Ai Badolatesi futuri
in memoria
dei Trapassati”


Nicola Caporale

IL MIO PAESE

poesie

Gabrieli editore


TUTTI I DIRITTI RISERVATI


Le copie non firmate dall'Autore sono dichiarate contraffatte.
 


By - GABRIELI EDITORE ROMA
Collana "POETI d'OGGI"
--------------------------------------------­
00165. via Gregorio VII, 58
 


OPERE DELLO STESSO AUTORE

Le mie rose - novelle - Ed. Abramo - Catanzaro1928
Ritrovarsi - poesie,- Gastaldi-Milano- 1948
Cuore al vento -poesie -Ed. Ed. Int. Med.-Reggio Cal.1951
La Bomba H - poemetto -Ed. Tecnostampa-Priverno 1954
In margine all'Ondata - romanzo -Ed. Intelisano-1954 (fin. Villa) 1954 Milano
L'oro del Sud è amaro - romanzo Ed. Approdo del sud (fin. Villa) 1960 Napoli
Autunnali - poesie -Ed. Villar-Roma-1964
Con gli occhi non si vede - novelle -Ed. Intelisano-Parma 1966
I giorni solitari - poesie -Ed. Lo Faro-Roma 1971
Canti del tramonto - poesie -Ed. Gabrieli-Roma-1972
"A Catarra - poesie in vernacolo - Ed. Pellegrini-Cosenza-1973
Dalla mia finestra - poesie -Ed. Gabrieli-Roma 1974
Spigolando nel tempo - poesie-“ “ 1975
Voci serali - poesie- “ 1976
Rose d'autunno - poesie- “ 1977
E l'anima canta nel buio – poesie - " 1978
Io sono l'ulivo che dona – poesie - " 1979
La favola è finita – romanzo - “ 1980
La canzone dell'onda – romanzo – “ 1981
Arpeggi sommessi -poesie- “ 1981
Il libro di FRANCA-poesie- “ 1981
Femmina – novelle - “ 1981

Di prossima pubblicazione Solitudine - poesie­


L'immagine di questo paese calabro, che può somigliare a tanti altri- paesi della terra del sud ed a quello dello stesso Autore, è l'espressione - insieme ai volti di gente mesta e rassegnata - di quella storia antica, ancora pregna di purezza, ma pur -sempre meritevole di uno sguardo più amoroso del resto del mondo.


IL MIO PAESE
Invocazione
Odi, lettore, del mio cuore il canto
che da le pietre a me manda il Paese,
serena fiaba a mia felice infanzia.
Di piazze e vichi e di stradine oscure
le pene, la miseria e le tempeste, 5
da quelle sorte a suono di campane,
tenterò per amore io di cantare,
sì che la sabbia mobile del tempo
nulla a mia gente, e tutto in luce brilli
dei remoti ai futuri gran conforto. 10

Badolato, che già pei mari colse origine e
fama al telaio e dalla terra i frutti nome di Badolato
di LATONA, vagante ospite illustre,
osò di eccelsa dea l'ira sfidare.
Erano giorni di epiche battaglie, 15
in cielo e in terra per divine voglie
del fedifrago GIOVE che sovente,
l'alto OLIMPO lasciando, in terra venne,
da terrena beltà spesso allettato.
Ma l'isola di DELO pur vagante
Le die' rifugio, onde gli umani, poi, 20
i divini GEMELLI, ed ebbe l'uomo
musica e caccia a gran conforto quindi.
Così nome, a ricordo, il sito s'ebbe;

ma perdesi nel tempo la sua storia. 25
Chè altrove sorse la primiera gente
sul risonante mare, donde venne
profugo il GRECO e suo gentile idioma.
Tutto dintorno vi fiorìa la pace
e il mar, solcato da le ardite prore, 30
ricchezza e gloria presso estrania gente.
Ahi, che da questa la vorace ciurma
'Africa e d'Asia a nostro danno giunse,
sì che temente a nuovo sito eresse
alta dimora la fuggiasca stirpe. 35

Era a le spalle un'intricata selva
di preda ricca e di nemica gleba,
dal solitario colle che, dall'alpe
partendosi superbo, vi cantava
pei fianchi di Copino e di Graneli 40
con onda chiara e lieta, e al mare aperto
ampio ad Oriente vi raggiava il guardo.
Qui, la casa a la casa unita crebbe,
ed, a difesa, la scoscesa costa
di una porta adornò angusta e forte, 45
cui, fido amico, bastione alto eresse;
dal monte, poi, staccò una gran parte
ed un fosso scavò, capace e fondo.
In cima al resto issò, ardito e bello,
un gran maniero con tre torri snelle, 50

perchè signor superbo le vicine
terre sviasse da ben' pazzi assalti.
D'intorno a tutta la pianura i canti
risuonarono; il tempo le varie opre
lieto sciolse nei giorni, e in pace santa, 55
sì che l'alba e il tramonto in processione
gli uomini vide per tratturi e strade.
Ma quanto., quanto poi durò tal festa?
Quante volte dal mar venne il nemico
a depredare ed, in catene avvinti, 60
coloro deportò che per i campi
sorprese assorti in lor duro lavoro.

Allora l'assemblea discusse ed uno -
il Castellano - con tonante voce: Ammonimento del
- Popol di Badolato, or non è molto castellano 65
ti pariai d'una torre e di campane.
Ma tu, sperando che più mai il Corsaro
ritornato sarebbe a questi lidi,
contro saggezza non mi desti ascolto
. Ora vedi l'errore, chè se torre allor 70
coi bronzi al ciel levata fosse,
oggi, quei cari qui con noi li avremmo.
Ora io ti dico che di farla è d'uopo,
alta così che la corrusca cima
intorno liete cingano le nubi; 75
ad occhio umano a riguardar la pigna,

e voi d'aquila, vano ad ogni prova,
dei bronzi la voce oda il gran Golfo;
onde dal monti a le marine, a casa
tosto in gran fretta il contadino corra- 80
appena scorge la nemica nave. –
Questo del Castellano fu il consiglio,
il popolo l'accolse immantinente.

Diviso fu per squadre il popol tutto,
e, per ognuna, un capo eletto. Allor 85
correr la gente per le vie si vide,
tutto al colle parve dì festivo.
Non era ancor dal mar sorta l'aurora Costruzione della
quando la turba mano pose all'opra, torre campanaria
Risvegliato, chiocchiò il nero merlo; 90
l'ala scrosciò veloce la pernice,
l'astuta volpe tra le folte canne
cercò lontano più sicuro asilo.
Or con picconi e con badili il passo
aprono del sentier spianando il picco. 95
Ferveva l'opra. Qui, l'acuta pietra
una issava sul capo; là, la sabbia
concava sporta di castagno ergeva,
su l'orlo colma, al più vicino carro,
e, dopo l'erta, i bei giogati buoi 100
al monte la portavano pian piano.

D'acqua rigonfie le caprine pelli
altri sul basto assicurava al ciuco.
Sopra la cima di cretoso monte
era già pronta una fornace grigia 105

per la cottura della bianca calce.
E là, dove sembrava confusione,
era un subbuglio, un vociare lieto,
un risuonare di martelli e incudi
ad aguzzare ciò che il sasso ottuse. 110
Così, talvolta, dimenar vid'io
bionde api intorno a manomesso bugno.
Su per la vetta del ridente colle,
verzicante di viti, intanto, un veglio,
bianco dl barba e d'intelletto accorto, 115
ai presenti additava il luogo e come
la calce andasse con mattoni e sabbia.
e le squadrate pietre vive ancora.
Ivi la torre sul crignetto al cielo
erger doveva la lucente cima 120
Capace una trincea presto nel sasso
scavata fu ed una massa accolse
di pietrame e di malta; con le mazze
pressato il tutto fe' col colle corpo.
Tre canne e più misura, poi, il vegliardo 125
pei quattro lati della forte base;
così comincia la quadrata torre,
salda di fianchi e di avvolgente scala,

dentro il capace vuoto di sua forma.
Di giorno in giorno più superba al cielo 130
levasi, e il corpo sempre più si snella
stupendo e svelto come verde ornello.
Come ai soppalchi sembrano formiche
i lavoranti ! Un canto, un coro a volte,
scende da l'alto e si riversa intorno 135
alleggerendo del lavoro il peso.
Finalmente s'incupola di smalto
e al sole splende come, a notte, faro.
Poi tre campane in cima furon poste
con gran fatica : sopra barche a vela 140
erano giunte da remota terra,
oltre la Sila verdebosco scura.
Con fatica e perizia son su' poste
a clamore di popolo festante
la più piccina dall'acuta voce 145
come d'amica fu gradita ai bimbi,
e la mezzana da soprano il giorno
illumino con la sua bianca voce,
come a colta vittoria alta bandiera;
profonda, cupa, immensa il campanone 150
cui cento braccia occorsero a tant'opra
aprì la bocca, e dal capace petto,
colmò le valli e la pianura e iI Golfo
sì, che tremanti quasi a tàl rimbombo
stetter le case rannicchiate e mute. 155

Breve l'attesa. Timidetto accanto,
quasi l'anima al tocco lo mandasse,
poi più certo parlò la piccoletta.
La sostenne di poi, con bianca voce
l'altra sorella; la tonante, quindi, 160
donò suo cuore dal possente petto.
Segue la giostra de le tre sorelle
e l'una l'altra incalza, e intorno intorno
di rondini e colombi allegri voli.
L'anima allor di quella folla vola 165
oltre la cima, sù, oltre il concerto,
per l'infinito ed oltre, fino a Dio
inno lei,ando di ringraziamento.
Anche l'eleva tra le fave in fiore
la giovinetta che tra solco e solco 170
a lor salute e frutto le diserba.

Ed ecco un dì tuonare il campanone
"A l'erta! All'erta!. .." A l'orizzonte i Turchi
come rapaci con spiegate vele puntano al lido.
"Correte correte!"
Ristagna a tutti il sangue nelle vene; Vittoria badolatese 125
­ll cuore batte, la paura punge. sui Turchi
Lascia la zappa il contadino e fugge,
fugge la giovinetta e l'attempata,

strilla il capraio, belano gli armenti
per biancheggianti viottole e sentieri. 180
Echeggia l'aria di richiami e pianti,
giù, per la china dei Cozzali, a valle
e pei Mingiani a Crisima e a Cuzzulla,
e per la piana fino al glauco mare,
e per Ballivi e Vite e per il monte 185
ed oltre. Pur dal Golfo i pescatori
s'affrettano coi remi a salvamento
verso i giardini della propria terra.
Ecco, tra i pini biancheggiare al sole
i primi giunti, scalmanati e ansanti 190
lunghesso il Bruda serpeggiante a valle:
e chi monta un somaro trotta e punge,
e chi sui bovi lo spavento versa,
e chi a cavallo per sassosa strada
incita e sprona con speroni ed urla. 195
La vecchierella con un suo bordone,
recando in capo la sfogliata frasca,
per la salita lentamente incede
superando l'età che la trattiene.
Il campanone a stormo ancor rimbomba 200
e l'aria intorno tutta vibra e introna,
e, come chioccia i piccoli se scorge
in terra l'ombra del nemico nibbio
trepida chiama, il campanone squilla.
Ora da lungi le volanti vele

ad una ad una toccano la riva, 205
e dal Bastione, donde ciò si mira,
sembran gabbiani posar giù con grazia.
Il campanone a stormo, e la mezzana
all'armi ancora. Sul castello leva
l'alta rotonda torre lo stendardo, 210
maestoso e gagliardo. Ognuno accorre.
Con falce accorre il contadino e scure,
acceso in volto per desio di pugna
col cuore duro alla vendetta pronto;
ed a fugare l'empio Turco audace, 215
che pur conosce ben roncola e forca;
e del Toraldo la pesante spada.
Intanto qualche giovane rapito
lontano piange la nativa terra;
e quando il sole l'orizzonte sfiora, 220
coi raggi pare gli rapisca il cuore,
e dentro il pianto la speranza annega.
Pur novella di lui in patria giunge
ma come onda è che, giunta a riva, muore;
la sua cadente genitrice, avvolta 225
in penose gramaglie, ancora attende
il ritorno del figlio e, a lei vicina,
sospira e tace la fiorente sposa.

Or Gaspare Toraldo tuona : - APRITE! Toraldo e i
che al barbaro rapace eccelsa prova Turchi 230

sia oggi il cuore dei Badolatesi!­-
Roca sul pernio la gran porta geme,
e per la china con fragor si perde
l'ardita schiera ed a pugnar si affretta.
Eccola, svelta tra gli aranci in fiore 235
sparisce in corsa e ancor veloce appare;
si perde, poscia, tra gli azzurri olivi
lunghesso il fiume scintillante al sole.
Le bianche vele sovra il lido stanno
come graziosi cigni e i lor padroni 240
van per la terra a riguardar se intorno
scorgano preda e, certi, innanzi vanno.
Scorgono lavoranti sparsi e intenti
a lor fatica. Ma a pugnar son pronti
al breve cenno del bovaro finto. 245
Quando costui il nemico a tiro scorge,
il grido lancia di sparviero: pare
tuono che l'aria e gli alti monti scota.
Balzano fuori come lupi, allora,
pronti a morire i villici dall'ombra; 250
urla di mischia, schianti di mitraglia.
Appena l'uno cede, l'altro azzanna,
a nulla vale scimitarra od urlo
al turco fante già stupito e vinto.
Ma chi si batte ancor? S'odono intorno 255
scroscio di ferro e lampeggiar di acciai?
Eppure l'ombra propria ognun ricopre.

