“ Ai
Badolatesi futuri
in memoria
dei Trapassati”
Nicola
Caporale
IL MIO PAESE
poesie
Gabrieli
editore
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firmate dall'Autore sono dichiarate contraffatte.
By - GABRIELI EDITORE
ROMA
Collana "POETI
d'OGGI"
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00165.
via Gregorio VII, 58
OPERE DELLO STESSO AUTORE
Le mie rose - novelle - Ed.
Abramo - Catanzaro1928
Ritrovarsi - poesie,- Gastaldi-Milano-
1948
Cuore al vento -poesie -Ed. Ed. Int. Med.-Reggio Cal.1951
La
Bomba H - poemetto -Ed. Tecnostampa-Priverno 1954
In margine
all'Ondata - romanzo -Ed. Intelisano-1954 (fin. Villa) 1954
Milano
L'oro del Sud è amaro - romanzo Ed. Approdo del sud (fin.
Villa) 1960 Napoli
Autunnali - poesie -Ed. Villar-Roma-1964
Con
gli occhi non si vede - novelle -Ed. Intelisano-Parma 1966
I
giorni solitari - poesie -Ed. Lo Faro-Roma 1971
Canti del tramonto
- poesie -Ed. Gabrieli-Roma-1972
"A Catarra - poesie in
vernacolo - Ed. Pellegrini-Cosenza-1973
Dalla mia finestra -
poesie -Ed. Gabrieli-Roma 1974
Spigolando nel tempo - poesie-“ “
1975
Voci serali - poesie- “ 1976
Rose d'autunno - poesie- “
1977
E l'anima canta nel buio – poesie - " 1978
Io sono
l'ulivo che dona – poesie - " 1979
La favola è finita –
romanzo - “ 1980
La canzone dell'onda – romanzo – “
1981
Arpeggi sommessi -poesie- “ 1981
Il libro di
FRANCA-poesie- “ 1981
Femmina – novelle - “ 1981
Di
prossima pubblicazione Solitudine - poesie
L'immagine
di questo paese calabro, che può somigliare a tanti altri- paesi
della terra del sud ed a quello dello stesso Autore, è l'espressione
- insieme ai volti di gente mesta e rassegnata - di quella storia
antica, ancora pregna di purezza, ma pur -sempre meritevole di uno
sguardo più amoroso del resto del mondo.
IL MIO
PAESE
Invocazione
Odi, lettore, del mio cuore il canto
che
da le pietre a me manda il Paese,
serena fiaba a mia felice
infanzia.
Di piazze e vichi e di stradine oscure
le pene, la
miseria e le tempeste, 5
da quelle sorte a suono di
campane,
tenterò per amore io di cantare,
sì che la sabbia
mobile del tempo
nulla a mia gente, e tutto in luce brilli
dei
remoti ai futuri gran conforto. 10
Badolato, che già pei
mari colse origine e
fama al telaio e dalla terra i frutti nome di
Badolato
di LATONA, vagante ospite illustre,
osò di eccelsa
dea l'ira sfidare.
Erano giorni di epiche battaglie, 15
in
cielo e in terra per divine voglie
del fedifrago GIOVE che
sovente,
l'alto OLIMPO lasciando, in terra venne,
da terrena
beltà spesso allettato.
Ma l'isola di DELO pur vagante
Le
die' rifugio, onde gli umani, poi, 20
i divini GEMELLI, ed ebbe
l'uomo
musica e caccia a gran conforto quindi.
Così nome, a
ricordo, il sito s'ebbe;
ma perdesi nel tempo la sua storia.
25
Chè altrove sorse la primiera gente
sul risonante mare,
donde venne
profugo il GRECO e suo gentile idioma.
Tutto
dintorno vi fiorìa la pace
e il mar, solcato da le ardite prore,
30
ricchezza e gloria presso estrania gente.
Ahi, che da questa
la vorace ciurma
'Africa e d'Asia a nostro danno giunse,
sì
che temente a nuovo sito eresse
alta dimora la fuggiasca stirpe.
35
Era a le spalle un'intricata selva
di preda ricca e di
nemica gleba,
dal solitario colle che, dall'alpe
partendosi
superbo, vi cantava
pei fianchi di Copino e di Graneli 40
con
onda chiara e lieta, e al mare aperto
ampio ad Oriente vi raggiava
il guardo.
Qui, la casa a la casa unita crebbe,
ed, a difesa,
la scoscesa costa
di una porta adornò angusta e forte, 45
cui,
fido amico, bastione alto eresse;
dal monte, poi, staccò una gran
parte
ed un fosso scavò, capace e fondo.
In cima al resto
issò, ardito e bello,
un gran maniero con tre torri snelle,
50
perchè signor superbo le vicine
terre sviasse da ben'
pazzi assalti.
D'intorno a tutta la pianura i canti
risuonarono;
il tempo le varie opre
lieto sciolse nei giorni, e in pace santa,
55
sì che l'alba e il tramonto in processione
gli uomini vide
per tratturi e strade.
Ma quanto., quanto poi durò tal
festa?
Quante volte dal mar venne il nemico
a depredare ed, in
catene avvinti, 60
coloro deportò che per i campi
sorprese
assorti in lor duro lavoro.
Allora l'assemblea discusse ed uno
-
il Castellano - con tonante voce: Ammonimento del
- Popol di
Badolato, or non è molto castellano 65
ti pariai d'una torre e di
campane.
Ma tu, sperando che più mai il Corsaro
ritornato
sarebbe a questi lidi,
contro saggezza non mi desti ascolto
.
Ora vedi l'errore, chè se torre allor 70
coi bronzi al ciel
levata fosse,
oggi, quei cari qui con noi li avremmo.
Ora io ti
dico che di farla è d'uopo,
alta così che la corrusca
cima
intorno liete cingano le nubi; 75
ad occhio umano a
riguardar la pigna,
e voi d'aquila, vano ad ogni prova,
dei
bronzi la voce oda il gran Golfo;
onde dal monti a le marine, a
casa
tosto in gran fretta il contadino corra- 80
appena scorge
la nemica nave. –
Questo del Castellano fu il consiglio,
il
popolo l'accolse immantinente.
Diviso fu per squadre il popol
tutto,
e, per ognuna, un capo eletto. Allor 85
correr la gente
per le vie si vide,
tutto al colle parve dì festivo.
Non era
ancor dal mar sorta l'aurora Costruzione della
quando la turba
mano pose all'opra, torre campanaria
Risvegliato, chiocchiò il
nero merlo; 90
l'ala scrosciò veloce la pernice,
l'astuta
volpe tra le folte canne
cercò lontano più sicuro asilo.
Or
con picconi e con badili il passo
aprono del sentier spianando il
picco. 95
Ferveva l'opra. Qui, l'acuta pietra
una issava sul
capo; là, la sabbia
concava sporta di castagno ergeva,
su
l'orlo colma, al più vicino carro,
e, dopo l'erta, i bei giogati
buoi 100
al monte la portavano pian piano.
D'acqua rigonfie
le caprine pelli
altri sul basto assicurava al ciuco.
Sopra la
cima di cretoso monte
era già pronta una fornace grigia 105
per
la cottura della bianca calce.
E là, dove sembrava
confusione,
era un subbuglio, un vociare lieto,
un risuonare di
martelli e incudi
ad aguzzare ciò che il sasso ottuse. 110
Così,
talvolta, dimenar vid'io
bionde api intorno a manomesso bugno.
Su
per la vetta del ridente colle,
verzicante di viti, intanto, un
veglio,
bianco dl barba e d'intelletto accorto, 115
ai presenti
additava il luogo e come
la calce andasse con mattoni e sabbia.
e
le squadrate pietre vive ancora.
Ivi la torre sul crignetto al
cielo
erger doveva la lucente cima 120
Capace una trincea
presto nel sasso
scavata fu ed una massa accolse
di pietrame e
di malta; con le mazze
pressato il tutto fe' col colle corpo.
Tre
canne e più misura, poi, il vegliardo 125
pei quattro lati della
forte base;
così comincia la quadrata torre,
salda di fianchi
e di avvolgente scala,
dentro il capace vuoto di sua forma.
Di
giorno in giorno più superba al cielo 130
levasi, e il corpo
sempre più si snella
stupendo e svelto come verde ornello.
Come
ai soppalchi sembrano formiche
i lavoranti ! Un canto, un coro a
volte,
scende da l'alto e si riversa intorno 135
alleggerendo
del lavoro il peso.
Finalmente s'incupola di smalto
e al sole
splende come, a notte, faro.
Poi tre campane in cima furon
poste
con gran fatica : sopra barche a vela 140
erano giunte da
remota terra,
oltre la Sila verdebosco scura.
