Brebion de la Metropole byzantine de region vers 1050- 1059). Città del Vaticano - 1974). La descrizione nel testo greco del Brebion non sembra lineare, al contrario sopperisce la toponomastica dei luoghi con una indicazione ben precisa del sito: il monte di S. Nicola, detto monte di castagni e di Floro; il lotto di Floro; il ruscello che scorre nel fiume; il fiume Sabuci; il prete Pardo che detiene beni ecclesiastici; l’hermes che funge da limite; l’acqua del fiume (immessa in solco ed usata per innaffiare); l’orto; il vigneto. Nel cinquecento, i beni del monastero di S. Martino risultano censite in proprietà della certosa di S. Bruno, e con delle variazioni nella coltura. Nel tempo avvengono sempre dei cambiamenti in qualsiasi attività, si presentano nuove esigenze, i costumi si evolvono, cambia anche il modo di vivere dell’uomo, e l’uomo stesso è soggetto a sopperire alle innovazioni. Scompare dai campi soggetti al monastero di S. Martino, il monachesimo basiliano che aveva santificato quei luoghi con la preghiera, con l’ascesi, e con il lavoro; il tempo che sopravviene sembra che porti via i momenti di estasi vissuti in quei luoghi, ma nessuno può cancellarne il ricordo. Il monachesimo della Certosa è portatore di nuove idealità religiose e la vita negli stessi luoghi riprende il suo nuovo corso illuminato dalla luce che promana dal Vangelo. Nel 1500 eredita i beni del S. Martino la certosa di Serra. La Platea è stata compilata dopo il trattato di Blois del 1505, confermata da Carlo V su istanza della comunità Certosina con diploma dato ad Insbruk il 5 giugno 1530, confermando i privilegi in particolare quelli concessi dal conte Ruggero e dall’imperatore Federico. (In La Platea di S. Stefano del Bosco, vol. I, 1 Ediz. Rubbettino 1997 a cura di Pietro De Leo). 3) Il testo della Platea (pag. 186, Ysca -187- S. Martino). La certosa detiene in sua proprietà un Giardino con 108 piante di sicomoro, con due piante di ulivo e due piante di mandorle e nove piante di fico ed una pianta di noce. Questo giardino è posto nelle stesse circonferenze e luogo detto S. Martino, confinante col giardino di Adamo de Florencia da Badolato e dalla parte bassa con le ampie e numerose terre della chiesa di S. Maria di Badolato e vicino al fiume Salubro e ad altri confini. La descrizione dei luoghi di S. Martino di Isca composta nel Brebion ed in dipendenza della metropoli di Reggio evidenzia una situazione diversa di coltura da quella rappresentata nella Platea composta nel 1500. Viene da chiedersi se la coltura di sicomoro con centotto piante sostituisca quella del Castagneto… Vi esistono inoltre due piante di ulivo, due piante di mandorle, nove piante di fico, ed una pianta di noce, mentre prima era predominante la coltura del vigneto e dell’orto. 4) Incertezze del Guillou. Il “Brebion” riporta il testo del S. Martino di Isca tra la riga o linea 457-461 sotto il titolo scritto in greco e che io per ragioni tipografiche riporto formalmente italianizzato in Mon(e) a(ghios) Mar(t)inos tou Skulacho(s) (Kai) Souberat(ou) (tes) m(et)ropoleos Reghi(ou) upochemé(ne). (Traduzione: “Monastero di S. Martino di Squillace e Soverato, subordinato alla metropoli di Reggio”). Il testo che segue a questo titolo ha per oggetto effettivamente la descrizione del sito del Monastero di S. Martino di Isca e del suo viridiarium, e il sito stesso è posto in un comprensorio a lunga distanza dagli abitati del litorale. Se questo comprensorio in tempi lontani era attraversato da qualche strada che dai litoranei portava nelle zone interne e lontane della nostra regione, il monastero era adibito anche all’accoglienza, e quindi a svolgere funzioni di