L'un contro l'altro, a viso aperto, stanno.
S'imperla Il volto per la gran fatica
l'uno di taglio tira e l'altro lesto 260
para e di terza rapido risponde,
sì che al nemico il nero viso tocca
e da esso tosto rosso sangue sprizza
come zampillo per ascosa forza.
Allor si vede, come a Pasqua, il Turco 265
più che tamburo, correre davanti
ali incalzante insegna che lo insegue.
Lepre dinnanzi ai cani mai si vide
rapida tanto correre com'esso
saltar di gambe e volgere di prora 270
verso il largo finchè lungi si perde.
- Eja! Eja! - intanto gridano i rapiti
in altra Terra lieti al Ciel levando
le mani ancor legate alle catene.
Il pianto brilla per le gote al sole 275
ma non per duolo, no, si per letizia.
Vengono sciolti i lacci ed alle barche,
ben note per loro alberi slanciati,
lascian custodi; l'altra gente torna
al paese che attende. Già da valle 280
scorgesi folla che saluta a gesti.
S'ode la torre e far tosto corona
da Santa Caterina e Sant'Andrea,
i campanili delle cento chiese,

e il cor non regge a tanta gioia e cede. 285
Gaspare stesso con sua gente piange,
chè la parola a tanto gaudio intoppa.
Ricco bottino d'uomini e di cose
portò quel giorno a la saturnia gente,
e, al Castellano, onore grande e fama. 290
Ma ancor maggiore fu quando la porta
lustre mostrò le strade e bene ornate,
poi che ogni casa pavesò i balconi
come se il vincitore a nozze andasse;
di ginestre di rose e gelsomini 295
vivace pioggia sul corteo cadeva
che nel tramonto fantasia gentile
formava sui damaschi e su le sete.
Così quel giorno in gran tripudio chiuse.

Ma non fu lunga pace. Tempi crudi 300
furon quelli, cui pane era la guerra
con le razzie e la sopraffazione
sì, che per posa non arrossa il brando.
Oh, quante volte Gaspare in soccorso
giunse improvviso a debellare il Turco 305
lungo il limpido Jonio? Oh, quante volte:
ora a difesa dei Guardavalloti,
ora di Caulonia ed or di Locri
ovunque giunto fosse l'infedele?
Chi non rammenta la spedizione 310

che oltre il Jonio portò l'ardita schiera?
LEPANTO, dico, che di sangue tinse
il greco mare e risuonò di pianto
di bestemmie e di minacce e grida
che di Corinto e di Patrasso i golfi 315
di mille idiomi rintronar le sponde.
Colà di Cristo si gioco l'insegna!
E fu colà che in faccia al mondo il nostro
Toraldo, preso della sua baldanza,
issò l'insegna su battuta prora 320
fu prodigio certo e gran vittoria.
Caduto il vento, il mar tavola parve.
Non foriero di guerra, ma di festa
lo schieramento delle armate pronte
l'una di fronte all'altra. ALI' PASCIA', 325
uso all'orgoglio di trionfo certo, La battaglia di
una novella manda al Gran Sultano, Lepanto
mentre fa issare lo stendardo sacro
che in oro reca dei Corano i versi;
la REALE pur essa al sole leva 330
l'azzurra insegna con il Cristo in croce,
e don Giovanni, su la prora immoto,
sagace osserva la parata intera.
Da la turca Reale appena appare
azzurra nuvoletta, la cristiana 335
mitraglia giunge prima che il rimbombo.

Come caproni da la furia spinti
cozzan tra loro, ciechi e a testa bassa,
così dei Turchi la baldanza avanti,
dietro la foga dell'Alì, si scaglia 340
e non s'avvede che il maestro inarca
i suoi cavalli e il fumo imbriglia e acceca
sì, che già tardi la cristiana scorge
tonante e ferma, e loro in mezza mira
or dai poppieri facile e funesta. 345
Urla, bestemmie e suon di spade e remi
un inferno di fumo il mare avvolge
tal che la vista non riceve o mira
come i caduti ed i feriti l'onda,
sotto l'acceso sole, occulta e frange. 350
Su quell' inferno di ferocia e d'ira
"CRISTO E VITTORIA! AVANTI!" Un grido tuona
e di rimando da le navi “"CRISTO!"”
Si vede allora contro l'oste in furia
di belve più che d'uomini esser lotta. 355
Barberigo accerchiato non si arrende;
Francesco di Savoia e della Rovere,
de la Real Cristiana estremi eroi,
cade il primo colpito, cade il Duca
d'Urbino contro Caracosa. Tosto 360
rovescia il Fato la Bendata, e chiuso
Alì si trova; l'eroismo è nullo
dei Turchi a liberarlo; la battaglia

ben più si accende intorno all'Ammiraglia,
assalita dai Sardi cui fan dietro 365
i Calabresi con Toraldo in testa.
"VITTORIA! VITTORIA!" urlano i petti,
mentre dintorno la battaglia affioca.
Giace ferito Alì e, con lo sguardo,
indica ai suoi la stiva, ove il denaro 370
per il riscatto è posto. Bisogaso
avido e vile, gli mozzò la testa,
inutil scempio a la speranza vana.
iinutile anche l'ultima sortita
dell'infido Occhialì delle Castella, 375
che alla vela affidò la sua salvezza.
Il mare intorno a Lepanto rugliante
di caduti e relitti era cosparso;
il sol cadente, iilumindando l'onda,
rendeva tutto macabro e spettrale. 380

Ora il castello padron muta e nome Toraldo vende
chè Toraldo per Lepanto ha ceduto il castello
al signor di Squillace e questi quindi, a
al Ravaschieri di Satriano prence. Ravaschieri
Alta virtù. Di nuovo ai nostri lidi 385
giunsero i Turchi. ma veloce il remo
mostrò la poppa su la bianca scia.
Così questa marina abbandonata
ancor la zappa e il curvo aratro vide
e l'opra a gara nei giardini e gli orti. 390

Verdeggiarono i piani di frumento;
di aranci e di limoni, lungo il Bruda,
s'oscuraron le terre solatie;
ed anche i peschi ed i frondosi gelsi
bella mostra rifecero nel sole. 395
Ed era bello al tempo de le rose
mirar le donne ritornar coi sacchi
per fronda duri e ricantar di amore.
Danzarono pei colli come prima
le volubili viti inghirlandate 400
ed i castagni e la celeste quercia
che d'anno in anno, con nodose braccia,
la dolce ombra spargeva su la valle.
La sottostante risonante valle
per usignoli e innamorati merli; 405
e stornellavan le ragazze in coro
di loro veste spogliando le ginestre.
Le belle ricche vesti d'oro fino
ad infiorare a sera del Signore
le lustre strade in damascate a festa. 410
E rispondeva da l'opposto colle
allegro e forte e chiaro un altro coro
che sussultar faceva qualche petto.
Così la vita ripigliava il passo,
anno dopo anno, e il Turco era nel tempo 415
divenuto già favola indolore.
Ora la torre più non tuona all’armi

ma solo è voce di mestizia e prece
per la partenza che non ha ritorno,
o di ribelle popolo che chiama 420
a la rivolta contro tirannia,
o aiuto invoca per calamitate.
Vano l'aiuto non fu mai; una sola
famiglia era il paese e un cuore solo.

Molto tempo è trascorso. E chi al passaggio 425
contò le stelle a numerare gli anni?
Volsero i fati al peggio, e questa terra
il piede seppe di straniera gente
e la miseria quanto pesa, e l'onta
come l'anima lacera impotente. 430
Pure da qui partì l'aurora nuova
che luce alfine in tanta notte addusse.
Colui che a la natura l'universo
magia ed essenza de lo Stagerita
come nebbia fugando, a caldo pose 435
e a freddo il moto con la conoscenza;
e l'altro che a suo studio la coscienza
sintetizzando volse e l'lo e l'Oggetto,
radice s'ebbe in questa obliata terra,
quasi straniera a la futura Italia. 440
E il terzo, che fu croce a papa e chiesa?
Forte più che la roccia, ove pur nacque,
morso non sofferì a sua natura;

nè carcere piegò la gran cervice;
chè vane fur minacce con torture 445
dei tiranno giudizio ed a ragione
potè gridare che era nato solo
a debellare quei tre mali estremi
"TIRANNIDE, SOFISMI, IPOCRISIA"

O Gente mia, codesti ingegni forse 450
non bastano a dar lustro a nostra Terra?
A Te corrono i re, quando la guerra
incalza, o la miseria, a tasse corre;
o, peggio, fugge dai lor pie' la terra.
Lo seppero i Borboni a l'agonia 455
quando, scalzati per fatal miraggio,
vennero i Piemontesi a nostro danno.
Chè a la forca e a la fame in lor difesa
da l'aspre Serre e da l'oscura Sila
tutti i tuoi figli menar vanto e dopo 460
conobbero il sapor di amaro oblio.
E, quando poi chiamò l'Italia, ancora
col proprio sangue tinsero le rocce
e le pure acque del tremendo Piave.
Ma rinnovar non vol la gran viltate 465
del regio oblio cui il Brutio fu dannato.
Cantare voglio de la nostra Gente
l'umile vita e la dimessa mensa,
e del villano la fatica dura,

de l'artigiano l'opera che a Venere 470
il segreto strappò del bello e fama
di sè disseminò per ogni luogo.

La fame per la terra sempre sparse
i tuoi figlioli, e ancor lungi li caccia
a quello stesso treno de la sera. 475
Oggi si parte verso il Nord. Allora
si affrontava l'ignoto in braccia al Fato
per ben tre mesi d'acqua, lunghi e neri.
Si dissolveva il giorno sopra i monti,
quando giungean gli amici, e la rughella, 480
davanti all’uscio, come al dì nefasto,
a dar l'addio a chi si dipartiva
col dubbio in seno di non più vedersi.
Le amiche, coi bagagli issati in testa,
eran già per la via verso il Girone, 485
dove aspettava il carro col bovaro,
per trasportare tutto a la stazione.
Ma lì, davanti all'uscio, ognuno abbraccia
il partente; altri incoraggia, altri lo aiuta
a trasportare il sacculo ed intanto 490
piange la mamma silenziosamente,
singhiozza la sorella con la sposa,
che regge in braccio l'ultimo figliolo,
mentre altri le si attaccano a la gonna,
piangendo anch'essi come fontanelle. 495

Nè manca amico cui non bagni guancia,
nè vecchierella che non scuota il capo.
Smagrisce l'ombra intanto e la brigata
discende pei gradoni dissestati,
ciarlando e ricordando altra partenza, 500
e fatti e guai fra straniera gente.
Dagli usci e dai balconi altri saluta
"Addio, Compare! Addio!.. .Buona Fortuna!"
e la parola la tristezza tinge:
e il guardo lo accompagna alla svoltata. 505
La donnetta, di poi, con le vicine
dolente parla di fatalitate.
Ma ecco, al Girone è giunta la brigata;
altri son là che partono lontano;
ma non v'è chi accompagni o chi compianga. 510
Il carro parte cigolante e scosso
da la fresca brecciaia senza traccia
tra pianti di chi resta e voci roche
di chi per troppo pianto ha perso suono.
Così sen vanno verso la Marina 515
ma, all'ultima voltata di Mangiano,
agita ognuno bianco fazzoletto,
e il cuore a tutti è triste e senza luce;
l'ultima luce bacia la montagna
versando su le cose ombra e tristezza 520

Febbraio s'è affacciato ora sui colli
l'esiguo ruscelletto già si adorna
de le timide mammole; s'infiora
la collina pur essa a le pendici.
La vite, già zappata, ora si sveglia 525
e tutto che la terra a vita muove
ha brividi di amore. Primavera
a noi si volge da remoti lidi
e l'uomo si prepara ad impazzire
chè lecito diviene un giorno all'anno. 530

Già si annunzia nell'aria Carnevale:
i vichi scuri, le stradine apriche
mandano al cielo doloranti gridi
ed è vano implorar d'un'agonia
lo spietato coltello sgozza e spela 535
il tanto amato porco ormai maturo. Uccisione
Distesa com'è in rozza madia del
la bestia mostra sua ricchezza vera maiale
l'uomo l'apprezza, si compiace e dice
d'altri maiali, d'altri carnevali, 540
mentre per l'aria un odorin si spande
di rigaglie e d'aromi soffriggenti.
Fuori la tramontana schiera l'aria
il cielo di cobalto si colora,
Intanto voci sgangherate e rotte 545
s'odono spesso nel meriggio diaccio.
E' tempo d'annegar dubbi e ricordi
e in allegra follia mutar saggezza.

Ognuno impazza (o rinsavisce?), ognuno Carnevale
da l'imo caccia il desiderio chiuso. 550
Il ricco da straccione e questi in quello,
in donna l'uomo ed essa in lui s'informa,
e tutto muta volto, ed è baldoria.
Ecco il mugnaio con la mugnaina
infarinati montano cantando 555
timido somarello che restio
per la stranezza l'indirizzo svaria.
Altri si sgola in bacchica "battente"
dietro mordace canto alla sua bella.
Un gruppetto menare oltre tu vedi 560
falci non tocche e rilucenti intorno,
mimando il tempo della mietitura
con baccanali gesti e rauchi suoni.
Più in là, un mandolino e una chitarra
sciolgono a coppie insieme danze e cori. 565
Ma su la Piazza, in alto palcoscenico,
altri gesticolanti ancor la plebe
applaude e ride a lor salace motto,
ed è di Tespi la vagante scena
che, nata qui, da noi più non si spense. 570
E' satira che il popol stesso crea
e sparge per le strade del paese.
Ma improvvisa giunge or da la via
che per scale di pietra a san Nicola
ripida scende (e nel salir ti affanna) 575

ben ricca folla silenziosa e lieta:
una donna gentile, assai baffuta,
dai ricchi pomi va cantando a tono
d'odio e d'amore a la perduta amante.
Qui scontri Arlecchin, là mesto e solo 580
Pierrot tu vedi e un vecchio Pantalone
che presbite s'inchina a Pulcinella;
ma tutti a Bacco amici e sacerdoti
van barcollanti per piazzuole e strade.