Con fatica e
perizia son su' poste
a clamore di popolo festante
la più
piccina dall'acuta voce 145
come d'amica fu gradita ai bimbi,
e
la mezzana da soprano il giorno
illumino con la sua bianca
voce,
come a colta vittoria alta bandiera;
profonda, cupa,
immensa il campanone 150
cui cento braccia occorsero a
tant'opra
aprì la bocca, e dal capace petto,
colmò le valli e
la pianura e iI Golfo
sì, che tremanti quasi a tàl
rimbombo
stetter le case rannicchiate e mute. 155
Breve
l'attesa. Timidetto accanto,
quasi l'anima al tocco lo
mandasse,
poi più certo parlò la piccoletta.
La sostenne di
poi, con bianca voce
l'altra sorella; la tonante, quindi, 160
donò
suo cuore dal possente petto.
Segue la giostra de le tre sorelle
e
l'una l'altra incalza, e intorno intorno
di rondini e colombi
allegri voli.
L'anima allor di quella folla vola 165
oltre la
cima, sù, oltre il concerto,
per l'infinito ed oltre, fino a
Dio
inno lei,ando di ringraziamento.
Anche l'eleva tra le fave
in fiore
la giovinetta che tra solco e solco 170
a lor salute e
frutto le diserba.
Ed ecco un dì tuonare il campanone
"A
l'erta! All'erta!. .." A l'orizzonte i Turchi
come rapaci con
spiegate vele puntano al lido.
"Correte correte!"
Ristagna
a tutti il sangue nelle vene; Vittoria badolatese 125
ll
cuore batte, la paura punge. sui Turchi
Lascia la zappa il
contadino e fugge,
fugge la giovinetta e l'attempata,
strilla
il capraio, belano gli armenti
per biancheggianti viottole e
sentieri. 180
Echeggia l'aria di richiami e pianti,
giù, per
la china dei Cozzali, a valle
e pei Mingiani a Crisima e a
Cuzzulla,
e per la piana fino al glauco mare,
e per Ballivi e
Vite e per il monte 185
ed oltre. Pur dal Golfo i
pescatori
s'affrettano coi remi a salvamento
verso i giardini
della propria terra.
Ecco, tra i pini biancheggiare al sole
i
primi giunti, scalmanati e ansanti 190
lunghesso il Bruda
serpeggiante a valle:
e chi monta un somaro trotta e punge,
e
chi sui bovi lo spavento versa,
e chi a cavallo per sassosa
strada
incita e sprona con speroni ed urla. 195
La vecchierella
con un suo bordone,
recando in capo la sfogliata frasca,
per la
salita lentamente incede
superando l'età che la trattiene.
Il
campanone a stormo ancor rimbomba 200
e l'aria intorno tutta vibra
e introna,
e, come chioccia i piccoli se scorge
in terra
l'ombra del nemico nibbio
trepida chiama, il campanone
squilla.
Ora da lungi le volanti vele
ad una ad una toccano
la riva, 205
e dal Bastione, donde ciò si mira,
sembran
gabbiani posar giù con grazia.
Il campanone a stormo, e la
mezzana
all'armi ancora. Sul castello leva
l'alta rotonda torre
lo stendardo, 210
maestoso e gagliardo. Ognuno accorre.
Con
falce accorre il contadino e scure,
acceso in volto per desio di
pugna
col cuore duro alla vendetta pronto;
ed a fugare l'empio
Turco audace, 215
che pur conosce ben roncola e forca;
e del
Toraldo la pesante spada.
Intanto qualche giovane rapito
lontano
piange la nativa terra;
e quando il sole l'orizzonte sfiora,
220
coi raggi pare gli rapisca il cuore,
e dentro il pianto la
speranza annega.
Pur novella di lui in patria giunge
ma come
onda è che, giunta a riva, muore;
la sua cadente genitrice,
avvolta 225
in penose gramaglie, ancora attende
il ritorno del
figlio e, a lei vicina,
sospira e tace la fiorente sposa.
Or
Gaspare Toraldo tuona : - APRITE! Toraldo e i
che al barbaro
rapace eccelsa prova Turchi 230
sia oggi il cuore dei
Badolatesi!-
Roca sul pernio la gran porta geme,
e per la
china con fragor si perde
l'ardita schiera ed a pugnar si
affretta.
Eccola, svelta tra gli aranci in fiore 235
sparisce
in corsa e ancor veloce appare;
si perde, poscia, tra gli azzurri
olivi
lunghesso il fiume scintillante al sole.
Le bianche vele
sovra il lido stanno
come graziosi cigni e i lor padroni 240
van
per la terra a riguardar se intorno
scorgano preda e, certi,
innanzi vanno.
Scorgono lavoranti sparsi e intenti
a lor
fatica. Ma a pugnar son pronti
al breve cenno del bovaro finto.
245
Quando costui il nemico a tiro scorge,
il grido lancia di
sparviero: pare
tuono che l'aria e gli alti monti scota.
Balzano
fuori come lupi, allora,
pronti a morire i villici dall'ombra;
250
urla di mischia, schianti di mitraglia.
Appena l'uno cede,
l'altro azzanna,
a nulla vale scimitarra od urlo
al turco fante
già stupito e vinto.
Ma chi si batte ancor? S'odono intorno
255
scroscio di ferro e lampeggiar di acciai?
Eppure l'ombra
propria ognun ricopre.
L'un contro l'altro, a viso aperto,
stanno.
S'imperla Il volto per la gran fatica
l'uno di taglio
tira e l'altro lesto 260
para e di terza rapido risponde,
sì
che al nemico il nero viso tocca
e da esso tosto rosso sangue
sprizza
come zampillo per ascosa forza.
Allor si vede, come a
Pasqua, il Turco 265
più che tamburo, correre davanti
ali
incalzante insegna che lo insegue.
Lepre dinnanzi ai cani mai si
vide
rapida tanto correre com'esso
saltar di gambe e volgere di
prora 270
verso il largo finchè lungi si perde.
- Eja! Eja! -
intanto gridano i rapiti
in altra Terra lieti al Ciel levando
le
mani ancor legate alle catene.
Il pianto brilla per le gote al
sole 275
ma non per duolo, no, si per letizia.
Vengono sciolti
i lacci ed alle barche,
ben note per loro alberi
slanciati,
lascian custodi; l'altra gente torna
al paese che
attende. Già da valle 280
scorgesi folla che saluta a
gesti.
S'ode la torre e far tosto corona
da Santa Caterina e
Sant'Andrea,
i campanili delle cento chiese,
e il cor non
regge a tanta gioia e cede. 285
Gaspare stesso con sua gente
piange,
chè la parola a tanto gaudio intoppa.
Ricco bottino
d'uomini e di cose
portò quel giorno a la saturnia gente,
e,
al Castellano, onore grande e fama. 290
Ma ancor maggiore fu
quando la porta
lustre mostrò le strade e bene ornate,
poi che
ogni casa pavesò i balconi
come se il vincitore a nozze
andasse;
di ginestre di rose e gelsomini 295
vivace pioggia sul
corteo cadeva
che nel tramonto fantasia gentile
formava sui
damaschi e su le sete.
Così quel giorno in gran tripudio
chiuse.
Ma non fu lunga pace. Tempi crudi 300
furon quelli,
cui pane era la guerra
con le razzie e la sopraffazione
sì,
che per posa non arrossa il brando.
Oh, quante volte Gaspare in
soccorso
giunse improvviso a debellare il Turco 305
lungo il
limpido Jonio? Oh, quante volte:
ora a difesa dei
Guardavalloti,
ora di Caulonia ed or di Locri
ovunque giunto
fosse l'infedele?
Chi non rammenta la spedizione 310
che
oltre il Jonio portò l'ardita schiera?
LEPANTO, dico, che di
sangue tinse
il greco mare e risuonò di pianto
di bestemmie e
di minacce e grida
che di Corinto e di Patrasso i golfi 315
di
mille idiomi rintronar le sponde.
Colà di Cristo si gioco
l'insegna!
E fu colà che in faccia al mondo il nostro
Toraldo,
preso della sua baldanza,
issò l'insegna su battuta prora 320
fu
prodigio certo e gran vittoria.
Caduto il vento, il mar tavola
parve.
Non foriero di guerra, ma di festa
lo schieramento delle
armate pronte
l'una di fronte all'altra. ALI' PASCIA', 325
uso
all'orgoglio di trionfo certo, La battaglia di
una novella manda
al Gran Sultano, Lepanto
mentre fa issare lo stendardo sacro
che
in oro reca dei Corano i versi;
la REALE pur essa al sole leva
330
l'azzurra insegna con il Cristo in croce,
e don Giovanni,
su la prora immoto,
sagace osserva la parata intera.
