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Autore:Vincenzo Squillacioti     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/06/2006 - Anno: 12 - Numero: 2 - Pagina: 40 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

“CAPPARI E CUMPOSTA”

Letture: 1041               AUTORE: Immacolata Larocca (Altri articoli dell'autore)        

Percorrendo la penisola Salentina è facile scorgere tra gli ulivi secolari rigogliosi cespugli di capperi coltivati. Ma di quei capperi solo i boccioli (coccia) sono commestibili.
Da noi invece i capperi crescono spontanei, specialmente nelle zone aride, incolte e argillose della marina. Della nostra specie oltre ai boccioli sono commestibili anche le cime .
Un tempo molte erano la donne che nel periodo di maggio e giugno percorrevano chilometri e chilometri di strada, oltrepassando anche i confini del nostro comune, per raccogliere cime e boccioli di queste piante per uso proprio ma spesso per venderli e racimolare così qualche soldo.
Sia le cime che i boccioli venivano messi nell’acqua, possibilmente corrente, fino a quando non buttavano l’amaro. Dopo di che venivano salati e conservati sotto aceto. L’aceto, si sa, è un ottimo conservante naturale. Esso contiene l’acido acetico che è in grado di distruggere la maggior parte dei microrganismi attivi e delle loro spore.
L’azione antisettica dell’aceto accresciuta dall’aggiunta del sale manteneva a lungo la loro conservazione. In autunno con lo stesso metodo conservavano, in piccole giare (bobbarèhr!i), gli ultimi ortaggi: pomodori, melanzane, cetrioli, peperoni e peperoncini, che per effetto del freddo non riuscivano a raggiungere la necessaria crescita e maturazione. Era la cosiddetta “cumpòsta” che si usava mangiare insieme ai fagioli, ma il più delle volte da sola condita con un po’ di olio, magro pasto per chi consumava tanta energia fisica nello svolgimento del proprio lavoro.


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