Intanto alla finestra la donnetta 585
appende la Quaresima in gramaglie; Quaresima
sette penne di gallina il cinto ornano
che infisse ad un limon corona fanno.
L'affumicato e nero unico vano,
dove si aduna e dorme la famiglia 590
è tutto ornato di collane appese
da presso, in alto al focolar fumante,
a stagionar del porco le salsicce,
ma le cucine vaste dei Signori
anch'esse di salami mostra fanno 595
di ricchi e vari e di ben lustri vezzi
cui a ciondoli vi stanno i capicolli,
e grandi medaglioni di cotenne
e ben salate le squisite guance.

Ora, lettore mio, la Primavera 600
giunt'è con le sue rondini ciarliere;
a festeggiarla tutto l'universo primavera
con letizia si appresta. Il mar si placa
e tutto splende di profondo azzurro
di amor sospira e mormora sommesso. 605
Si vedon pesci risalir giocando
con i gabbiani cacciatori alati.
Ora la vela al sole ala di cigno
pare, oscillando con grazioso moto;
e là, dove la rena appen si bagna, 610
bianchi merletti la tersa onda crea.
E la terra, la terra ora si abbella
come fanciulla al dì degli sponsali.
Ma chi e come d'essa mai saprebbe
menzionare i colori ed i profumi? 615
Ha mutato il colore della spoglia
dove il verde variò l'erba matura;
e già oscilla la graziosa spiga,
l'azzurra spaderella dentro il grano.
Anche i campi fioriscono e la sulla 620
tappezza il prato di verde e di rosso.
Ma che hanno le campane stamattina? Settimana Santa
E' giorno delle Palme e dell'Ulivo
ed ogni giovinetta reca al tempio
di ulivo un fascio di rametti in fiore 625
o di palma intrecciata un bel paniere
che lieto benedice il sacerdote.

Domani speranzoso in mezzo al campo
il villico vi pianta pìo la croce
di canna cui legata è l'ulivella; 630
ma al fidanzato la fanciulla dona
il panierino per ornarsi il petto
ed egli, in piazza, vi passeggia altero.

Domani e dopo, per tre giorni, andranno visita ai sepolcri
a turno per le chiese visitando 635
il san Sepolcro, coi cantori in testa,
le tre Congreghe; cantano lo Stabat,
mentre il tamburo per le vie singhiozza.
Ma da l'Immacolata giovedì, Giovedì Santo
di pomeriggio, lentamente move 640
il gran corteo che segue Cristo vivo
trascinante la croce, cui dintorno
un branco di Giudei; con breve gladio
il capitano gli punzecchia il capo
e Lo flagella con sonante sferza. 645
GI'Incappucciati coi flagelli a sangue
battonsi le spalle, e gli Angioletti,
dalle grandi ali, seguono da presso;
confusi, muti, timorosi e belli,
fissano affascinati i Pretoriani 650
armati d'alabarda e ligneo scudo:
ALABARDIERI! Vanno muti e tronfi.
Luccica al sole la lorica al petto

di lamine di zinco ben tagliate,
mentre svolazza a tergo un infiorato 655
tappeto che lor funge da mantiglia;
davanti, invece, giù da la lorica, f
emminile sottana ricamata
fa bella mostra con mutande a balza
pur esse da merletto ricco ornate. 660
Reca inguantata la robusta mano,
familiare alla zappa e alla fatica;
dal destro polso pendagli con grazia
fazzoletto di pizzo profumato.
Monotona ripete a goccia a goccia, 665
Il tamburo la nota cupa a morto.

Così, Giovedì Santo. L'indomani Venerdì Santo
sarà giorno di pianto. La congrega
dal serico rocchetto nero reca
la graziosa Varetta, opra pregiata 670
di quel mastro Pappino Caporale
che dal Guerino l'arte bella apprese.
Di sei colonne ai lati essa s'adorna,
donde partendo altrettante aste snelle
convergono ad un punto e, in alto, fanno 675
elegante raggiera, cui sovrasta
elettacima ben tornita e svelta,
che a pinnacolo in alto, indi si aguzza
poi che nel legno scannellò l'ugnetto.

Tutta di velo delicato avvolta, 680
il corpo mostra del divino Ucciso
che par nel sonno riposar tranquillo.
Batte la turba coi suoi raggi il sole
per la petrosa ascesa del Convento.
Infine qui la scala si dispiana: 685
la mesta processione si discioglie.
Ora nel tempio la Varetta posa
e tutto d'allegria festante splende.
Gli adulti, i bimbi e tutti colazione
fanno pei prati e sul sagrato erboso; 690
i bimbi angelicati la ciambella
appesa al braccio sfilano frementi;
la ciambella di pane che la mamma
tutta ornò di bianche uova e dalla tasca
la bottiglietta d'acqua anaciata. 695
Intorno intorno nella festa immensa
che la natura allegramente effonde
felice anch'esso il popolo si spande.
Ma, giunta l'ora di tornar, la via
si rifà per discendere e salire 700
fino al Rosario, dove cessa il rito.
Ecco Il giorno di Pasqua! Ben stirato Pasqua
l'abito ognuno reca da vestire,
avvolto in gran salvietta di bucato.
Le campane già sciolte la vigilia 705
al "Gloria in excelsis Deo, ora pel cielo

spandono insieme per le vie dell'aria
la loro gioia dell'attesa santa.
Il Cristo si prepara a venir fuori
per le vie del paese che da morto 710
videro venerdì. Or non vi stanno
Cruciferi e Giudei, ma, sul portale,
all'unisono provano la voce
cinque tamburi e son famosi assai.
Ecco. Un profondo battito nel sole; 715
freme l'interno de la chiesa e muove
alto infiorato lo stendardo innanzi
e par, l'insegna, una gran vela al sole.
Così dal tempio come gran serpente,
esce la procession lunga e ordinata. 720
Nel sole, Cristo, ben formato e bello
benedicente, la destra alta, pare
che in voi si levi per mostrarsi al mondo.
Ma, mentre Egli procede pel paese,
la gente, a gruppi, a coppie, o ad uno ad uno 725
la piazza SANTA BARBARA vi affolla
che un granello di sabbia ivi cadendo
suolo non tocca tanta è fitta gente.
Su la piazza, ai balconi e fin sui tetti,
dove meglio dispiega i suoi colori, 730
cicaleccia la folla. Ora discende
chiusa in gramaglie, lentamente e mesta,
la bella Mamma, e, quando arriva al segno,

Una ventata di felicità
passa nell'aria e vi sommerge il cuore;
un pugnetto di lacrime vi scioglie
pur se il reale ti aridiva il seno.
Odi battere i petti, odi singhiozzi 765
mentre i Superni insieme al tempio vanno,
galleggiando ora su la gioia umana.
Musica e canto dietro loro; intorno
risplende e canta pur la primavera
da le antiche torri le campane 770
sciolgono un coro cui, dai colli aprichi,
di Santa Caterina e Sant' Andrea
rispondono festosi i campanili.

Quando poi al giugno cede il maggio aulente, rosario
e da le valli la frescura sale serale
l'aria è cheta e ridono le stelle,
empir la notte senti e la vallata
anche de l'usignolo il dolce canto.
Lassù, al Convento, la campana suona
timida e sola tra gl'immoti ulivi, 780
ultimo invito a la preghiera umana
del giorno che da un'ora s'è già spento.
Appena s'ode qualche voce monca;
rara parola dai balconi cade,
ma sorge da la via, dove già assise 785
sta la rughella, del Rosario un coro.

- 41 -
Come dolce e accorato nella notte
quel canto laudativo a Dio si leva,
canto di pena, di fatica e arsura!
Ogni rughella del paese manda 790
verso le stelle con quel canto il cuore,
l'anima ti scioglie a poco a poco
ogni memoria che ti fu sgradita,
e nuovo punge gran desìo di amore.
O Signore del mondo, anche colui 795
che gonfio ha mente di filosofia
picciol sè vede nell'immenso Ignoto,
che schiara altrui la via su questa terra,
come poeta cui scemò sua fiamma
dentro suo nulla senza stella vaga. 800
A tanta aridità non piove manna,
ma sol pietà di sè solca l'idea,
muto resta ad ascoltare il canto
di quest'anime oranti, oneste e pìe.

Non ha toccato ancora la cicala Mietitura 805
la cetra sul mattino; in ciel le stelle
impallidiscon come fa candela
allor che lo stoppino in essa annega;
in mezzo al grano sol da alauda s'ode
sommesso il pispiglio di sua canzone, 810
quando piglia l'avvio la brigatella.
Infila nei cannelli ognun le dita,

- 42 -

dalla guaina il mietitore leva
l'arcuata falce, lucida, affilata.
Tace la terra, tace pure l'aria 815
dentro il perlato cielo, ove le stelle
non fioriscono più e il venterello
fresco rinasce dai remoti colli,
mentre che l'alba tutto in rosa pinge.
Segnatosi la fronte, il mietitore 820
dentro il fitto frumento ora si caccia;
l'invisibile allodola dal cielo
lesta a mirar la novità vi scaglia
un suo trillante modular sonoro
sopra l'occulta dubitante prole. 825
E sorge il sole, e sopra l'onda gioca
a ripigliar sua forma e, intanto, varia
finchè lo sguardo non lo regge più.
Luccica il rio di tra gli snelli pioppi,
ed ogni foglia par d'oro si accenda, 830
mentre s'infila dentro gli alti culmi,
rapida serpe, la corrusca falce;
a ogni scintillio cede la spiga,
sì che pian piano il campicel si mostra
come testa cui sta ritta la chioma. 835
Or timida una voce accenna un canto,
cui più sicura una seconda segue,
insieme fondon, con la terza, un coro,
e questo tutto per la piana inonda.

- 43 -

Intanto un treno dentro ferreo ponte 840
a salutare lancia un fischio e scappa.
Ferve la mietitura per i campi,
confortata di frizzi e di stornelli,
di sudore bagnata e vino schietto;
su tutto il giorno la cicala allaga 845
con onda eguale di assonnante nota.
Alzano, dietro, silenziose e prone
le attente donne per l'ardente piano
gialli covoni sospirando sera.
E quando il sole lentamente scende 850
sopra i lontani monti, e i colli asconde
sotto dorato ordito, ognun s'appresta
a far ritorno a casa ove l'attende
la dolce sposa. A far la via men lunga,
l'opra del giorno va mimando grave, 855
così che il largo gesto e il roco accento
eschileo coro di funesto dramma
pare, e rivivi la severa scena.
Allora che si approssima al paese
chiassoso coro e rapida corona 860
sfiorandolo gli fan lieti rondoni.
Ma da la torre la campana annega
ogni voce, ogni canto, ogni parola.
Anche al meriggio, le assolate vie,
risonanti per pettini e per casse, 865

- 44 -

eran deserte; ma, dov'era l'ombra, .
la vecchierella, in conversari assisa, Pomeriggi
il fuso- non posava e la conocchia, estivi
mentre i fanciulli con bottoni e cocci
giocavan su la pietra liscia e netta, 870
con risa e strilli ravvivando il gioco.
Altri, cui il mar remoto era negato,
contenti si adunavano alla gora,
e lì, sfrenati in libertà verace,
in tuffi, spruzzi e strilli e alti richiami 875
passavano il meriggio allegramente.
Poi quando il campanone dal suo petto
svuotava sopra i tetti e per la valle
la sua possente voce, ognun fuggiva
qual passero dal grano al campanaccio. 880

O come piange la campana "Ndo…!” Morte del
pare le risponda anche la terra vegliardo
con l'eco triste che rimbalza a monte.
Salta nel petto il cuore, e la donnetta
sospende l'opra e corre a la finestra 885
a domandar novella a la vicina
che sta narrando su la via deserta.
S'aduna tosto, lì, la rughetelia:
il sarto a l'uscio con in man la stoffa,
la filatrice con conocchia e fuso, 890
e, avvolto il capo di candido lino,

- 45­

lascia la tessitrice il suo panchetto.
Rimbalza un nome: subito la via
di gran rimpianto e di virtù si colma;
ma, dopo, ognuna a sua lavoro torna. 895
-Era pur buono- esclama uno, e l'altra
-Però ...l'età, vedete?...Era maturo!
-E che lavoratore. . . gran maestro!
-Ottimo consigliere...
-Onesto e dotto!­
La nuova intanto per le strade guizza 900
da una terrazza all'altra balza svelta,
per tuguri e palazzi e alla campagna,
come un uccello nero si diffonde.
S'affastella il silenzio su la porta
del misero vegliardo. I paesani, 905
ad uno ad uno, col vestito a festa,
come api al fiore accorrono, e la casa
la scala e la via stipano mesti,
ad onorare chi donò suo amore.
S'ode remota, intanto, una vocina 910
di campanella, timida e lagnosa,
d un branchetto tra le case appare,
umile e triste coi pievano in testa.
Scopresi ognuno ed umile s'inchina,
come si accosta all'uscio del dolore. 915
Improvviso si leva alto clamore
e salmeggiante ricompare il prete,

- 46 -

seguito da la salma come agnello
su per l'umido vico a gradi ed ombra
verso il vicino tempio ov'egli nacque. 920
e la campana in alto lenta piange
sui grigi tetti declinanti a valle.
Il paesello è lì, che l'accompagna
per salutarlo, e non manca chi piange,.
e si lagna, e lo invoca a braccia alzate, 925
e dai balconi e le terrazze strilla
ch'ella tempo non ebbe a dirgli addio,
nè chiedergli perdono, nè la mano
baciargli per le offese a lui recate.
Intanto, grida, accenna con le mani, 930
quasi a tirarlo da la bara indietro.
e strillano sgomenti i nipotini,
udendo quella gente pianger tanto.
Ognuno è chiuso dentro il gran Mistero
che avvolge e piega l'uomo ad un destino. 935
Così sen va per la stradina bianca,
tra quegli ulivi ch'egli amò già tanto,
fino al chiuso giardino de la Pace
dove l'umano viaggio si conclude.