Da la
turca Reale appena appare
azzurra nuvoletta, la cristiana
335
mitraglia giunge prima che il rimbombo.
Come caproni da
la furia spinti
cozzan tra loro, ciechi e a testa bassa,
così
dei Turchi la baldanza avanti,
dietro la foga dell'Alì, si
scaglia 340
e non s'avvede che il maestro inarca
i suoi cavalli
e il fumo imbriglia e acceca
sì, che già tardi la cristiana
scorge
tonante e ferma, e loro in mezza mira
or dai poppieri
facile e funesta. 345
Urla, bestemmie e suon di spade e remi
un
inferno di fumo il mare avvolge
tal che la vista non riceve o
mira
come i caduti ed i feriti l'onda,
sotto l'acceso sole,
occulta e frange. 350
Su quell' inferno di ferocia e d'ira
"CRISTO
E VITTORIA! AVANTI!" Un grido tuona
e di rimando da le navi
“"CRISTO!"”
Si vede allora contro l'oste in furia
di
belve più che d'uomini esser lotta. 355
Barberigo accerchiato non
si arrende;
Francesco di Savoia e della Rovere,
de la Real
Cristiana estremi eroi,
cade il primo colpito, cade il
Duca
d'Urbino contro Caracosa. Tosto 360
rovescia il Fato la
Bendata, e chiuso
Alì si trova; l'eroismo è nullo
dei Turchi
a liberarlo; la battaglia
ben più si accende intorno
all'Ammiraglia,
assalita dai Sardi cui fan dietro 365
i
Calabresi con Toraldo in testa.
"VITTORIA! VITTORIA!"
urlano i petti,
mentre dintorno la battaglia affioca.
Giace
ferito Alì e, con lo sguardo,
indica ai suoi la stiva, ove il
denaro 370
per il riscatto è posto. Bisogaso
avido e vile, gli
mozzò la testa,
inutil scempio a la speranza vana.
iinutile
anche l'ultima sortita
dell'infido Occhialì delle Castella,
375
che alla vela affidò la sua salvezza.
Il mare intorno a
Lepanto rugliante
di caduti e relitti era cosparso;
il sol
cadente, iilumindando l'onda,
rendeva tutto macabro e spettrale.
380
Ora il castello padron muta e nome Toraldo vende
chè
Toraldo per Lepanto ha ceduto il castello
al signor di Squillace e
questi quindi, a
al Ravaschieri di Satriano prence.
Ravaschieri
Alta virtù. Di nuovo ai nostri lidi 385
giunsero i
Turchi. ma veloce il remo
mostrò la poppa su la bianca scia.
Così
questa marina abbandonata
ancor la zappa e il curvo aratro vide
e
l'opra a gara nei giardini e gli orti. 390
Verdeggiarono i
piani di frumento;
di aranci e di limoni, lungo il
Bruda,
s'oscuraron le terre solatie;
ed anche i peschi ed i
frondosi gelsi
bella mostra rifecero nel sole. 395
Ed era bello
al tempo de le rose
mirar le donne ritornar coi sacchi
per
fronda duri e ricantar di amore.
Danzarono pei colli come prima
le
volubili viti inghirlandate 400
ed i castagni e la celeste
quercia
che d'anno in anno, con nodose braccia,
la dolce ombra
spargeva su la valle.
La sottostante risonante valle
per
usignoli e innamorati merli; 405
e stornellavan le ragazze in
coro
di loro veste spogliando le ginestre.
Le belle ricche
vesti d'oro fino
ad infiorare a sera del Signore
le lustre
strade in damascate a festa. 410
E rispondeva da l'opposto
colle
allegro e forte e chiaro un altro coro
che sussultar
faceva qualche petto.
Così la vita ripigliava il passo,
anno
dopo anno, e il Turco era nel tempo 415
divenuto già favola
indolore.
Ora la torre più non tuona all’armi
ma solo è
voce di mestizia e prece
per la partenza che non ha ritorno,
o
di ribelle popolo che chiama 420
a la rivolta contro tirannia,
o
aiuto invoca per calamitate.
Vano l'aiuto non fu mai; una
sola
famiglia era il paese e un cuore solo.
Molto tempo è
trascorso. E chi al passaggio 425
contò le stelle a numerare gli
anni?
Volsero i fati al peggio, e questa terra
il piede seppe
di straniera gente
e la miseria quanto pesa, e l'onta
come
l'anima lacera impotente. 430
Pure da qui partì l'aurora
nuova
che luce alfine in tanta notte addusse.
Colui che a la
natura l'universo
magia ed essenza de lo Stagerita
come nebbia
fugando, a caldo pose 435
e a freddo il moto con la conoscenza;
e
l'altro che a suo studio la coscienza
sintetizzando volse e l'lo e
l'Oggetto,
radice s'ebbe in questa obliata terra,
quasi
straniera a la futura Italia. 440
E il terzo, che fu croce a papa
e chiesa?
Forte più che la roccia, ove pur nacque,
morso non
sofferì a sua natura;
nè carcere piegò la gran cervice;
chè
vane fur minacce con torture 445
dei tiranno giudizio ed a
ragione
potè gridare che era nato solo
a debellare quei tre
mali estremi
"TIRANNIDE, SOFISMI, IPOCRISIA"
O
Gente mia, codesti ingegni forse 450
non bastano a dar lustro a
nostra Terra?
A Te corrono i re, quando la guerra
incalza, o la
miseria, a tasse corre;
o, peggio, fugge dai lor pie' la terra.
Lo
seppero i Borboni a l'agonia 455
quando, scalzati per fatal
miraggio,
vennero i Piemontesi a nostro danno.
Chè a la forca
e a la fame in lor difesa
da l'aspre Serre e da l'oscura
Sila
tutti i tuoi figli menar vanto e dopo 460
conobbero il
sapor di amaro oblio.
E, quando poi chiamò l'Italia, ancora
col
proprio sangue tinsero le rocce
e le pure acque del tremendo
Piave.
Ma rinnovar non vol la gran viltate 465
del regio oblio
cui il Brutio fu dannato.
Cantare voglio de la nostra
Gente
l'umile vita e la dimessa mensa,
e del villano la fatica
dura,
de l'artigiano l'opera che a Venere 470
il segreto
strappò del bello e fama
di sè disseminò per ogni luogo.
La
fame per la terra sempre sparse
i tuoi figlioli, e ancor lungi li
caccia
a quello stesso treno de la sera. 475
Oggi si parte
verso il Nord. Allora
si affrontava l'ignoto in braccia al
Fato
per ben tre mesi d'acqua, lunghi e neri.
Si dissolveva il
giorno sopra i monti,
quando giungean gli amici, e la rughella,
480
davanti all’uscio, come al dì nefasto,
a dar l'addio a
chi si dipartiva
col dubbio in seno di non più vedersi.
Le
amiche, coi bagagli issati in testa,
eran già per la via verso il
Girone, 485
dove aspettava il carro col bovaro,
per trasportare
tutto a la stazione.
Ma lì, davanti all'uscio, ognuno
abbraccia
il partente; altri incoraggia, altri lo aiuta
a
trasportare il sacculo ed intanto 490
piange la mamma
silenziosamente,
singhiozza la sorella con la sposa,
che regge
in braccio l'ultimo figliolo,
mentre altri le si attaccano a la
gonna,
piangendo anch'essi come fontanelle. 495
Nè manca
amico cui non bagni guancia,
nè vecchierella che non scuota il
capo.
Smagrisce l'ombra intanto e la brigata
discende pei
gradoni dissestati,
ciarlando e ricordando altra partenza, 500
e
fatti e guai fra straniera gente.
Dagli usci e dai balconi altri
saluta
"Addio, Compare! Addio!.. .Buona Fortuna!"
e
la parola la tristezza tinge:
e il guardo lo accompagna alla
svoltata. 505
La donnetta, di poi, con le vicine
dolente parla
di fatalitate.
Ma ecco, al Girone è giunta la brigata;
altri
son là che partono lontano;
ma non v'è chi accompagni o chi
compianga. 510
Il carro parte cigolante e scosso
da la fresca
brecciaia senza traccia
tra pianti di chi resta e voci roche
di
chi per troppo pianto ha perso suono.
Così sen vanno verso la
Marina 515
ma, all'ultima voltata di Mangiano,
agita ognuno
bianco fazzoletto,
e il cuore a tutti è triste e senza
luce;
l'ultima luce bacia la montagna
versando su le cose ombra
e tristezza 520
Febbraio s'è affacciato ora sui
colli
l'esiguo ruscelletto già si adorna
de le timide mammole;
s'infiora
la collina pur essa a le pendici.