mansio (soggiorno), o di hospitium, (locanda), o di Statio (luogo di Sosta)”. Ritengo, inoltre, che il Guillou abbia notato lo stato di divergenza tra il titolo e quanto rappresentato nel brano intorno ai luoghi del S. Martino e nel cercare il S. Martino di Squillace e Soverato ritrova una chiesa adibita al culto di S. Martino in Gerace, sottoposta, e non poteva essere altrimenti, alla giurisdizione vescovile della stessa città, quindi al di fuori dei territori di Squillace e di Soverato. Il Guillou, che si distingue per la sua cultura risolve il problema annotando che i due siti di Squillace e di Soverato, si trovano nella parte inferiore del golfo di Squillace alla distanza di una ventina di km l’uno dall’altro e che il monastero fino al presente è rimasto incognito. Lo stesso continua: “…la duplice referenza di ciò a Gerace e a Soverato richiede una spiegazione: si potrebbe pensare ad un monastero del territorio di Soverato e quindi del Vescovo di Squillace, ciò darebbe ragione della sua dubbia dipendenza economica. Ma purtroppo io ignoro altro S. Martino presso Soverato”. È da evidenziare che la fondazione di un monastero, sia da parte di privati, sia da parte ecclesiale, comportava la dotazione con beni per soccorrere alle necessità materiali ed a quelli del culto e dei frati: la concessione senza la dotazione non poteva aver luogo. Ha annotato bene ancora il Guillou di ignorare altro S. Martino presso Soverato. Ha taciuto la chiesa del Monastero Vivariense fondato da Cassiodoro che in una miniatura dell’ottavo secolo viene indicata col titolo di S. Martino e di un’altra chiesetta dedicata anche a S. Martino lungo la costiera di Copanello che presenta un archetipo basilicale di arte bizantina, e perciò diversa da quella di Cassiodoro. Queste due chiesette ed il monastero vivariense sono scomparsi a distanza di qualche tempo dalla morte di Cassiodoro. Infatti ciò che non è stato fatto dai Bizantini durante la guerra greco-gotica oppure all’instaurarsi del loro dominio nell’Italia meridionale, l’avranno fatto i Longobardi, la pirateria o gli arabi. Infatti il conte Ruggero di questi due monasteri già inesistenti ai suoi tempi non fece nessuna donazione al Monastero di S. Angelo e della Trinità di Mileto, invece a questo stesso monastero donò la chiesa di S. Martino sita nella città di Squillace, come sta scritto con dizione chiara e precisa nell’originale della bolla papale di Eugenio III “in civitate Squillacii ecclesiam Sancti Martini” e di quella di Urbano II “in civitate Skillatio ecclesiam Sancti Martini”. L’incertezza del titolo e del brano sul S. Martino di Isca, dovuta alla mancata conoscenza diretta da parte dell’amanuense del Brebion che ha appreso per “sentito dire” e confusamente trascritto, viene compensata, al contrario, nella platea del 1500 di Santo Stefano del Bosco con la certezza e la precisione. Il monastero di Isca nel Brebion è collocato nel vasto territorio sottoposto alla giurisdizione della diocesi di Squillace e vicino un luogo importante: Soverato, noto nell’antichità come Paleporto; nella platea del 1500 si fregia di trovarsi nella giurisdizione di un monastero prettamente calabrese fondato da un Grande Santo S. Bruno di Colonia, nuovo modello di religiosità e di vita sociale; si ritrova ancora nella giurisdizione del Vescovo d Squillace, e vicino a Soverato. Gregorio Voci (Ecco un nuovo valido collaboratore, che si è messo in contatto con noi da Stalettì. A nome di tutti i lettori lo ringraziamo di cuore per l’eccellente pezzo che ci ha regalato su un argomento di non facile conoscenza e trattazione, frutto, ovviamente, di un laborioso e paziente lavoro di archivio. – Ndd) |