Ora su gli orti e le supreme cime Autunno 940
agonizza l'Estate sotto le ali
delle partenti rondini pel cielo;
s'ode pei colli di ghiandaia il grido

- 47 -

nel silente tramonto, cui risponde
l'acuto breve lacerante zirlo 945
del primo tordo dal dorato vischio.
Tiepida è l'aria: a la selvosa rupe
l'albatra arrossa dentro i bianchi fiori,
ed ai suoi piedi la gentil corona
apre tra l'erba il ciclamin turchino, 950
e la gran coppa l'odoroso giglio
che tutto intorno di profumo inonda.
Va passeggiando su, pei colli, Autunno Vendemmia
tenero ancora e con suo bacio immiela
la dorata mammella, e ingenuo pinge 955
or la foglia ad un gelso, ora ad un fico
che già donò suo frutto, e, dentro il nido,
si appresta la castagna al breve volo.
E' tempo vendemmiale. Il cuor si allegra
al fanciullo che attese tanta festa 960
nell'ardore di agosto; la fatica
al contadino si tramuta in gioia.
Si parte con, le stelle ed il sentiero,
lungo e petroso, lietamente scorre,
fino a la vigna che in silenzio pare 965
per l'opulenza di suo frutto soffra.
O come spira tenerezza al cuore!
Su l'alba sape di materna attesa,
e tu, conforto, nel mirarla cheta.
I fanciulletti subito si spargono 970

- 48 -

dentro i filari ricchi e inghirlandati
dove ride nel sol l'uva matura:
occhi di bimbi, lucenti occhi e belli,
come chicco che il sol lustra e ravviva!
La piccoletta mano col ronciglio 975
stacca il più bello e se lo caccia in bocca
donde pel mento il dolce succo cola.
Voluttuosamente. Intanto s'ode
lungo i filari un parlottar sereno;
ma più tardi si leva chiaro ed alto 980
femmineo coro che nel cuor ti scende.
Sono le donne coi cestoni in testa
che portan l'uva nel palmento vasto.
Qui, satiro moderno, l'uomo attende
a piedi nudi a principiar la danza, 985
si che da questa un rivolo di sangue
va nel pilaccio buio che s'interra.
Poi, quando il sole l'ombra al suolo scema
al fresco dei castagni i fanciulletti
van sdiricciando i ricci ove già bionde 990
attendono nel buio ad imbrunire
le castagnelle che l'autunno serba.

Ma allor che dalla valle dolcemente Veglia
sale la sera ed è la vite spoglia,
stanche le donne ormai a rincasare 995
si apprestano. Ma ad una un cesto colmo

- 49 -
d'inzolia, di zibibo e malvasia
issan sul capo a dispensar tra amici.
Restano a veglia pochi, e i ragazzini,
cui piace tanto quel dormir forese, 1000
ora che notte la vallata stipa,
versando ovunque conche di silenzio,
del calderone il borbottar sommesso
s'ode e più dolce rende al cor la sera,
mentre la vampa è più gradita al fresco. 1005
Adesso da l'arcano castagneto
giunge in sordina misterioso pianto
di solitario innamorato assiolo;
di quando in quando sottovoce cogli
del torrentello il mormorio soave; 1010
e, tra le fronde, l'ultimo squittio
del grasso ghiro che a dormir si appresta
dentro un castagno a trapassar l'inverno.
Nella mostarda che borbotta quieta
caccia goloso il fanciulletto un frutto 1015
che poi ritira cioccolato scuro:
e intanto il mosto si condensa in terzo
pei mostaccioli di future nozze
che in cuor la giovinetta già coltiva.
Sorge dai monti a illuminar la valle 1020
la bianca luna e sui fanciulli stende
soffice velo con disegni azzurri.
Or che dal mare lo scirocco giunge Partenza pei campi

- 50 -

col mantello di nebbia e la prima acqua
non ha più sosta il villico e sua donna : 1025
ovunque la fatica chiama all'opra,
giù per la piana l'ammollita argilla
su per i colli l'infeconda selva
qui gli aranceti, lì gli ulivi proni
aspettan tutti l'uomo che l'affranchi. 1030
Allora è tempo che la Musa imbocchi,
il Bastione lasciato, quella via,
che, sfiorando la chiesa, giù si cala
inflno a la Scanzata e in due si parte;
l'un ramo che per Crisima e Cozzale, 1035
abbandonando Ceri, il colle scala;
l'altro, che col Bruda corre a gara
dopo l'abbraccio con Graneli, e bagna
la grassa Porcheria, move il mulino,
immerso negli aranci folti e scuri, 1040
e pigri a mare insiem compiono il viaggio.
Quando il sol sorge e gioca a la marina,
giù per la china ben selciata in fretta
odi del contadin 'l chiodato passo
e l'alto conversar che l'accompagna. 1045
Anche vedi a Mingiano altri che vanno
e il lento carro coi pazienti buoi
e l'asinello col padrone in groppa.
Tutti il lavoro affretta : ed ora vedi
alcun sviare su per la montagna, 1050

- 51 -

altri un sentiero che lo porta al fondo,
e piano piano la grande acqua scema.
Ora il sole gli trae l'ombra sottile
lungo i prati e le viòttole rupestri,
mentre la lustra zappa all'aria brilla. 1055
Chi giunto è a suo campo a la marina
il bùmbulu dell'acqua e la salvietta,
che il magro pasto avvolge, alfin depone;
dapprima assiso la sua gamba avvolge
contro la gleba lo stivale e assesta; 1060
lo stival che la moglie un giorno trasse
da vecchio sacco con provato amore.
Segnasi pio e la fatica al taglio
de la vigilia, scamiciato, inizia.
Un palo appresta a la nudata vite, 1065
e, con amore, incolto pomo innesta.
Dove arida sterpaia era alla volpe
facile caccia e a la pernice pasco,
egli cantando di sudore bagna
e prima sbosca e sterpa e sfronda e taglia 1070
e a punta di piccone indi vi segna
i limiti del banco che vi scassa
per la cultura di futura vigna.
Ma se la roccia incontra è gran fatica !
Così per quanto quel pendio permette, 1075
a terrazze trasforma, ove, di poi,
filari pianta di vitigno e olivi.

- 52 -

Quando ritorna poi il dolce aprile
la terra spiana e a giusto passo caccia
la barbatella cui la marza pone. 1080
Allor che il tralcio poi di foglie s'orna,
e al sole porge pendule mammelle,
orgoglioso dl tanto, lieto leva
canto di amore che tra i monti echeggia.
Giunge ancora l'autunno, il ciel si oscura, 1085
la pioggerella quietamente suona,
ed egli a battezzar la botte nuova
chiama gli amici e ognuno assaggia e dice
dei giovinetto la bontà futura.

Chi mai per lui levò al cielo un canto Inno al 1090
per celebrar la nobile fatica? Contadino
Chi mai del solco celebrò la storia?
Pure l'umana mensa abbonda e allieta
col suo sudore senza mai riposo.
Tu partire no 'I vedi con le stelle 1095
pieno di sonno e di stanchezza, a l'alba;
nè vedi il suo ritorno in su la sera,
nè la fatica del suo lungo giorno,
quando la zappa al braccio si ribella.
Solo a volte il suo canto odi. E' la pena 1100
che il cuore accorda a suo destino amaro,
o del raccolto a la futura gioia
che gioia rende a chi l'assaggia e coglie

- 53 -

una lung'onda di felicità.
Dietro non segna, l'umiltà,. suo nome, 1105
ma quanti mai non furono maestri
in quest'arte difficile e costante?
D'esso cantò Virgilio la fatica,
mirando la campagna e il suo lavoro.
De le stagioni e delle creature 1110
porta seco l'amor che dalla terra
come di vita affiato a lui venia.
Laggiù lo riconforta ed egli in pace
penare udrà la vita sotto il sole.
Lo affliggerà, però, l'orrido mostro, 1115
sferragliante e fumoso, che la terra
strazierà strepitando con l'erbetta
degli alberi la barba delicata,
che nutrimento e forza ad essi porta.
Sconvolto come solco che là s'apre 1120
egli sente la fine che si appresta
a la sua razza, che ancora oggi dura;
anche del proprietario s'è perduta
la paterna figura che compagna
nell'ansia era al colono (ma non quello 1125
che a questi mai mostrò il suo ritratto).
Le stagioni allor furono col tempo
consiglio, attesa, credito e letizia,
sempre insieme a la pena e a la vittoria.
La terra ei non vedea solo per l'oro, 1130

- 54 -

ma come creatura che donava
a la non gretta mano e che bellezza
in cambio offriva del segreto affetto.
E chi non pensa al certo? e chi alla fame
che non perdona? Non la zolla ha colpa, 1135
ma il clima nei capricci rovinosi
che fiore e frutto alla rovina porta.
E' come l'uomo che, ammalato, muoia.
Colpa de l'uomo, forse? O che la terra
indispettir vuol forse chi lavora?
Fortuna misteriosa regge il mondo
e, nel rotare suo, pure la terra!
Ma i due si accompagnavano nel passo,
e l'un reggeva l'altro a la sventura!
Così da quella zolla una ben salda 1145
corda legava i cuori con suo nodo.
Ahi, la pena che impietra! Nella notte
scorge egli rovinar tutto il creato
come fradicio ciel che venga meno.
Sui suoi pensieri gli occhi stanchi volge 1150
dubitanti all'azzurro che si perde;
non più canti di uccelli o di cicale,
nè più di grilli serenanti a notte,
nè di ranocchi recite serali.
Neppure sotto il manto delle stelle 1155
serenate di amanti ansiosi e matti.
Carezza a la fatica era lo sguardo,

- 55 -

amorosa carezza a madre terra,
che, come un venticel blandisce il cuore,
parea che la stanchezza anche blandisse. 1160
Ferocia folle, questa, dei coltelli
nella carne di lei, ostia novella
alla dorata dea della Potenza
contro l'umile giorno faticato;
chè nato fu a crear, non a servire, 1165
chè la felicità nel dar si prova
non nel ricever chè la gioia è poca!

Il taglialegna parte con le stelle Boscaiolo
lasciando il suo giaciglio, e, su pei monti,
sale con passo silenzioso; incerto 1170
davanti al bosco prima egli si ferma
finchè dal mare non affaccia il sole
l'irte cime indorando e le alte vette.
L'enorme scure il vigoroso braccio
con arte dentro il sonno abile caccia 1175
e abbrivida la pianta e si contorce
la profonda radice dentro il buio.
S'ode femmineo canto, cui risponde,
da l'opposta pendice, chiara l'eco.
Poi quando il sole all'orizzonte sale, 1180
cessa la scure; chè quei a mensa siede,
mentre si leva da assolata selva
di ascoso gregge pur belar remoto.

- 56 -

Or nel silenzio, la gioiosa voce
d'agreste fonte tu odi da presso, 1185
cui Intesse d'uccelletti allegro coro
lento rotante dall'azzurro scende
sonoro il grido di sparviero intorno.
A quando a quando di uno scoppio a valle,
cupo tra i monti lo schianto rimbomba. 1190
Monotona ripiglia ancor la scure
e l'eco si rincorre per le valli;
ma quando nella selva e nella valle
scema la luce, cessa. Egli s'appresta
a rincasare con pesante passo, 1195
mentre i silvani tacciono nel sonno.
Anche il paese nel silenzio affonda
taccion le strade desolatamente
sotto i pallidi lumi de le case
che han già raccolto in sè le sparse voci. 1200
Ma al mare vanno come bianche rose
dentro la notte le lampare in fila,
e dal convento una vocina scende
che in tanto buio il cuore umano tocca.
Le stelle già si adunano nel cielo 1205
a riguardare gli uomini e fan luce
al fiacco pie' del boscaiol soling
che tacito ritorna a la famiglia
sempre smaniosa per la sua ventura.