La vite, già
zappata, ora si sveglia 525
e tutto che la terra a vita muove
ha
brividi di amore. Primavera
a noi si volge da remoti lidi
e
l'uomo si prepara ad impazzire
chè lecito diviene un giorno
all'anno. 530
Già si annunzia nell'aria Carnevale:
i vichi
scuri, le stradine apriche
mandano al cielo doloranti gridi
ed
è vano implorar d'un'agonia
lo spietato coltello sgozza e spela
535
il tanto amato porco ormai maturo. Uccisione
Distesa com'è
in rozza madia del
la bestia mostra sua ricchezza vera
maiale
l'uomo l'apprezza, si compiace e dice
d'altri maiali,
d'altri carnevali, 540
mentre per l'aria un odorin si spande
di
rigaglie e d'aromi soffriggenti.
Fuori la tramontana schiera
l'aria
il cielo di cobalto si colora,
Intanto voci sgangherate
e rotte 545
s'odono spesso nel meriggio diaccio.
E' tempo
d'annegar dubbi e ricordi
e in allegra follia mutar
saggezza.
Ognuno impazza (o rinsavisce?), ognuno Carnevale
da
l'imo caccia il desiderio chiuso. 550
Il ricco da straccione e
questi in quello,
in donna l'uomo ed essa in lui s'informa,
e
tutto muta volto, ed è baldoria.
Ecco il mugnaio con la
mugnaina
infarinati montano cantando 555
timido somarello che
restio
per la stranezza l'indirizzo svaria.
Altri si sgola in
bacchica "battente"
dietro mordace canto alla sua
bella.
Un gruppetto menare oltre tu vedi 560
falci non tocche e
rilucenti intorno,
mimando il tempo della mietitura
con
baccanali gesti e rauchi suoni.
Più in là, un mandolino e una
chitarra
sciolgono a coppie insieme danze e cori. 565
Ma su la
Piazza, in alto palcoscenico,
altri gesticolanti ancor la
plebe
applaude e ride a lor salace motto,
ed è di Tespi la
vagante scena
che, nata qui, da noi più non si spense. 570
E'
satira che il popol stesso crea
e sparge per le strade del
paese.
Ma improvvisa giunge or da la via
che per scale di
pietra a san Nicola
ripida scende (e nel salir ti affanna)
575
ben ricca folla silenziosa e lieta:
una donna gentile,
assai baffuta,
dai ricchi pomi va cantando a tono
d'odio e
d'amore a la perduta amante.
Qui scontri Arlecchin, là mesto e
solo 580
Pierrot tu vedi e un vecchio Pantalone
che presbite
s'inchina a Pulcinella;
ma tutti a Bacco amici e sacerdoti
van
barcollanti per piazzuole e strade.
Intanto alla finestra la
donnetta 585
appende la Quaresima in gramaglie; Quaresima
sette
penne di gallina il cinto ornano
che infisse ad un limon corona
fanno.
L'affumicato e nero unico vano,
dove si aduna e dorme la
famiglia 590
è tutto ornato di collane appese
da presso, in
alto al focolar fumante,
a stagionar del porco le salsicce,
ma
le cucine vaste dei Signori
anch'esse di salami mostra fanno
595
di ricchi e vari e di ben lustri vezzi
cui a ciondoli vi
stanno i capicolli,
e grandi medaglioni di cotenne
e ben salate
le squisite guance.
Ora, lettore mio, la Primavera 600
giunt'è
con le sue rondini ciarliere;
a festeggiarla tutto l'universo
primavera
con letizia si appresta. Il mar si placa
e tutto
splende di profondo azzurro
di amor sospira e mormora sommesso.
605
Si vedon pesci risalir giocando
con i gabbiani cacciatori
alati.
Ora la vela al sole ala di cigno
pare, oscillando con
grazioso moto;
e là, dove la rena appen si bagna, 610
bianchi
merletti la tersa onda crea.
E la terra, la terra ora si
abbella
come fanciulla al dì degli sponsali.
Ma chi e come
d'essa mai saprebbe
menzionare i colori ed i profumi? 615
Ha
mutato il colore della spoglia
dove il verde variò l'erba
matura;
e già oscilla la graziosa spiga,
l'azzurra spaderella
dentro il grano.
Anche i campi fioriscono e la sulla 620
tappezza
il prato di verde e di rosso.
Ma che hanno le campane stamattina?
Settimana Santa
E' giorno delle Palme e dell'Ulivo
ed ogni
giovinetta reca al tempio
di ulivo un fascio di rametti in fiore
625
o di palma intrecciata un bel paniere
che lieto benedice
il sacerdote.
Domani speranzoso in mezzo al campo
il
villico vi pianta pìo la croce
di canna cui legata è l'ulivella;
630
ma al fidanzato la fanciulla dona
il panierino per ornarsi
il petto
ed egli, in piazza, vi passeggia altero.
Domani e
dopo, per tre giorni, andranno visita ai sepolcri
a turno per le
chiese visitando 635
il san Sepolcro, coi cantori in testa,
le
tre Congreghe; cantano lo Stabat,
mentre il tamburo per le vie
singhiozza.
Ma da l'Immacolata giovedì, Giovedì Santo
di
pomeriggio, lentamente move 640
il gran corteo che segue Cristo
vivo
trascinante la croce, cui dintorno
un branco di Giudei;
con breve gladio
il capitano gli punzecchia il capo
e Lo
flagella con sonante sferza. 645
GI'Incappucciati coi flagelli a
sangue
battonsi le spalle, e gli Angioletti,
dalle grandi ali,
seguono da presso;
confusi, muti, timorosi e belli,
fissano
affascinati i Pretoriani 650
armati d'alabarda e ligneo
scudo:
ALABARDIERI! Vanno muti e tronfi.
Luccica al sole la
lorica al petto
di lamine di zinco ben tagliate,
mentre
svolazza a tergo un infiorato 655
tappeto che lor funge da
mantiglia;
davanti, invece, giù da la lorica, f
emminile
sottana ricamata
fa bella mostra con mutande a balza
pur esse
da merletto ricco ornate. 660
Reca inguantata la robusta
mano,
familiare alla zappa e alla fatica;
dal destro polso
pendagli con grazia
fazzoletto di pizzo profumato.
Monotona
ripete a goccia a goccia, 665
Il tamburo la nota cupa a
morto.
Così, Giovedì Santo. L'indomani Venerdì Santo
sarà
giorno di pianto. La congrega
dal serico rocchetto nero reca
la
graziosa Varetta, opra pregiata 670
di quel mastro Pappino
Caporale
che dal Guerino l'arte bella apprese.
Di sei colonne
ai lati essa s'adorna,
donde partendo altrettante aste
snelle
convergono ad un punto e, in alto, fanno 675
elegante
raggiera, cui sovrasta
elettacima ben tornita e svelta,
che a
pinnacolo in alto, indi si aguzza
poi che nel legno scannellò
l'ugnetto.
Tutta di velo delicato avvolta, 680
il corpo
mostra del divino Ucciso
che par nel sonno riposar tranquillo.
Batte la turba coi suoi raggi il sole
per la petrosa ascesa
del Convento.
Infine qui la scala si dispiana: 685
la mesta
processione si discioglie.
Ora nel tempio la Varetta posa
e
tutto d'allegria festante splende.
Gli adulti, i bimbi e tutti
colazione
fanno pei prati e sul sagrato erboso; 690
i bimbi
angelicati la ciambella
appesa al braccio sfilano frementi;
la
ciambella di pane che la mamma
tutta ornò di bianche uova e
dalla tasca
la bottiglietta d'acqua anaciata. 695
Intorno
intorno nella festa immensa
che la natura allegramente effonde
felice anch'esso il popolo si spande.
Ma, giunta l'ora di
tornar, la via
si rifà per discendere e salire 700
fino al
Rosario, dove cessa il rito.
Ecco Il giorno di Pasqua! Ben stirato
Pasqua
l'abito ognuno reca da vestire,
avvolto in gran
salvietta di bucato.
Le campane già sciolte la vigilia 705
al
"Gloria in excelsis Deo, ora pel cielo
spandono insieme
per le vie dell'aria
la loro gioia dell'attesa santa.
Il Cristo
si prepara a venir fuori
per le vie del paese che da morto 710
videro venerdì. Or non vi stanno
Cruciferi e Giudei, ma, sul
portale,
all'unisono provano la voce
cinque tamburi e son
famosi assai.
Ecco. Un profondo battito nel sole; 715
freme
l'interno de la chiesa e muove
alto infiorato lo stendardo innanzi
e par, l'insegna, una gran vela al sole.