- 57 -

Dalla profonda valle odi la voce Raccoglitrici
delle raccoglitrici spensierate 1210
lente salienti su per l'erta opposta
che dai giardini reca a la maestra
dove un carro. l'attende. -Ecco: le vedi su
per il viottolino serpeggiante
che più biancheggia tra la verde fratta. 1215
Cantano in coro una canzon rapita
al vento freddo della bianca Sila
Ed è la vita vera che s'incaglia
dentro le note chiare del cantare
la dolce fola dell'amore atteso; 1220
lievita il canto la sopita pena
di quel salire il viottolo serpente,
di quel salire con la cesta in testa
per quanto è lunga la giornata intera,
con quei cestoni ben colmi e pesanti 1225
di arance gialle che il veder ti allegra.
E dalla piana giungono altri cori
sotto gli ulivi pallidi e piegati
dal grave pondo benedetto e amaro.
Sono altre donne, prone ed accosciate, 1230
dalle indurite mani che dal suolo
ragnano svelte le cadute drupe.
O come duole la curvata schiena
e come il tramontano morde al sole!
Ma le consola il suono del pastore 1235

- 58 -

che dal caprino vello accordo trae,
sorgente forse da universa pena.
Bela l'armento e fa la ninnananna
augusta e sacra e il tener grano imbeve
ed il frusciante argento degli ulivi. 1235
L'aria si gonfia e il sole si rallegra
sopra il bucato tra gli sterpi teso
e tutto piglia gioia da quel sole.
Il torrentaccio solitario canta
nel fondo valle tra albicanti sassi; 1240
ma dalla torre che raggiunge il cielo
festoso scampanio sui tetti versa
ed ogni cosa di letizia s'empie.
il cuor si placa. Odore di natale,
sapor d'infanzia e di perduti affetti. 1245

E' giunta l'ora che il mio canto scenda Artigiani
ad onorare l'arte e la bottega,
dove vince col cuor l'umano ingegno.
Era, il paese, di artigiani fiero
da gara e non da invidia avanti spinti, 1250
chè da l'opera ancora oggi si noma
quale maestro delicato e sommo,
e mai l'imbroglio malfamato fosse.
Grand'arco in sul principio alto s'incurva

- 59 -

e amico s'apre a chi di fuori giunge; 1255
il suono del lavor così risuona Fabbri ferrai
che alla speranza il cuor subito s'apre.
La prima porta a destra offre l'inferno
rutila fiamma e, su l'incude, il ferro
dintorno sprizza come stella franta 1260
mille scintille quando maglio cozza;
esso si torce, si ritorce e affoggia
obbediente alla mente, oppur si allunga
quasi vivente serpe, e riscintilla.
Tinnula a lungo e per la valle suona 1265
quasi campana la cornuta incude;
or nel dallare diavoli sono essi,
i forti fabbri, e insieme l'ampio cerchio
traggono fuori con tenaglie ardenti
dal grande. fuoco, ad incerchiar la ruota 1270
tra l'incrociar di voci e di comandi.
Anche te invade un impeto d'orgoglio
d'essere pure tu come essi uomo.
Mira: con acqua rapidi sul ferro
mandano fumo dai brucianti quarti; 1275
più non fucina,ma un inferno pare,
e diavoli anneriti essi a loro arte.
Quando fumante ancor la ruota giace,
tra lor giulivo col zinal cuoioso,
ed arso il volto, calmo il mastro appare; 1280

- 60 -

mastro Pasquale, muscoloso braccio,
che i giovani apprendisti a gareggiare
nel lancio di volanti arcuati ferri
dal bue consunti già. Ecco nell'aria
rapidi guizzan sfavillando al sole: 1285
alcuno quasi uccello colto all'ala,
dopo breve arco a valle chiude il volo;
altro volando verso opposto colle
appena il muro della strada sfiora,
dove segata al sol resta la stoppia. 1290
Intorno intanto capannello gode
e plaudente la vittoria premia.

Di sopra a la fucina i Caporale,
germani al fabbro molto cari, stanno;
con ascia e pialla, con scalpello e voce 1295
accrescono il clamor si che la valle,
verde di aranci e per ruscello fresco,
tanta gioconda vita intorno echeggia.
Mastro Peppino, ingegno vivo e guida,
cui difetto non fa buon gusto all'arte, 1300
con matita e compasso e squadra traccia
novella forma per squisito arredo
o capitel corinzio a la colonna;
o dolce gola di cornice eletta.
Francesco esegue con scalpello il segno 1305
per adornare gran portone o stipo

- 61 -

chè a Napoli i segreti di loro arte
dai Guerini il maggiore e all'Accademia
l'altro, colsero. Intorno, d'ogni etate
stan discepoli attenti, e chi la colla 1310
difficile arte, scioglie; chi col tornio
svelta colonna cui poi foglia incide;
un altro tira a mobile cornice
e infine v'è chi canta mentre liscia
di ciliegio pannello acceso e bello. 1315
Mani operose, intelligenti mani,
dalle carezze delicate e lunghe
anche se il ferro vi scarnisce o taglia,
voi da l'ombra tornate e l'opra santa
da voi lasciata a questa ripa vive, 1320
e con orgoglio si commuove il core.
O benedette mani che creaste
le cose belle che or non si san fare!
Su questa stessa via altri mestieri
è d'uopo rammentar nel mio cantare. 1325
Alto robusto dal ben largo petto
Vincenzo Guarna è di color cognato
che a Messina ed a Reggio un giorno apprese
come botte e baril la fiamma incurva.
Chi nelle fiere del gran Golfo ignora 1330
i suoi barili dai curvati fianchi,
orgoglio e gioia a la fanciulla quando

- 62 -

ritta e fiorente da la fonte torna?
Ricordan tutti quel gioielli eletti
che più non usano oggi e che oramai 1335
non usan più le fonti di campagna
dal cuore della terra all'ombra nate
di antiche querce tra mentastro aulente.
Prima che ai Pezzi giungi, un altro incontri,
rosso di pelo e di pupilla azzurra, 1340
di lingua sciolta e di loquela ricco
stridula alquanto per cricchiar di denti.
Fermati un poco e miralo di molto,
chè più non rivedrai la stessa copia!
Un vitone di legno incide e scava, 1345
difficile opre, da giallastro gelso,
onde di poi vedrà pianger le coffe.
Avvolge egli di canto l'opra e spesso
predica all'aria, e de l'antica Bibbia
orrendi squarci a lungo vi declama. 1350
Al passante, poi, grida: "”-Udrai di poi
stridor di denti e brucerai in Inferno-"”
Ma quando l'opra alfin reca al cliente
gli ridono con brio pupille e volto;
ma più quando rincasa che, seguace 1355
del figlio di Semele, offrl cratere
sì che la terra tutta intorno gira
ed ei di tanta gioia molto gode.
Mastro Vincenzo 'u Zurru, falegname

- 63 -

cui il mondo intero sorridendo "Ave". 1360
Quando egli finalmente a casa giunge
non sopporta star chiuso e fuori esce;
scamiciato si asside, anche se piove.
La Bibbia in mano, ristridendo i denti,
predice il finimondo e tutti esorta 1365
novello Decollato, al pentimento.
Nessun si ferma e sorridendo passa,
mentre la moglie pudibonda 'l prega,
ed egli duro. Stride i denti e strilla
nella biblica immagine compreso. 1370
Infin rincasa che già l'aria imbruna
e per la strada più non passa alcuno.
Ora la strada incurva e della Posta
l'insegna scorgi. Scendi la scaletta
e nell'ufficio il Direttore vedi: 1375
don Ciccio, dai mustacchi folti e grossi,
donde un sorriso spesso si diparte
bonario, ridanciano; egli a le donne
gesticolando con la mano tocca
il seno e ride e pizzica e carezza 1380
senza offesa, sondando altrui desio.
Se un telegramma giunge, allora strilla
per richiamare il fattorino addetto,
che sta vicino, dentro un sottoscala;
il nome porta di "Surdu 'e Garetta", 1385
un secco ciabattino, miope e sordo,

- 64 -

che batte e batte e porta il tempo al canto
variandolo col naso divertito.
In tanta solitudine gioco era
che solo vi regnava la sua donna. 1390
unica fonte ad ogni cura e gioia.
Quasi orbo; se poi ti scorge, a smorfia
il piccol viso atteggia nello sforzo
di ravvisarti alquanto e ben ti fissa
dietro gli spessi occhiali, a bocca aperta. 1395
Se poi tu accenni a quel suo noto canto,
cogliendolo sul fior de la tua bocca,
""Oh, quantu è mbella Ccicca mia" pian piano
egli ripiglia””Cche mbella! Cche mbella!" '
e sempre forte, più forte ""Cche Mbella! 1400
sì che da lungi udendolo, sorridi.
Siamo arrivati a piazza SAN NICOLA,
chiusa a levante da l'antico tempio,
a Sud limitata da un sedile
che tutta aperta lascia la visuale. 1405
Su la convalle si apre ed a GIAMBARTOLO,
alle cui falde va COPINO allegro.
Lungo il sedile in pietra, ove gli anziani Piazza
pigliano sole nel freddoso verno. S. Nicola
Chiude il sedile una fontana e schiocca 1410
la sua frusta di argento sui barili.
Il vecchierello là, seduto al sole
racconta cheto la sua vita agli altri

- 65 -

che silenziosi a lui tendon l'orecchio,
mentre dintorno, sui barili assise, 1415
serene donne aspettano lor turno
e, nell'attesa, qualche nuova affiora.
La campanella al vespro umile invita.
A frotte da la scuola come uccelli,
chiassando gli scolari, al gioco pronti, 1420
giungon di corsa; par sorrida il SANTO
da la cimasa col bordon di pietra,
quel san Nicola a cui la chiesa è sacra,
vescovo antico con mantello e mitra,
che trasse da le fiamme tre innocenti. 1425
Ma vedi uno, laggiu, cui gamba manca
solitario mirar la fanciullezza;
siede fumando una pipetta, e intanto
approva la perizia; ma la gioia
tosto il ricordo della assente spegne. 1430
Altro vicino, sta poggiato al muro
e al PIAVE amaro pensa ove l'ha persa,
e al sacrificio che per lui fu vano!
iI primo cuce per campare; l'altro
il giorno appende a sua magra pensione. 1435
E quale prezzo può pagare un arto?
Chi ripagare può la giovinezza?
Passa col tempo ogni presente e more
dentro la propria cenere la fiamma,
e resti abbandonato in tua disgrazia!!! 1440

- 66 -

Or guarda don Andrea, dal grigio pizzo
che quieto fuma la sua lunga pipa,
fratello al fabbro, che col capo accenna
sbirciando il tabacchino, e il sol si gode.
Narra pure egli de l'antica etate 1445
quando da finanziere a Como, andava
di notte a caccia di contrabbandieri.
e il suo racconto si tramuta in gesta.
Volgiti a destra e la salita a scala,
affronta con coraggio e buona lena; 1450
essa si stringe tra palazzi antichi;
e se improvviso gran belar di agnelli
ti giunge, non temer. Nulla di male,
in quel mare di velli, ti accadrà
normale scena è questa, che il ritorno 1455
primo fra tutti è quello delle greggi, n vespro
che fa ricordo di lontani tempi.
Fermati ancora, lasciale passare,
e mira intanto, in cima al tempio il gallo
ch'indica il vento nel soffiar del giorno. 1460
Squilla la campanella de la pieve,
giunge la vecchierella lemme lemme
con la corona che le pende in grembo.
Lasciano i vecchi il sole, e anch'essi vanno,
l'un dietro l'altro, a capo chino, assorti; 1465
or pel sagrato si diffonde il canto
della miseria umana che rattrista..
Inizia, dunque, la scalata grave

- 67 -

Inizia, dunque, la scalata grave
che, a gradi larghi, in pietra, a monte sale,
partendo in Manco e Destro il mio paese. 1470
Ecco che incontri un gran portone, a dritta,
con portale ciclopico assai bello
vedi il grande uscio rivestito in ferro
cui normal varco s'apre angusto in basso.
Due altissime colonne in sasso ai lati, 1475
da grossi piedistalli sostenuti,
reggono in cima una terrazza altera
per balaustra lavorata in ferro.
Belle foglie di acanto al capitello
fanno gentil corona dal cestello. 1480
Oltre la soglia, androne immenso trovi
con vaste lastre di tagliato sasso,
dove la voce incerchia e vi rimbomba.
Qui regna Sartagalli, senza nome;
secco, scarnito, giallo, occhio sorcigno. 1485
Tu non lo scorgi, m'egli dal guardiolo,
invisibile anch'esso in tanto buio,
dove qual cane dal padron fu posto,
t'ha visto, conosciuto e ti saluta,
celando in fretta, rispettoso e chino, 1490
la pipetta di creta intartarita
dalla breve cannuccia maciullata.
Qui regna, ma dov'è cognito assai
è la strada. Ogni strada per cui passa

- 68 -

sempre scappando per discese e rampe, 1495
salterellando sì che SARTAGALLI
senza altro nome fu sempre chiamato.
Egli è portiere, messo, e messaggero
di amorosi convegni e d'altro ancora
che al suo grasso padrone in testa frulli. 1500
Quando giunge qualcuno, a lui compete
soffiando nel citofono, annunziarlo.
Due grandi oche con lui la guardia fanno,
che chiasso orrendo levano se alcuno
il limitar di ferro osa varcare, 1505
o, peggio, se la pianeggiante scala
cominci egli a salire. Allor si affaccia
una testa da l'alto e par mozzata,
sì ch'esse a poco a poco tornan chete.
Sale di piano in piano la scalea 1510
e ad ogni ballatoio poi si allunga
ed ai due capi un uscio s'apre o chiude.
Molti figli nei tempo ebbe il casato
etutti, in quella casa, insieme uniti
vissero tutti di una stessa idea : 1515
di tanti uno soltanto si sposava,
ed a quel solo l'aver figli e roba;
agli altri concubina era concessa.
Avveniva così che ognuno fuori
viveva amministrando per quel solo, 1520
e sovente quel solo e la famiglia