Così dal tempio come
gran serpente,
esce la procession lunga e ordinata. 720
Nel
sole, Cristo, ben formato e bello
benedicente, la destra alta,
pare
che in voi si levi per mostrarsi al mondo.
Ma, mentre
Egli procede pel paese,
la gente, a gruppi, a coppie, o ad uno ad
uno 725
la piazza SANTA BARBARA vi affolla
che un granello di
sabbia ivi cadendo
suolo non tocca tanta è fitta gente.
Su la
piazza, ai balconi e fin sui tetti,
dove meglio dispiega i suoi
colori, 730
cicaleccia la folla. Ora discende
chiusa in
gramaglie, lentamente e mesta,
la bella Mamma, e, quando arriva
al segno,
Una ventata di felicità
passa nell'aria e vi
sommerge il cuore;
un pugnetto di lacrime vi scioglie
pur se il
reale ti aridiva il seno.
Odi battere i petti, odi singhiozzi
765
mentre i Superni insieme al tempio vanno,
galleggiando ora
su la gioia umana.
Musica e canto dietro loro; intorno
risplende
e canta pur la primavera
da le antiche torri le campane
770
sciolgono un coro cui, dai colli aprichi,
di Santa Caterina
e Sant' Andrea
rispondono festosi i campanili.
Quando poi
al giugno cede il maggio aulente, rosario
e da le valli la
frescura sale serale
l'aria è cheta e ridono le stelle,
empir
la notte senti e la vallata
anche de l'usignolo il dolce canto.
Lassù, al Convento, la campana suona
timida e sola tra
gl'immoti ulivi, 780
ultimo invito a la preghiera umana
del
giorno che da un'ora s'è già spento.
Appena s'ode qualche voce
monca;
rara parola dai balconi cade,
ma sorge da la via, dove
già assise 785
sta la rughella, del Rosario un coro.
- 41
-
Come dolce e accorato nella notte
quel canto laudativo a Dio
si leva,
canto di pena, di fatica e arsura!
Ogni rughella del
paese manda 790
verso le stelle con quel canto il cuore,
l'anima
ti scioglie a poco a poco
ogni memoria che ti fu sgradita,
e
nuovo punge gran desìo di amore.
O Signore del mondo, anche colui
795
che gonfio ha mente di filosofia
picciol sè vede
nell'immenso Ignoto,
che schiara altrui la via su questa
terra,
come poeta cui scemò sua fiamma
dentro suo nulla senza
stella vaga. 800
A tanta aridità non piove manna,
ma sol
pietà di sè solca l'idea,
muto resta ad ascoltare il canto
di
quest'anime oranti, oneste e pìe.
Non ha toccato ancora la
cicala Mietitura 805
la cetra sul mattino; in ciel le stelle
impallidiscon come fa candela
allor che lo stoppino in essa
annega;
in mezzo al grano sol da alauda s'ode
sommesso il
pispiglio di sua canzone, 810
quando piglia l'avvio la brigatella.
Infila nei cannelli ognun le dita,
- 42 -
dalla
guaina il mietitore leva
l'arcuata falce, lucida, affilata.
Tace
la terra, tace pure l'aria 815
dentro il perlato cielo, ove le
stelle
non fioriscono più e il venterello
fresco rinasce dai
remoti colli,
mentre che l'alba tutto in rosa pinge.
Segnatosi
la fronte, il mietitore 820
dentro il fitto frumento ora si
caccia;
l'invisibile allodola dal cielo
lesta a mirar la novità
vi scaglia
un suo trillante modular sonoro
sopra l'occulta
dubitante prole. 825
E sorge il sole, e sopra l'onda gioca
a
ripigliar sua forma e, intanto, varia
finchè lo sguardo non lo
regge più.
Luccica il rio di tra gli snelli pioppi,
ed ogni
foglia par d'oro si accenda, 830
mentre s'infila dentro gli alti
culmi,
rapida serpe, la corrusca falce;
a ogni scintillio cede
la spiga,
sì che pian piano il campicel si mostra
come testa
cui sta ritta la chioma. 835
Or timida una voce accenna un
canto,
cui più sicura una seconda segue,
insieme fondon, con
la terza, un coro,
e questo tutto per la piana inonda.
- 43
-
Intanto un treno dentro ferreo ponte 840
a salutare
lancia un fischio e scappa.
Ferve la mietitura per i campi,
confortata di frizzi e di stornelli,
di sudore bagnata e vino
schietto;
su tutto il giorno la cicala allaga 845
con onda
eguale di assonnante nota.
Alzano, dietro, silenziose e prone
le
attente donne per l'ardente piano
gialli covoni sospirando sera.
E quando il sole lentamente scende 850
sopra i lontani monti,
e i colli asconde
sotto dorato ordito, ognun s'appresta
a far
ritorno a casa ove l'attende
la dolce sposa. A far la via men
lunga,
l'opra del giorno va mimando grave, 855
così che il
largo gesto e il roco accento
eschileo coro di funesto dramma
pare, e rivivi la severa scena.
Allora che si approssima al
paese
chiassoso coro e rapida corona 860
sfiorandolo gli fan
lieti rondoni.
Ma da la torre la campana annega
ogni voce, ogni
canto, ogni parola.
Anche al meriggio, le assolate vie,
risonanti
per pettini e per casse, 865
- 44 -
eran deserte; ma, dov'era l'ombra, .
la
vecchierella, in conversari assisa, Pomeriggi
il fuso- non posava
e la conocchia, estivi
mentre i fanciulli con bottoni e
cocci
giocavan su la pietra liscia e netta, 870
con risa e
strilli ravvivando il gioco.
Altri, cui il mar remoto era negato,
contenti si adunavano alla gora,
e lì, sfrenati in libertà
verace,
in tuffi, spruzzi e strilli e alti richiami 875
passavano
il meriggio allegramente.
Poi quando il campanone dal suo
petto
svuotava sopra i tetti e per la valle
la sua possente
voce, ognun fuggiva
qual passero dal grano al campanaccio. 880
O
come piange la campana "Ndo…!” Morte del
pare le
risponda anche la terra vegliardo
con l'eco triste che rimbalza a
monte.
Salta nel petto il cuore, e la donnetta
sospende
l'opra e corre a la finestra 885
a domandar novella a la vicina
che sta narrando su la via deserta.
S'aduna tosto, lì, la
rughetelia:
il sarto a l'uscio con in man la stoffa,
la
filatrice con conocchia e fuso, 890
e, avvolto il capo di candido
lino,
- 45
lascia la tessitrice il suo
panchetto.
Rimbalza un nome: subito la via
di gran rimpianto e
di virtù si colma;
ma, dopo, ognuna a sua lavoro torna. 895
-Era
pur buono- esclama uno, e l'altra
-Però ...l'età, vedete?...Era
maturo!
-E che lavoratore. . . gran maestro!
-Ottimo
consigliere...
-Onesto e dotto!
La nuova intanto per le
strade guizza 900
da una terrazza all'altra balza svelta,
per
tuguri e palazzi e alla campagna,
come un uccello nero si
diffonde.
S'affastella il silenzio su la porta
del misero
vegliardo. I paesani, 905
ad uno ad uno, col vestito a festa,
come
api al fiore accorrono, e la casa
la scala e la via stipano
mesti,
ad onorare chi donò suo amore.
S'ode remota, intanto,
una vocina 910
di campanella, timida e lagnosa,
d un
branchetto tra le case appare,
umile e triste coi pievano in
testa.
Scopresi ognuno ed umile s'inchina,
come si accosta
all'uscio del dolore. 915
Improvviso si leva alto clamore
e
salmeggiante ricompare il prete,
- 46 -
seguito da la
salma come agnello
su per l'umido vico a gradi ed ombra
verso
il vicino tempio ov'egli nacque. 920
e la campana in alto lenta
piange
sui grigi tetti declinanti a valle.
Il paesello è lì,
che l'accompagna
per salutarlo, e non manca chi piange,.
e si
lagna, e lo invoca a braccia alzate, 925
e dai balconi e le
terrazze strilla
ch'ella tempo non ebbe a dirgli addio,
nè
chiedergli perdono, nè la mano
baciargli per le offese a lui
recate.
Intanto, grida, accenna con le mani, 930
quasi a
tirarlo da la bara indietro.
e strillano sgomenti i
nipotini,
udendo quella gente pianger tanto.
Ognuno è chiuso
dentro il gran Mistero
che avvolge e piega l'uomo ad un destino.
935
Così sen va per la stradina bianca,
tra quegli ulivi
ch'egli amò già tanto,
fino al chiuso giardino de la Pace
dove
l'umano viaggio si conclude.
Ora su gli orti e le supreme cime
Autunno 940
agonizza l'Estate sotto le ali
delle partenti
rondini pel cielo;
s'ode pei colli di ghiandaia il grido
-
47 -
nel silente tramonto, cui risponde
l'acuto breve
lacerante zirlo 945
del primo tordo dal dorato vischio.
Tiepida
è l'aria: a la selvosa rupe
l'albatra arrossa dentro i bianchi
fiori,
ed ai suoi piedi la gentil corona
apre tra l'erba il
ciclamin turchino, 950
e la gran coppa l'odoroso giglio
che
tutto intorno di profumo inonda.
Va passeggiando su, pei colli,
Autunno Vendemmia
tenero ancora e con suo bacio immiela
la
dorata mammella, e ingenuo pinge 955
or la foglia ad un gelso, ora
ad un fico
che già donò suo frutto, e, dentro il nido,
si
appresta la castagna al breve volo.
E' tempo vendemmiale. Il cuor
si allegra
al fanciullo che attese tanta festa 960
nell'ardore
di agosto; la fatica
al contadino si tramuta in gioia.
Si
parte con, le stelle ed il sentiero,
lungo e petroso, lietamente
scorre,
fino a la vigna che in silenzio pare 965
per l'opulenza
di suo frutto soffra.
O come spira tenerezza al cuore!
Su
l'alba sape di materna attesa,
e tu, conforto, nel mirarla
cheta.
I fanciulletti subito si spargono 970
- 48 -
dentro i filari ricchi e inghirlandati
dove ride nel sol l'uva
matura:
occhi di bimbi, lucenti occhi e belli,
come chicco
che il sol lustra e ravviva!
La piccoletta mano col ronciglio 975
stacca il più bello e se lo caccia in bocca
donde pel mento
il dolce succo cola.
Voluttuosamente. Intanto s'ode
lungo i
filari un parlottar sereno;
ma più tardi si leva chiaro ed alto
980
femmineo coro che nel cuor ti scende.
Sono le donne coi
cestoni in testa
che portan l'uva nel palmento vasto.
Qui,
satiro moderno, l'uomo attende
a piedi nudi a principiar la danza,
985
si che da questa un rivolo di sangue
va nel pilaccio buio
che s'interra.
Poi, quando il sole l'ombra al suolo scema
al
fresco dei castagni i fanciulletti
van sdiricciando i ricci ove
già bionde 990
attendono nel buio ad imbrunire
le
castagnelle che l'autunno serba.
Ma allor che dalla valle
dolcemente Veglia
sale la sera ed è la vite spoglia,
stanche
le donne ormai a rincasare 995
si apprestano. Ma ad una un cesto
colmo
- 49 -
d'inzolia, di zibibo e malvasia
issan sul
capo a dispensar tra amici.
Restano a veglia pochi, e i ragazzini,
cui piace tanto quel dormir forese, 1000
ora che notte la
vallata stipa,
versando ovunque conche di silenzio,
del
calderone il borbottar sommesso
s'ode e più dolce rende al cor
la sera,
mentre la vampa è più gradita al fresco. 1005
Adesso
da l'arcano castagneto
giunge in sordina misterioso pianto
di
solitario innamorato assiolo;
di quando in quando sottovoce
cogli
del torrentello il mormorio soave; 1010
e, tra le
fronde, l'ultimo squittio
del grasso ghiro che a dormir si
appresta
dentro un castagno a trapassar l'inverno.
Nella
mostarda che borbotta quieta
caccia goloso il fanciulletto un
frutto 1015
che poi ritira cioccolato scuro:
e intanto il mosto
si condensa in terzo
pei mostaccioli di future nozze
che in
cuor la giovinetta già coltiva.
Sorge dai monti a illuminar la
valle 1020
la bianca luna e sui fanciulli stende
soffice velo
con disegni azzurri.
Or che dal mare lo scirocco giunge Partenza
pei campi
- 50 -
col mantello di nebbia e la prima
acqua
non ha più sosta il villico e sua donna : 1025
ovunque
la fatica chiama all'opra,
giù per la piana l'ammollita
argilla
su per i colli l'infeconda selva
qui gli aranceti, lì
gli ulivi proni
aspettan tutti l'uomo che l'affranchi. 1030
Allora è tempo che la Musa imbocchi,
il Bastione lasciato,
quella via,
che, sfiorando la chiesa, giù si cala
inflno a la
Scanzata e in due si parte;
l'un ramo che per Crisima e Cozzale,
1035
abbandonando Ceri, il colle scala;
l'altro, che col Bruda
corre a gara
dopo l'abbraccio con Graneli, e bagna
la grassa
Porcheria, move il mulino,
immerso negli aranci folti e scuri,
1040
e pigri a mare insiem compiono il viaggio.
Quando il sol
sorge e gioca a la marina,
giù per la china ben selciata in
fretta
odi del contadin 'l chiodato passo
e l'alto conversar
che l'accompagna. 1045
Anche vedi a Mingiano altri che vanno
e
il lento carro coi pazienti buoi
e l'asinello col padrone in
groppa.
Tutti il lavoro affretta : ed ora vedi
alcun sviare su
per la montagna, 1050
- 51 -
altri un sentiero che lo
porta al fondo,
e piano piano la grande acqua scema.
Ora il
sole gli trae l'ombra sottile
lungo i prati e le viòttole
rupestri,
mentre la lustra zappa all'aria brilla. 1055
Chi
giunto è a suo campo a la marina
il bùmbulu dell'acqua e la
salvietta,
che il magro pasto avvolge, alfin depone;
dapprima
assiso la sua gamba avvolge
contro la gleba lo stivale e assesta;
1060
lo stival che la moglie un giorno trasse
da vecchio sacco
con provato amore.
Segnasi pio e la fatica al taglio
de la
vigilia, scamiciato, inizia.
Un palo appresta a la nudata vite,
1065
e, con amore, incolto pomo innesta.
Dove arida sterpaia
era alla volpe
facile caccia e a la pernice pasco,
egli
cantando di sudore bagna
e prima sbosca e sterpa e sfronda e
taglia 1070
e a punta di piccone indi vi segna
i limiti del
banco che vi scassa
per la cultura di futura vigna.
Ma se la
roccia incontra è gran fatica !
Così per quanto quel pendio
permette, 1075
a terrazze trasforma, ove, di poi,
filari pianta
di vitigno e olivi.
- 52 -
Quando ritorna poi il dolce
aprile
la terra spiana e a giusto passo caccia
la barbatella
cui la marza pone. 1080
Allor che il tralcio poi di foglie
s'orna,
e al sole porge pendule mammelle,
orgoglioso dl tanto,
lieto leva
canto di amore che tra i monti echeggia.
Giunge
ancora l'autunno, il ciel si oscura, 1085
la pioggerella
quietamente suona,
ed egli a battezzar la botte nuova
chiama
gli amici e ognuno assaggia e dice
dei giovinetto la bontà
futura.
Chi mai per lui levò al cielo un canto Inno al
1090
per celebrar la nobile fatica? Contadino
Chi mai del solco
celebrò la storia?
Pure l'umana mensa abbonda e allieta
col
suo sudore senza mai riposo.
Tu partire no 'I vedi con le stelle
1095
pieno di sonno e di stanchezza, a l'alba;
nè vedi il suo
ritorno in su la sera,
nè la fatica del suo lungo giorno,
quando
la zappa al braccio si ribella.
Solo a volte il suo canto odi. E'
la pena 1100
che il cuore accorda a suo destino amaro,
o del
raccolto a la futura gioia
che gioia rende a chi l'assaggia e
coglie
- 53 -
una lung'onda di felicità.
Dietro non
segna, l'umiltà,. suo nome, 1105
ma quanti mai non furono
maestri
in quest'arte difficile e costante?
D'esso cantò
Virgilio la fatica,
mirando la campagna e il suo lavoro.
De le
stagioni e delle creature 1110
porta seco l'amor che dalla
terra
come di vita affiato a lui venia.
Laggiù lo riconforta
ed egli in pace
penare udrà la vita sotto il sole.
Lo
affliggerà, però, l'orrido mostro, 1115
sferragliante e fumoso,
che la terra
strazierà strepitando con l'erbetta
degli alberi
la barba delicata,
che nutrimento e forza ad essi
porta.
Sconvolto come solco che là s'apre 1120
egli sente la
fine che si appresta
a la sua razza, che ancora oggi dura;
anche
del proprietario s'è perduta
la paterna figura che
compagna
nell'ansia era al colono (ma non quello 1125
che a
questi mai mostrò il suo ritratto).
Le stagioni allor furono col
tempo
consiglio, attesa, credito e letizia,
sempre insieme a
la pena e a la vittoria.