- 69 -

a Roma stesse ed al paese gli altri,
ed uno al tempo della nostra storia.
In un mare di noia e di pensieri
annegava la vita del barone. 1525
La sua gran mole è tanta e tal che un passo
múover non può senza altrui soccorso
chè il grasso da ogni parte l'inguaina,
e un materasso pare più che lardo.
Ha collo breve e grosso; il qual si perde 1530
tra busto e testa che da men non sono.
Cento orologi, di diversa foggia,
con cento toni orchestrano dintorno
sì che non sembran misurare il tempo,
ma posti là a fucinar la morte. 1535
Quattro sbarre di ferro il letto reggono
che di una piazza e mezza allarga il piano,
dov'egli, a sera, al sonno il corpo affida.
Una parete adornano le chiavi
che sono tante e tali che mai due 1540
nonchè conformi, simili non sono.
Qua, una giganteggia di tal peso
che a pena un forte braccio la sostiene;
altra poi pende che la piccolezza
più che di chiave l’aspetto ha di grillo 1545
e in man di bimba si disperderebbe.
Qui regna. Qui riceve e qui si ciba,
qui dorme e qui riceve, qui s’adira;

- 70 -

qui, come grilli, saltano le cifre
che a sera segna con antica penna: 1550
or di tomoli ed or di litre o giorni
che a suo favore il contadino serve,
quel contadino che, domani, vecchio
recherà sua miseria al gran portone,
a stendere umiliato a la pagnotta 1555
l'inerte scarna mano che fu attenta
ad ingrassargli sempre la fortuna.
Ma or ripigliamo la scalata a monte
che riposa là, dove una chiesetta
tranquilla siede in mezzo alle botteghe. 1560
Dapprima, dove incrocian cinque strade,
santa Maria in Crignetto essa si chiama;
qui sciacqua una fontana e sciacqua e sciacqua
col tempo che misurano i martelli
di quel mastro Saverio Mattengano 1565
che coi figli risuola e che raffina,
ed ogni colpo una canzone insegue.
Ma tutto rompe di Patato il grido
magnificante il pesce fresco e buono,
a santo Michianò pescato a notte. 1570
Tacita Gianna dalla sua osteria
guarda chi passa, se un beone giunge,
ma ognuno passa e sale a la gran piazza,
cuore del mio paese, ove ancor resta
l'antica pietra de la Mezzarola 1575

- 71 -

misura esatta per granaglie un tempo.
Mira inoltre la grande chiesa Madre
del Salvatore ed il palazzo. Guarna
da volgare gentuccia oggi abitata.
L'abitava a quel tempo una famiglia 1580
delle più antiche e nobili del loco,
come l'altro che alberga oggi il Comune
e che ai suoi dì fu dei CAPOREALI.
Dei primo, attore estremo fu Vincenzo
di don Peppino figlio; egli si uccise 1585
per la miseria nella quale il padre
morendo lo lasciò, crudele esempio
d'egoismo paterno, chè un mestiere
ben dar pane potea a quel figliolo!.
Resta ancora lo storico mignano 1590
donde di Badolato la parola
al vento dei potere fu affidata,
oscura molto, e spesso falsa e vana.
Ogni promessa ed invettiva udia
l'antico campanile comunale, 1695
che de la plebe il palpito tradusse
in risonante appello a tutti aperto;
o di tempesta che l'alma selvaggia
spiegava al vento, le campane attente
tempestavano l'aria, e il. suono ancora 1600
le valli empiva e ne tremava il monte;
ed era voce di sommossa oscura

- 72 -

contro la prepotenza o il mal governo!
Orgoglioso levava al ciel la fronte
e guida certa al popolo ribelle. 1605.
Or non è più, chè i facili guadagni,
temendo di sua voce. l'alta sferza,
han decretato la sua morte e, mondo,
han derubato le robuste mura,
e le campane, issate poi dal prete 1610
per vanitate su meschina gabbia
(e non erano sue, ma del Comune)
onde l'antica portentosa voce
che Coscia e Staletti ancor rammentano,
ora pietosa sopra i tetti affioca ! 1615
Oh, come la viltà vince la fronda!
Non rinnoviamo, no, la gran miseria
che ancora soffia su le nostre case.
E ripigliamo pur l'antica via.
Ora la Piazza si restringe e ondeggia 1620
di canto, cui metronomo è il martello:
se fermi Il passo, tu stupito resti.
Chiara una voce e dolce un'armonia
in cuor ti scende e l'anima ti mosce.
Mastro Pasquale egli è, Corea nomato, 1625
che, solerte artigiano, opra cantando.
Gentil sentire e magico volare
che Verdi giunse tra modesta gente,
e Bellini e Mascagni con Puccini

- 73 -

ad allietare l'aria e la fatica. 1630
""Pura siccome un angiolo””.. e la voce
solenne piglia volo e tosto un coro
ad essa unisce ben più vasta nota.
Come leggiero sul capretto passa
l'affilato trincetto, e piglia forma 1635
la lucente tomaia. Egli, maestro,
coi canto segue l'elegante scarpa
quasi desse, quell'arte, sua bellezza.
Forse, tagliando, vede sfavillanti
palchetti d'oro e fascinose donne 1640
dai graziosi calzari in bianca seta,
e chi ode vive ancora antiche gioie

Vegliardo, intanto, lo speziale Coscia
nel suo mortaio pesta l'erba, e il tempo
con il pestello sembra accompagnare. 1645
Sordo da presso, quasi cieco e muto,
unico avanzo di famiglia illustre,
sta ritto all'uscio don Peppino Aponte.
Cogitabondo, solitario e curvo
alza ad ogni ombra il capo, ed un saluto 1650
accenna appena e dubitante fissa
come volesse a sè trarne la forma.
Dove poi il Corso incurva incontrar puoi
a pie' di somma scala, assiso e solo,
un che ripensa a le sue cacce antiche, 1655

- 74 -

quando la quaglia la scampava e a lui
restava in aria svolazzante foglio;
chè don Saverio Militerna usava
come stoppaccio pezzi di giornale.
Ma ecco che là si ferma don Peppino, 1660
cacciatore di donne e di pernici,
a chiacchierare un poco con l'assiso
cui di cartucce e quaglie ora discute.
-Don Ciccio 'e Caccia, certo don Saverio
li comprava per te tutti i giornali..." 1665
Si ride intorno, ma don Ciccio irato
bestemmia i Santi e qua e là dimena
violetto il naso butterato immane.

E adesso che la strada apre suo grembo
scendendo in corsa e del castello cinge 1670
gli alti petrosi fianchi e l'orizzonte
verso i Baglivi uviferi e Frappietro,
ora è di rammentare l'ampio Fosso
dove la prepotenza armò la mano
dei Caporale e cadde un brigadiere 1675
che amore spinse alla soperchieria
sopra l'inerme giovanetto imberbe.
Che c'entrava costui se la bellezza
il Piemontese avea disarcionato?
Pensava forse che la donna bella 1680
ceduto avrebbe per sì bell'amante?

IL CORSO CHE SALE A GRADINI PALAZZO PAPARO

- 77 -

Era di Pasqua. Dentro san Domenico
il popol tutto l'omelia ascoltava
della Resurrezione e della Pace,
quando un amico, con affanno, il fatto 1685
a Domenico narra. Questi corre
del fratello in difesa, inerme e solo,
che il brigadiere con follia spingeva
verso il burrone senza fondo e scuro.
Là si fermò la storia, chè la spense 1690
la fedele arma e perciò stesso vide
la montagna i fratelli, ove a quel tempo
scappava chi aborriva i Polentoni.

All'ombra estiva, su quadrati sassi, Al rezzo estivo
la Galantomaria qui radunata in Piazza Fosso 1695
sedeva in conversati di alti temi :
della campagna, del Comune e pranzi,
finchè del mezzodì s'udiva Il tocco.
Ma se da Santa Barbara apparìa
la bella forma d'una donna snella, 1700
con un fascio di legna su la testa,
allor la comitiva si attardava.
Era l'ora che giù, da la montagna,
a fila Indiana e con gran fascio in testa
giungevano le donne in gran parata, 1705
eretto il busto e modellato il seno,
il volto rubicondo e gli occhi bassi,

- 78 –

lievi danzanti su lo svelto andare,
vestali belle d'un perduto rito.
Dimenavano sopra il nudo passo 1710
la coda dei "lubretto" .ed era grazia
che beltate ne inchiodava il guardo
restava ogni astante senza fiato.

"O dove andate, -in cuore ognun diceva­
o dove andate sì graziose e belle? 1715
Fantasmi siete in sì femminea forma
o del mio desiderio ombre fittizie?"­
O bellezze di forma e di movenza
dove sono esse che non son più vive?
Arcuato un braccio al fianco e l'altro al fascio , 1720
danzatrici parevano gentili
di quell'antica danza a nostre feste.
Ma poi che la sfilata era lontana,
qualcuno si svegliava e l'alte forme
esaltava e la grazia de l'andare; 1725
altri dl amore la virtù vantava;
sbocciava a tutti, come fiore, un sogno.
Al suono, poi, del campanone ognuno
per la sua strada lento si avviava.
Era il paese dei remoti giorni, 1730
limitato da chiese e campanili,
con le sue piazze piccale ma care,
colme sempre di anziani e fanciulletti.

- 79 –

Lungo filo di vita e di ritorni
Essi l’ ritornavano amorosi
Quando vaniva con l’età il meriggio. 1735

E lì ritorno anch'io coi miei fantasmi,
a piazza SantaBarbara che vide
la remota mia età, piena di favole,
la casa ove fiorì la prima infanzia. 1740
Ròsa dai venti e da le forti piogge,
mostrava a le stagioni la sua pelle
a solchi aguzzi, a squarci, a gobbe e fosse
Santa Barbara mia, nuda e assolata,
asilo dolce ai giochi e a le scappate 1745
per aspri colli e verdi orti e giardini.
Una fila di case, umili e basse,
quasi unite a goder tranquille il sole;
non chiasso, intorno, di carrozze o carri,
ma gioia mite candida di bimbi. 1750
Qualche donna filava, altra incannava;
la "Maddamma" tesseva, e si spandeva
il tricche-trac intorno del telaio
che accompagnava della tessitrice
chiaro stornello di sognato amore. 1755
In tanta quiete ergeva la mia casa
la bella forma con gli alti balconi
agli orti aperti, al mare e ai verdi colli,
al lieto scroscio di Copino erboso,

- 80 -

e al fresco canto de le lavandare. 1760
Un orto, ai piedi, si stendeva al sole
con grandi ricche opunzie che, nel giugno,
accendevano fiaccole all'Estate,
e su la sua agonia frutti squisiti.
Qui trascorrevo il giorno; una capretta 1765
lattifera maltese, erami accanto.
Breve angolo di terra era quest'orto,
dove libero uccello io mi perdevo,
tra fitti fichidindia e qualche ulivo,
a far stendardi dai vivaci fiori, 1770
ch'ivi all'ombra od al sole rinvenivo,
quasi a far festa al canto di mia madre
che dal telaio chiaro e fresco intorno
con quell'ugola d'oro vi spandeva!
O le stupende gare al calmo vespro! 1775
or con le bocce colorate e tonde,
ora col cerchio di vecchio barile,
ora col` roccicì" o a nascondino,
oppur coi sassi a fare aspra battaglia.
Ma quando ottobre si affacciava agli orti 1780
si scavavano in terra tre fosselle,
vertici chiari di figura esatta,
e con l'arancia verde si tirava
e doppio punto se finia a la grande.
Però se il riccio nella selva apriva 1785
il borsellino di perlaceo raso

- 81 -

si giocava a "casterace" . Gioia era,
se vincitore ti portavi a casa
in cambio di castagne, una pignatta;
chè gli "argagnari" ailor di sant'Andrea 1790
scambiavano con fichi e con castagne
piatti, pignatte ed altre cose belle
.Ed era il tempo della ninna-nanna Presepe
che la zampogna il grande petto enfiava
e, dagli ulivi, le raccoglitrici 1795
il mesto e lento canto di Natale.
Noi si tentava ai cànnico sonante
le dolci note de la pastorale
per far corona poi a la ciaramella
nella penombra della grande chiesa; 1800
dove un presepe con le candeline
si animava per noi di fantasia.
Lasciavan la bottega i falegnami
per disegnare, erigere e ordinare
quel vasto paesaggio francescano! 1805
Era per me una favola. Vedevo
su per i colli in ombra i paesini
con le casette illuminate appena;
scender vedevo gente a la pianura
per biancheggianti viottole rupestri 1810
come nastri di seta. Biancheggiava
pei verdi greppi e per le ardite balze,
la sparsa greggia intesa alla pastura,

- 82 -

mentre il pastore, dentro manto a ruota,
súonava curvo a ritmo danzante 1815

la cara ninnananna natalizia.
O tempi! O gente pudibonda e pia,
quanta di tenerezza mi recate
in quest'etate ingiusta e senza Dio!
Era pur dolce stare al focolare, 1820
mentre di fuori nevicava e il vento
mormorava sommesso antiche fole!
Stava serena la famiglia a mensa
aspettando il Natale a mezzanotte. Notte di Natale
Nove specie di frutta e vino nuovo 1825

spillato appena dall'intatta botte,
eran di voto; c'era la frittura
con l'immelata bionda pignolata
e il bruno dolce croccante confetto,
lucente ancora, e i fiocchi inzuccherati 1830

ma il dolce più soave era la casa.
Suonava mezzanotte al campanone
... ndan ... ndin ... ndooon ! Si esultava: “È nato! E' nato
E, risvegliate le altre, in coro "ndo...ndon!
Udivi rimbombar nel buio a valle 1835

il tonar degli schioppi e dei petardi.
Ammiccavan dal cielo anche le stelle
e per gli opposti monti le campane
e le vallate intorno e gli alti poggi
profonda l'eco rimbalzava "E' nato!" 1440

- 83 -

e le case e le strade le lucerne
accendevano tosto ed il paese
altro presepio mi parea nel buio.
E tutto di letizia si vestiva:
ogni offesa cadeva nell'oblio, 1845
ogni cuore, ogni volto era di fuoco,
che pareva esultasse l'universo.

Tempi sfatti dal vento tempestoso
Guerre che valse ad uno sùbita ricchezza
ed all'altro la sùbita miseria : 1850
colei che andava a legna per campare
si svegliava "signora" con borsetta;
e chi in carrozza andava, ora va a piedi!
Così che l'ignorante apparì dotto
e a sindaco fu eletto o a deputato. 1855:
Ahi, la miseria! La virtù sepolta
da sotto terra mira altra erba al sole!
ARROGANZA VILTATE IPOCRISIA.
Dall'America allora il peggio giunse
il meritricio libero per via, 1860
poi che si volle il giusto loco chiuso;
e la droga che porta all'altro mondo,
e il sequestro e la banda e la guerriglia
intesi a la ricchezza senza pena.
Più non giungono i Turchi a la marina, 1865
ma i nostri son più facili al sequestro!

- 84 -

E chi più pone mano a legge o spade
per ripulire quest'Italia bella?
D'essa poeti e musici ed artisti
esaltavano un dì bellezza e pace. 1870
Pure fu chi la sicula contrada
sicura fece ed il passante certo
la notte andava per città e sentieri,
per monti e valli, chè nessuno osava
assalire l'inerme viandante 1875
nè sul lavoro la minaccia cadde.
Torna l'inverno; sul paese e i campi collegiali in
chiara pei lindi cieli va la luna partenza
tutto avvolgendo di azzurrino velo 18 80
e pare, tutto, magico e lontano.
Già canta il gallo e non è l'alba ancora
quando, assonnato, affronti il buio e il freddo
per la sconnessa via che va al Girone i
Una remota sonagliera s'ode 1885
verso il Giardino, ed un trottar confuso
che dalla valle sempre più riecheggia.
Tosto dalla fitt'ombra un carrozzino
quasi fantasma all'improvviso appare.
Batte la luna il mantice e l'alluma
e brillano nel moto i finimenti 1890
e la visiera al vetturino in serpe.
Subito cinque spettri si avvicinano

- 85 -

a salutarmi allegri come uccelli.
Siam tutti collegiali d'un collegio
e si ritorna dopo magre ferie. 1895
Il freddo taglia come lama il volto:
infagottato il vetturin la frusta
schiocca e si parte senza verbo e mesti.
Si chiama Micu 'e Maja e fa il procaccia; micu'e Maja
ha gote erbose e sopracciglia folte, 1900
acuto ha l'occhio e brizzolato il crine.
Spoleggia il giorno tra stazione e casa
sia che piova o che urli la tormenta
e che candele il freddo appenda ai coppi
oppur che scotti o bruci o sudi il giorno 1905
o che l'annebbi il polverone al vento,
egli, grigio fantasma assiso in serpe,
tesse la trama tra la Posta.. e il treno.
Ma chi gli dà importanza, e chi a lui pensa?
Appartiene a la strada che percorre 1910
due volte il dì; lo pensano i cavalli
cui reca fieno e biada e fa il giaciglio,
per questo spoleggiar che fanno insieme.
Lieta ai Mingiani la corriera tinnula
e dolce nella luna incontra l'alba 1915
venendo tra gli ulivi o dietro il poggio.
Pur reca un filo dal lontano mondo
a questo mio paese solitario:
giorni di gioia e giorni di dolore

- 86 -

che d'uscio in uscio poi l'altro dispensa 1920
posando, come vuole la fortuna,
a questi un riso e a quello una speranza,
ad altri una manciata di lupino
più che l'assenzio amaro. Il portalettere!
Chi non rammenta ancor Pietro De Rosi, Portalettere 1925
alto, biondiccio, segaligno, calmo,
camminator famoso? A novant'anni
da Badolato a piedi a Guardavalle,
come se nulla fosse, si recava!
O che sbagliasse porta o che affannasse, 1930
e ben due volte al giorno allor la posta
al popolo si dava, e non come ora
che più si avanza e meno il popol gode.
Solitario abituro, alquanto alzato
dalla stradina che conduce al tempio, 1935
chiude la fila delle case e qui
tarchiato e basso col suo gregge sta
'U Ndrioleddu' sonatore di zampogna.
L'otre grandioso e le sue corte braccia
contrastano; ma non gli scema il fiato 1940
allor che quello afferra e gli dà forma.
O le armonie che trae, o dal grandioso
come svaria a capriccio e nel leggero
volge l'aria sonora e la sostiene!
Da lungi l'odi sotto il sole o al vento 1945
che a fasci reca o a fili; ma se vaga

CHIESA DEL ROSARIO E LA CROCE SBILENCA

- 89 -

dentro gli ulivi nebbia, malinconico
pure il belare degli agnelli attrista.
Talor si leva come in chiesa un canto
delle raccoglitrici e la Natura 1950
il cuor ti raspa e l'anima ti molce.
Tanto può l'armonia che vien dal cuore
spontanea e vera senza fredda voglia.
Gigante il tempio del Rosario levasi Chiesa del Rosario:
quale chiusura all'abitato e in alto S. Domenico 1955
la ventarola al cielo indica il vento.
Consacrato al Rosario e a chi di Cristo
soldato volle sè seminatore;
questo, però, poi surse che distrutto
l'altro fu a monte. Qui era la villa 1960
dell'antico convento e qui pur v'era
dispensiera di farmaci agl'infermi
la ben fornita farmacia dei monaci.
Non roccia a base il tempio, ma la rene
onde sprofonda per due volte in terra 1965
di quanto fuori levasi nel cielo.
Sopra vi spoleggiavano due carri
a portar pietra e calce a sua struttura.
Di suo passato, su quadrata base
erge sbilenca, alla colonna, croce 1970
limite ai braccialetti e a la vendetta.
Ad essa Autunno sospendea paniere
per le castagne saporose e lustre;

- 90 -

perchè la mano vi tendesse il dono,
e mai fanciullo che attingesse un frutto 1975
pel gioco in cui avea perso, ma ne dava.
Pietate grande sin da l'alba in cuore!
Così la Gente mia così chiudeva
l'egra giornata faticata e stanca,
chè dieci chiese e più d'esso la Fede 1980
onorando la Patria al cielo ergeva.
Altro tempio e convento ancora resta, Convento degli
sul colle opposto, al Poverello sacro, Angeli
lassù, a Frappetro, tra fratelli olivi,
maestri anche essi di umiltà e di vita. 1985
E qui di vita e di umiltà buon seme
sparsero i monacelli; qui il talento
arricchì con la Fede e con la scienza.
Or solitario al sol biancheggia muto
con la sua bella chiesa e al cielo addita 1990
l'aguzzo campanile a chi ne manca.
Tempo fu pure che il silenzio empiva
i lunghi corridoi, per cui leggeri
corron fantasmi per gli oscuri spechi.
Anche di adolescenti ivi la voce 1995
giuliva e chiara come ciel di marzo
intorno andava ad animar le mura,
austere e chiuse ad ogni vana cosa.
Curvi sui fogli o fisso al ciel lo sguardo,
di povertate avvolto, il Santo offriva 2000

- 93 -

esempio chiaro ai giovani scolari.
Quanta luce si sparse Intorno intorno
da quelle umili mura, e quanta pace
al tempo che arroganza e povertate
resero il giorno disperato e scuro. 2005
Di scrittura qui fu e conoscenza
ricco giardino all’intelletto e al cuore,
sì che pel mondo, di Francesco il seme
come pioggia benefica all'arsura,
e Badolato onore trasse e vanto. 2010
Chè ricco fu a suo tempo di pensier,
onde fu Coscia tal giurista eccelso
che di suo Ingegno la memoria resta;
e il Fiorenza che resse l'Abbazia
con perizia ed onore, ed altri ancora 2015
che l'ignoranza, nel vorace tempo,
a sua vergogna ed onta vi sommerse.
Ma un dì, son certo, sorgerà- qualcuno
a riscoprire tante glorie spente
che furon luce alle passate età. 2020
Più là, nella convalle, il cimitero cimitero
(giardino un tempo di lavanda e rose,
per quel Pasquale Jancu opra amorosa,
che dorme chi sa dove senza nome)
dove non stanno più tumuli sacri, 2025
nè più croci di legno a capo d'essi,

- 94 -

che il nome rechi dei dormiente almeno,
onde all'anima sua reciti l'AVE !
Lo scorgo ancora tra gli avelli chino
a ripulire, a zappettare intento 2030
le sacre tombe che spiravan pace
Ed eran belle con quel cespi a lato,
ed era dolce ricordarli in vita!
Oh, la pietà che allor tutti accoglieva,
poveri e ricchi che laggiù son pari. 2035
Or la superbia di mutar gradino
scatole eresse con dei marmi sciocchi
dove regina la menzogna impera.
L'acre odore dei nespolo tu senti.
Il ricco bianco fior dei crisantemo Giorno dei 2040
macchia dell'erba il verde tenerello Defunti
e vedi come accesi hanno i lampioni
con fiamma gialla gli aranceti scuri?
Vedi tu come montano silenti
soffici nebbie da le fondi valli? 2045
Anche odi nel ciel voci d'uccelli
perdersi lungi e vedi su passare
in alto in alto, gru che van cercando
favorevole clima a lor natura.
Autunno incupa nei più brevi giorni, 2050
E tesse e tesse dentro il basso cielo
la salutare pioggia, e fa concerto

- 95 -

sui vetri a la finestra, sottovoce.
Novembre giunge neghittoso e lento
coi giorni sacri ai Santi ed ai Defunti, 2055
con la pietà degli uomini distratti
cui ricordano i morti abbandonati,
ed essi in gara recano candele
e bianchi- crisantemi od altri fiori,
e spesso, a tranquillarsi, fiori finti. 2060
Così nella penombra antelucana
sembra un prato di magiche fiammelle;
ma se per caso tu capiti in mezzo,
allor vedrai la mesta processione
salir la china e riversarsi al Campo. 2065
Tutte le età convergono in quel posto
anche se il Caro è morto da cent'anni.
Piange la vedovella che ha rifatto
-il nuovo letto per novelle nozze;
silenzioso il vecchierello scerpa, 2070
con delicata mano, intorno, l'erba,
e sul viso una lacrima gli scende.
La giovinezza va di tomba in tomba,
leggendo del padron nome e menzogna,
mentre la ragazzaglia intorno affretta 2075
a far razzia di moccoli e candele,
ed a mutar di posto anche quei fiori.
Ma c'è chi, vivo ancor, conserva in cuore
il dolce bene che ha perduto e piange.

- 96 -

Umile gente, questa; l'altra, il cero, 2080
per speciale procura accende il servo
su la tomba che già ei rese grasso,
e a stare in pace con il proprio orgoglio
all'accattone un po' d'olio dispensa,
lo stesso che costui a quello ha dato. 2085

Or se lo sguardo levi oltre le mura,
un grande pino su quel colle scorgi Tempio della
tra tanti ulivi che gli fan corona. Sanità
Lassù, tu giungerai per arduo calle,
di rovi e di corbezzoli coperto 2090
finchè su tanta vetta un piano tocchi.
Lassù tu noterai d'una chiesetta
antiche mura screpolate e grigie.
Chiesetta solitaria in cima al colle
tra verde e cielo come orante frate, 2095
a te si volge con fiducia pia
l'umile gente, quando all'uscio addio
sommessa dice la salute, e il cuore
tremante piange e fa voto d'amore.
Qui, tra gli ulivi cheti, sale Il Verbo 2100
de l'inquieto viandante senza pace,
e qui depone l'incalzante angoscia;
infin qui cessa la miseria umana.
Anche il ricco signor, misero e amaro,
per sua ricchezza non per sè goduta, 2105
CHIESETTA DELLA MADONNA DELLA SANTTA'

- 99 -

del parente dimentica l'attesa
che farebbe ingrassar la sua agonia.
Tutto dintorno la natura volge
silenti passi giù, dai colli, opimi,
inghirlandati di festoni e d'uva, 2110
ed umilmente a Te suoi frutti dona,
mentre sommessa l'alta scura cima
al mare e al monte la Tua casa dice,
sentinella superba a la Tua porta,
il vecchio pino con suo gran cappello. 2115
Al cielo dice ed ai venturi il fiume
di miserie e di pene e di sventure
ai tuoi piedi sfociato, e come ancora
al cuore nero, luce nuova dona.
O della Sanità dolce madonna, 2120
cui la miseria umana ai piedi giace.
Tu, che cancelli da la carne il morbo,
perdona chi, perfino, mutò giorno
a le onoranze de l'antico voto:
egli non sa e l'impeto non coglie 2125
della tempesta che sconvolge dentro
la densa dolorante ora funesta
d'un cuore, grumo fatto da la notte.
Il cielo addolce la chiesetta e il mare
che da lontano anche esso a Te sorride. 2130
Di dolcezza Tu avvolgi anche colui

- 100-

che, distratto, dimentica il Principio
animatore de le cose tutte.
O dolce volto, che di amore colmi
l'anima triste, quando a Te si volge 2135
la chiara infanzia e la sconvolta estate,
umile e prono innanzi a Te depone
un gran serto di rose oggi il Poeta.
Ed ecco finalmente il campanile, campanile e
testimone di tempi e di vittorie. campanaro 2140
Udite dei suoi bronzi il gran concerto?
Nemmeno Roma la tonante voce
ha di campane come queste nostre,
nè campanaro, esperto, nè concerto!
Cenzu 'u cecatu', campanaro nostro, 2145
famoso intorno come le campane
ch'egli intonare sa come chitarra,
musico esperto da la man possente.
Già sopra i monti calano le stelle,
non sbiancasi Oriente ancora a mare, 2150
quando egli lascia il misero giaciglio
e alla torre si avvia come un amante.
Vasto silenzio copre case e strade
il sonno tutto avvolge e tutto sembra
dentro una grande opaca sfera chiuso. 2155
Cenzu si affaccia alle capaci arcate
E resta preso dal mistero fondo
della notte stellata e dal silenzio.