La terra ei non vedea solo per l'oro,
1130
- 54 -
ma come creatura che donava
a la non
gretta mano e che bellezza
in cambio offriva del segreto
affetto.
E chi non pensa al certo? e chi alla fame
che non
perdona? Non la zolla ha colpa, 1135
ma il clima nei capricci
rovinosi
che fiore e frutto alla rovina porta.
E' come l'uomo
che, ammalato, muoia.
Colpa de l'uomo, forse? O che la terra
indispettir vuol forse chi lavora?
Fortuna misteriosa regge il
mondo
e, nel rotare suo, pure la terra!
Ma i due si
accompagnavano nel passo,
e l'un reggeva l'altro a la
sventura!
Così da quella zolla una ben salda 1145
corda
legava i cuori con suo nodo.
Ahi, la pena che impietra! Nella
notte
scorge egli rovinar tutto il creato
come fradicio ciel
che venga meno.
Sui suoi pensieri gli occhi stanchi volge
1150
dubitanti all'azzurro che si perde;
non più canti di
uccelli o di cicale,
nè più di grilli serenanti a notte,
nè
di ranocchi recite serali.
Neppure sotto il manto delle stelle
1155
serenate di amanti ansiosi e matti.
Carezza a la fatica
era lo sguardo,
- 55 -
amorosa carezza a madre
terra,
che, come un venticel blandisce il cuore,
parea che la
stanchezza anche blandisse. 1160
Ferocia folle, questa, dei
coltelli
nella carne di lei, ostia novella
alla dorata dea
della Potenza
contro l'umile giorno faticato;
chè nato fu a
crear, non a servire, 1165
chè la felicità nel dar si prova
non
nel ricever chè la gioia è poca!
Il taglialegna parte con le
stelle Boscaiolo
lasciando il suo giaciglio, e, su pei monti,
sale
con passo silenzioso; incerto 1170
davanti al bosco prima egli si
ferma
finchè dal mare non affaccia il sole
l'irte cime
indorando e le alte vette.
L'enorme scure il vigoroso braccio
con
arte dentro il sonno abile caccia 1175
e abbrivida la pianta e si
contorce
la profonda radice dentro il buio.
S'ode femmineo
canto, cui risponde,
da l'opposta pendice, chiara l'eco.
Poi
quando il sole all'orizzonte sale, 1180
cessa la scure; chè quei
a mensa siede,
mentre si leva da assolata selva
di ascoso
gregge pur belar remoto.
- 56 -
Or nel silenzio, la
gioiosa voce
d'agreste fonte tu odi da presso, 1185
cui
Intesse d'uccelletti allegro coro
lento rotante dall'azzurro
scende
sonoro il grido di sparviero intorno.
A quando a quando
di uno scoppio a valle,
cupo tra i monti lo schianto rimbomba.
1190
Monotona ripiglia ancor la scure
e l'eco si rincorre per
le valli;
ma quando nella selva e nella valle
scema la luce,
cessa. Egli s'appresta
a rincasare con pesante passo, 1195
mentre
i silvani tacciono nel sonno.
Anche il paese nel silenzio
affonda
taccion le strade desolatamente
sotto i pallidi lumi de
le case
che han già raccolto in sè le sparse voci. 1200
Ma al
mare vanno come bianche rose
dentro la notte le lampare in fila,
e dal convento una vocina scende
che in tanto buio il cuore
umano tocca.
Le stelle già si adunano nel cielo 1205
a
riguardare gli uomini e fan luce
al fiacco pie' del boscaiol
soling
che tacito ritorna a la famiglia
sempre smaniosa per la
sua ventura.
- 57 -
Dalla profonda valle odi la voce
Raccoglitrici
delle raccoglitrici spensierate 1210
lente
salienti su per l'erta opposta
che dai giardini reca a la
maestra
dove un carro. l'attende. -Ecco: le vedi su
per il
viottolino serpeggiante
che più biancheggia tra la verde fratta.
1215
Cantano in coro una canzon rapita
al vento freddo della
bianca Sila
Ed è la vita vera che s'incaglia
dentro le note
chiare del cantare
la dolce fola dell'amore atteso; 1220
lievita
il canto la sopita pena
di quel salire il viottolo serpente,
di
quel salire con la cesta in testa
per quanto è lunga la giornata
intera,
con quei cestoni ben colmi e pesanti 1225
di arance
gialle che il veder ti allegra.
E dalla piana giungono altri
cori
sotto gli ulivi pallidi e piegati
dal grave pondo
benedetto e amaro.
Sono altre donne, prone ed accosciate, 1230
dalle indurite mani che dal suolo
ragnano svelte le cadute
drupe.
O come duole la curvata schiena
e come il tramontano
morde al sole!
Ma le consola il suono del pastore 1235
- 58
-
che dal caprino vello accordo trae,
sorgente forse da
universa pena.
Bela l'armento e fa la ninnananna
augusta e
sacra e il tener grano imbeve
ed il frusciante argento degli
ulivi. 1235
L'aria si gonfia e il sole si rallegra
sopra il
bucato tra gli sterpi teso
e tutto piglia gioia da quel sole.
Il
torrentaccio solitario canta
nel fondo valle tra albicanti sassi;
1240
ma dalla torre che raggiunge il cielo
festoso scampanio
sui tetti versa
ed ogni cosa di letizia s'empie.
il cuor si
placa. Odore di natale,
sapor d'infanzia e di perduti affetti.
1245
E' giunta l'ora che il mio canto scenda Artigiani
ad
onorare l'arte e la bottega,
dove vince col cuor l'umano ingegno.
Era, il paese, di artigiani fiero
da gara e non da invidia
avanti spinti, 1250
chè da l'opera ancora oggi si noma
quale
maestro delicato e sommo,
e mai l'imbroglio malfamato
fosse.
Grand'arco in sul principio alto s'incurva
- 59 -
e
amico s'apre a chi di fuori giunge; 1255
il suono del lavor così
risuona Fabbri ferrai
che alla speranza il cuor subito s'apre.
La prima porta a destra offre l'inferno
rutila fiamma e, su
l'incude, il ferro
dintorno sprizza come stella franta 1260
mille
scintille quando maglio cozza;
esso si torce, si ritorce e
affoggia
obbediente alla mente, oppur si allunga
quasi vivente
serpe, e riscintilla.
Tinnula a lungo e per la valle suona
1265
quasi campana la cornuta incude;
or nel dallare diavoli
sono essi,
i forti fabbri, e insieme l'ampio cerchio
traggono
fuori con tenaglie ardenti
dal grande. fuoco, ad incerchiar la
ruota 1270
tra l'incrociar di voci e di comandi.
Anche te
invade un impeto d'orgoglio
d'essere pure tu come essi uomo.
Mira: con acqua rapidi sul ferro
mandano fumo dai brucianti
quarti; 1275
più non fucina,ma un inferno pare,
e diavoli
anneriti essi a loro arte.
Quando fumante ancor la ruota giace,
tra lor giulivo col zinal cuoioso,
ed arso il volto, calmo il
mastro appare; 1280
- 60 -
mastro Pasquale, muscoloso
braccio,
che i giovani apprendisti a gareggiare
nel lancio di
volanti arcuati ferri
dal bue consunti già. Ecco
nell'aria
rapidi guizzan sfavillando al sole: 1285
alcuno quasi
uccello colto all'ala,
dopo breve arco a valle chiude il
volo;
altro volando verso opposto colle
appena il muro della
strada sfiora,
dove segata al sol resta la stoppia. 1290
Intorno
intanto capannello gode
e plaudente la vittoria premia.
Di
sopra a la fucina i Caporale,
germani al fabbro molto cari,
stanno;
con ascia e pialla, con scalpello e voce 1295
accrescono
il clamor si che la valle,
verde di aranci e per ruscello fresco,
tanta gioconda vita intorno echeggia.
Mastro Peppino, ingegno
vivo e guida,
cui difetto non fa buon gusto all'arte, 1300
con
matita e compasso e squadra traccia
novella forma per squisito
arredo
o capitel corinzio a la colonna;
o dolce gola di cornice
eletta.
Francesco esegue con scalpello il segno 1305
per
adornare gran portone o stipo
- 61 -
chè a Napoli i
segreti di loro arte
dai Guerini il maggiore e
all'Accademia
l'altro, colsero. Intorno, d'ogni etate
stan
discepoli attenti, e chi la colla 1310
difficile arte, scioglie;
chi col tornio
svelta colonna cui poi foglia incide;
un altro
tira a mobile cornice
e infine v'è chi canta mentre liscia
di
ciliegio pannello acceso e bello. 1315
Mani operose, intelligenti
mani,
dalle carezze delicate e lunghe
anche se il ferro vi
scarnisce o taglia,
voi da l'ombra tornate e l'opra santa
da
voi lasciata a questa ripa vive, 1320
e con orgoglio si commuove
il core.