101

Ma poi si volge e le tre funi afferra
con le possenti mani, e le carezza. 2160
Prima è sommesso pispiglìo di uccelli
al tempo degli amori; indi, alza il tono
pian piano e poi nell'armonia s'invola
audace e dritto verso il firmamento,
dove le stelle ridono languenti 2165
a la brillante Venere dintorno.
Dilaga, quindi, su pei tetti e gli orti,
nel sonno immersi al mormorar del rio
prima che l'alba l'ampio mare imbianchi,
e la campagna, su, pei monti e al piano, 2170
schiude le ciglia e in tanta gioia tace,
mentr'egli come in estasi confida
l'anima all'onda di quel suo concerto.
A tal concerto Venere si addorme.
S'alza dal suo giaciglio e s'incammina 2175
a la vicina chiesa il contadino
che perdere non vuole. la fatica.
Così si sveglia il paesello al giorno,
nella penombra mattinale, e, intanto,
Mingiano s'empie d'uomini e di voci 2180
che di formiche lungo stuolo pare.
Il sole già s'affaccia e tutto sorge
dentro la propria forma abbandonata.
Poi, quando la rotabile si svuota,
la piccoletta con limpida voce 2185

- 102 -

si affaccia allegra allegra alla finestra,
a richiamare i ragazzini a scuola,
e par fanciulla sbarazzina anch'essa.
Così quei solitario de la torre
passa lassù la vita, e del paese 2190
la delizia dichiara ed il dolore;
compagno di colombi e di rondoni,
li segue appena con il guercio sguardo,
e al suono di lor voce il cuor gli balza..
Quando poi il giorno già cede alla sera, 2195
dolce la move sì, che il suono inonda
il cuore delle cose che si asconde
dentro la gran penombra universale,
e l'anima si innalza al Creatore.
O sempre caro al cuor, dolce paese, 2200
dove nacquero i miei ed io pur nacqui,
umile e grato a te offro il mio canto
che dal cuor nasce e a te diritto vola
a rammentare le antiche glorie,
poi che i viventi l'hanno oggi distrutto, 2205
il passato sprezzando a lor vantaggio.
Di te io tutto volli celebrare
dei contadino la fatica e il fato,
e dei sagace artier l'opra feconda,
e del pensiero la solerte cura. 2210
lo le tue mura scorticate altrove
pure cantai, e, quando la tempesta

- 103 -

spietata dentro il sonno ci sorprese,
anche sui fogli di tuo fato scrissi
e del periglio in te nascosto ancora. 2215
Moriva Estate sovra i primi grappoli
là, su la piana della Soglia amica, Alluvione
di centenari ulivi folta, e ricca 1951
di squillanti pernici e di ghiandaie,
quando dal monte si affacciò grigiastra 2220
una sciarpa di nuvole silenti,
quasi festa all'Autunno piccolino.
Poi, nella notte, sommessa sommessa
sui vecchi tetti e su gli antichi ulivi,
ninnò la pioggerella fina e cheta. 2225
Ma quando il giorno venne, il cielo, nero
qual di caldaia fondo, all'erta pose
il sottostante bosco. Intorno intorno
gravò il silenzio e tutto in lui sommerso
il creato pesò sul cuor temente. 2230
Non era al campanile ancor suonato
il mezzodì che a mensa chiama, quando
tuonò la valle, si scoprì la fronte
de l'alta Guardia e del Ballivo aprico,
per generosi vini anche famoso 2235
a la Granvalle, crepitò la pioggia
su le dentate foglie al castagneto.
Vi scrosciò come grandine sonante

- 104 -

su l'erba secca della bianca estate,
e l'arsa terra a lungo bevve, a lungo 2240
come cammello che la sabbia attende.
Poi, dissetata, rigettò pei fianchi
tutto quel bere a valle, e questa ancora
cantando allegra, al suo grigio torrente.
Piovve. Ripiovve. Il lungo giorno piovve: 2245
e Copino e Graneli ebbero voce
profonda e cupa nella sporca fuga,
correndo a gara nel robusto Bruda,
nato dai monti tra boscaglie scure.
Più l'orecchio non colse altro rumore, 2250
nè distinguere seppe in quel concerto.
Tutto fu rombo rimbombante in giro.
O come potrò mai quei giorni tristi
e con quali parole rammentare
il dolor lo spavento, e lo scompiglio? 2255
Il mar da lungi, ( e la memoria duole)
spaventoso barrito alzò possente.
Spari la terra nella spessa nebbia,
e nella nebbia la paura crebbe.
Ancor più crebbe quando il vento quella 2260
a folate rapì: Bruda non rio,
ma orrendo mostro che, giardini ed orti
già divorati da voraci flutti,
al mar mugliante tutto seco addusse.
Per quaranta e più dì durò la pioggia. 2265

-105 -

Improvvisa la gelida sventura
tra le case piombò e un figlio colse:
Peppi Solesi, contadino onesto.
Nel sonno 'I colse e lo cacciò negl'inferi,
chè rovinò la casa e pencolante 2270
ohi, sventura! a una trave si rinvenne.
Ma, non satollo, il Fato lo inseguì
fin SOTTOSIENA, dove mani pie
composta avean la salma nella bara;
chè pure qui la casa rovinò 2275
con gran fracasso a valle e fu prodigio
se almen la salma non segui la casa!
E nemmeno ancor pace, chè dal monte
franò la vigna, poi un frutteto intero
e, dietro a questo l'orto del Convento 2280
che tuttoo spazzò via, tombe e defunti.
Si videro la bare saltar fuori
nella pioggia e nel vento, giù, nelle acque
del torrente Ziafrinda, ove col fango
rapido al mare rotolò ogni cosa. 2285
Felice te, lettor, che non vedesti
a grandi fette ruinar montagne
giù pei dirupi scorticati e nudi.
Nel buio della notte e poi del giorno
sotto la fredda pioggia, a tempo a tempo, 2290
come frutta matura si staccava
una casa, una ruga. E il rombo intanto

- 106 -

della pioggia e del vento e della valle
e tutto contro Te, vegliardo e stanco.
E chi un aiuto a le tue lunghe grida? 2295
Ti pascesti nei secoli di pena
ed una mano mai si stese amica!
Atterrita e smarrita la tua gente
tentava a la miseria almen sottrarre
le poche cose : e chi spingeva innanzi 2300
un porco spaventato e chi una sporta
in testa con qualcosa necessaria;
i bimbi si attaccavano a le gonne
per non sperdersi in tanta spersa calca
Strilli di infanti, desolati pianti, 2305
alte e strazianti invocazioni al Cielo
insieme a gran bestemmie contro il Fato,
singhiozzi mai uditi in maschia bocca,
facevano in quel piovere un subbuglio
da muovere anche al pianto chi non piange. 2310
Le voci s'incrociavano spezzandosi
tra il rumore dell'acqua e della gente:
fischiava il vento e da la valle il rombo
guerreggiava con l'acqua dei gradoni.
Surse la nebbia senza far rumore 2315
e tutto avvolse si che le figure
parvero spettri di sinistro inferno.
in tanta nebbia un grido della turba
che vince- quel fragor d'acqua e di voci.

- 107 -

"Viva, Viva la Madonna" e nella nebbia 2320
avvolta da un velame sottilissimo
come celeste forma la Madonna
appare su la folla e tutti piangono
mentre a ponente schiara alquanto il cielo.
Cade la gente al suolo orante e prona 2325
incurante del vento e della pioggia
al nemico implorando si perdona,
l'offensore piangente a lui si stringe.
Ohi, come torna la fiducia in cuore!
Ma quanto poi durò tanta letizia? 2330
Trionfava l'egoismo e, alla sventura,
si aggiungeva la spirito di parte
si che ignoravi se facesse pena
più chi pativa o chi maggior ne dava.
Un sindaco che certo per ingegno 2335
e per virtù giammai in alto emerse
si fece forte, a sua vergogna eterna,
non su l'adulto, ma sul fanciulletto.
Incredibile a dirsi! La sventura,
che legava il paese ad una corda, 2340
trovò rossi sciacalli a la bisogna...
Ma resta la vergogna in chi ciò fece;
a noi basta la pugna che vincemmo
al tempo de la scelta ove fondare
il futuro paese che a Mingiano 2345
o a Giambartolo alcuno o a Pietranera

- 108 -

voleva; fui solo io per la Marina,
il futuro scorgendo de la vita,
poi che due strade univano a le genti,
rinnovando così la prima sede 2350
dov'ebbe pace l'esiliata prora.
E' vero che gl'inetti furon sempre
ostili non per sè, ma pel partito,
lottando contro sè, servi ignoranti,
negati ad ogni bene e ad ogni idea! 2355
Chè nemmeno una targa a far saputi
i pronipoti del perchè e del quando
nel millenovecentocinquantuno.

Ma ritornando alla primiera riga
diremo dei maestri e della scuola. 2360
Di famiglia perbene era il casato
dei maestri di scuola, che a quel tempo
si fermava alla terza elementare;
Maestro l'uno, sacerdote e dotto,
solo maestro l'altro appassionato 2365
cui la passione il limite sovente
oltrepassava sì che l'impotenza
tramutavasi in busse che a gragnuola,
come al tempo di marzo quando tuona,
su l'inerme scolaro si versava. 2370
Il primo, invece, colto si donava
a lo scolaro con pazienza e amore,

- 109 -­

anche se al tempo suo "busse e panelli
facesser- si diceva- i figli belli!"
Don Antonio Cosenza era il suo nome 2375
dalla cui bocca dolce la parola
era pei fanciulletti anche vivaci;
don Mico Saraco l'altro e il terzo era
maestro di passaggio forestiero.
A quei tempi l'infanzia andava scalza, 2380
morta di freddo, abbandonata e cruda,
come miseria insegna a chi la strada
casa bottega e scuola arma la tenda.
Maggior maestra, allora, era la vita!
Ladruncolo, bugiardo, ardimentoso, 2385
alla malizia ed all'inganno rotto,
duellante, beffardo, arguto e gaio.
Tale era allor l'infanzia, chè la fame
spingeva i genitori a la campagna,
dove non scema mai lavoro e pena. 2390
Solo approdo era la scoletta scialba
senza acqua, senza luce, e senza gioia,
come il tugurio senza una latrina.
La quale a lo scolaro era la strada,
come a l'adulto per il suo bisogno. 2395
Allora privilegio era la tazza!
Ma era conforto, chè la via pulita
veniva ogni mattina dai maiali,
ospiti usuali dell'umano albergo.

- 110 -

Democrazia tirannica e bugiarda 2400
oltre che mucca a mungere e affamare!!!
Gli scolari eran pochi,chè l'inedia
spingeva a la fatica iI fanciulletto
ad innaffiare, a custodir le bestie,
a raccoglier le ulive e le castagne; 2405
e le fanciulle a custodir l'infante,
poi che la mamma trascorreva il giorno
pei campi lavorando,e la famiglia a
notte spesso si vedeva in volto;
ma molto spesso il miserando padre 2410
trascorreva in America la vita!
Pane del giorno, pane di granturco
che era detto "pizzata" ed una fetta
il ragazzo l'aveva, se un paniere
pieno di fimo riportava a casa, 2415
che le bestie lasciavano per strada.
Ma se al fanciullo il vento era di poppa
trovava in un padrone ogni ristoro.
Dire ancora potrei del mio paese
molte altre cose e rammentar l'antico 2420
annegato nel tempo. Ho scritto altrove
pagine di fatica e di dolore
di contadini, di artigiani e di altri
di cui nemmeno in cimitero il nome
tu troveresti più, come a lo specchio 2425
non trovi l'ombra che pur viva fu.

- 111 -

E furor vivi come te che leggi !
Solo le strade e forse l'aria stessa
sanno che dico e come quelli il segno
in questa loro terra hanno lasciato, 2430
aggiungendo la propria all'altrui opra.
Ma tu mira le cose: templi e case;
interroga le strade, i vichi, gli orti,
le rasole dei colli, onde i vigneti
vanno carole componendo intorno 2435
ai vetusti oliveti ed anche questi
che, saggi centenari, mandano ombra
come la mandi tu su questa terra.
Quanta miseria lunga v'è passata
dentro quei ciechi poveri tuguri 2440
dove la fame non fu mai satolla,
e la fatica ne curvò la schiena,
quasi dannati a ricercare in terra
la sola cosa che gli appartenesse.
L'ombra sua propria, dico. Mira ancora 2445
i palazzi che furono famosi
per ingegno e ricchezza e gran valore.
Vi leggerai la storia del paese
che nei secoli mai nessuno ha scritto.
Ma tu, lettor, perdona. Altri, più accorto, 2450
forse, ne comporrà di tanta terra
la lunga storia dei Badolatesi,
se pur nel cuore gli verrà desìo
Così ti lascio, e, se la penna noia
t'ha procurato, non fu mia la colpa! 2455
L'amor che l'arde e la presente incuria
mosser la penna ad onorar la gente
che nei tempi trascorsi pel natio suol
tanto oprò che ci lasciò suo nome.

Finito di stampare gennaio 1983 ROMA GRAFICON, via del Gelsomino, 102 per conto dell'EDITORE GABRIELI