O benedette mani che creaste
le cose belle che or non
si san fare!
Su questa stessa via altri mestieri
è d'uopo
rammentar nel mio cantare. 1325
Alto robusto dal ben largo petto
Vincenzo Guarna è di color cognato
che a Messina ed a Reggio
un giorno apprese
come botte e baril la fiamma incurva.
Chi
nelle fiere del gran Golfo ignora 1330
i suoi barili dai curvati
fianchi,
orgoglio e gioia a la fanciulla quando
- 62
-
ritta e fiorente da la fonte torna?
Ricordan tutti quel
gioielli eletti
che più non usano oggi e che oramai 1335
non
usan più le fonti di campagna
dal cuore della terra all'ombra
nate
di antiche querce tra mentastro aulente.
Prima che ai
Pezzi giungi, un altro incontri,
rosso di pelo e di pupilla
azzurra, 1340
di lingua sciolta e di loquela ricco
stridula
alquanto per cricchiar di denti.
Fermati un poco e miralo di
molto,
chè più non rivedrai la stessa copia!
Un vitone di
legno incide e scava, 1345
difficile opre, da giallastro
gelso,
onde di poi vedrà pianger le coffe.
Avvolge egli di
canto l'opra e spesso
predica all'aria, e de l'antica
Bibbia
orrendi squarci a lungo vi declama. 1350
Al passante,
poi, grida: "”-Udrai di poi
stridor di denti e brucerai in
Inferno-"”
Ma quando l'opra alfin reca al cliente
gli
ridono con brio pupille e volto;
ma più quando rincasa che,
seguace 1355
del figlio di Semele, offrl cratere
sì che la
terra tutta intorno gira
ed ei di tanta gioia molto gode.
Mastro
Vincenzo 'u Zurru, falegname
- 63 -
cui il mondo intero
sorridendo "Ave". 1360
Quando egli finalmente a casa
giunge
non sopporta star chiuso e fuori esce;
scamiciato si
asside, anche se piove.
La Bibbia in mano, ristridendo i
denti,
predice il finimondo e tutti esorta 1365
novello
Decollato, al pentimento.
Nessun si ferma e sorridendo
passa,
mentre la moglie pudibonda 'l prega,
ed egli duro.
Stride i denti e strilla
nella biblica immagine compreso. 1370
Infin rincasa che già l'aria imbruna
e per la strada più non
passa alcuno.
Ora la strada incurva e della Posta
l'insegna
scorgi. Scendi la scaletta
e nell'ufficio il Direttore vedi:
1375
don Ciccio, dai mustacchi folti e grossi,
donde un sorriso
spesso si diparte
bonario, ridanciano; egli a le donne
gesticolando con la mano tocca
il seno e ride e pizzica e
carezza 1380
senza offesa, sondando altrui desio.
Se un
telegramma giunge, allora strilla
per richiamare il fattorino
addetto,
che sta vicino, dentro un sottoscala;
il nome porta di
"Surdu 'e Garetta", 1385
un secco ciabattino, miope e
sordo,
- 64 -
che batte e batte e porta il tempo al
canto
variandolo col naso divertito.
In tanta solitudine gioco
era
che solo vi regnava la sua donna. 1390
unica fonte ad ogni
cura e gioia.
Quasi orbo; se poi ti scorge, a smorfia
il piccol
viso atteggia nello sforzo
di ravvisarti alquanto e ben ti
fissa
dietro gli spessi occhiali, a bocca aperta. 1395
Se poi
tu accenni a quel suo noto canto,
cogliendolo sul fior de la tua
bocca,
""Oh, quantu è mbella Ccicca mia" pian
piano
egli ripiglia””Cche mbella! Cche mbella!" '
e
sempre forte, più forte ""Cche Mbella! 1400
sì che da
lungi udendolo, sorridi.
Siamo arrivati a piazza SAN NICOLA,
chiusa a levante da l'antico tempio,
a Sud limitata da un
sedile
che tutta aperta lascia la visuale. 1405
Su la convalle
si apre ed a GIAMBARTOLO,
alle cui falde va COPINO allegro.
Lungo
il sedile in pietra, ove gli anziani Piazza
pigliano sole nel
freddoso verno. S. Nicola
Chiude il sedile una fontana e schiocca
1410
la sua frusta di argento sui barili.
Il vecchierello là,
seduto al sole
racconta cheto la sua vita agli altri
- 65
-
che silenziosi a lui tendon l'orecchio,
mentre dintorno,
sui barili assise, 1415
serene donne aspettano lor turno
e,
nell'attesa, qualche nuova affiora.
La campanella al vespro umile
invita.
A frotte da la scuola come uccelli,
chiassando gli
scolari, al gioco pronti, 1420
giungon di corsa; par sorrida il
SANTO
da la cimasa col bordon di pietra,
quel san Nicola a cui
la chiesa è sacra,
vescovo antico con mantello e mitra,
che
trasse da le fiamme tre innocenti. 1425
Ma vedi uno, laggiu, cui
gamba manca
solitario mirar la fanciullezza;
siede fumando
una pipetta, e intanto
approva la perizia; ma la gioia
tosto
il ricordo della assente spegne. 1430
Altro vicino, sta poggiato
al muro
e al PIAVE amaro pensa ove l'ha persa,
e al sacrificio
che per lui fu vano!
iI primo cuce per campare; l'altro
il
giorno appende a sua magra pensione. 1435
E quale prezzo può
pagare un arto?
Chi ripagare può la giovinezza?
Passa col
tempo ogni presente e more
dentro la propria cenere la fiamma,
e
resti abbandonato in tua disgrazia!!! 1440
- 66 -
Or
guarda don Andrea, dal grigio pizzo
che quieto fuma la sua lunga
pipa,
fratello al fabbro, che col capo accenna
sbirciando il
tabacchino, e il sol si gode.
Narra pure egli de l'antica etate
1445
quando da finanziere a Como, andava
di notte a caccia di
contrabbandieri.
e il suo racconto si tramuta in gesta.
Volgiti
a destra e la salita a scala,
affronta con coraggio e buona lena;
1450
essa si stringe tra palazzi antichi;
e se improvviso gran
belar di agnelli
ti giunge, non temer. Nulla di male,
in quel
mare di velli, ti accadrà
normale scena è questa, che il ritorno
1455
primo fra tutti è quello delle greggi, n vespro
che fa
ricordo di lontani tempi.
Fermati ancora, lasciale passare,
e
mira intanto, in cima al tempio il gallo
ch'indica il vento nel
soffiar del giorno. 1460
Squilla la campanella de la pieve,
giunge
la vecchierella lemme lemme
con la corona che le pende in grembo.
Lasciano i vecchi il sole, e anch'essi vanno,
l'un dietro
l'altro, a capo chino, assorti; 1465
or pel sagrato si diffonde il
canto
della miseria umana che rattrista..
Inizia, dunque, la
scalata grave
- 67 -
Inizia, dunque, la scalata
grave
che, a gradi larghi, in pietra, a monte sale,
partendo in
Manco e Destro il mio paese. 1470
Ecco che incontri un gran
portone, a dritta,
con portale ciclopico assai bello
vedi il
grande uscio rivestito in ferro
cui normal varco s'apre angusto in
basso.
Due altissime colonne in sasso ai lati, 1475
da grossi
piedistalli sostenuti,
reggono in cima una terrazza altera
per
balaustra lavorata in ferro.
Belle foglie di acanto al capitello
fanno gentil corona dal cestello. 1480
Oltre la soglia,
androne immenso trovi
con vaste lastre di tagliato sasso,
dove
la voce incerchia e vi rimbomba.
Qui regna Sartagalli, senza
nome;
secco, scarnito, giallo, occhio sorcigno. 1485
Tu non lo
scorgi, m'egli dal guardiolo,
invisibile anch'esso in tanto
buio,
dove qual cane dal padron fu posto,
t'ha visto,
conosciuto e ti saluta,
celando in fretta, rispettoso e chino,
1490
la pipetta di creta intartarita
dalla breve cannuccia
maciullata.
Qui regna, ma dov'è cognito assai
è la strada.
Ogni strada per cui passa
- 68 -
sempre scappando per
discese e rampe, 1495
salterellando sì che SARTAGALLI
senza
altro nome fu sempre chiamato.
Egli è portiere, messo, e
messaggero
di amorosi convegni e d'altro ancora
che al suo
grasso padrone in testa frulli. 1500
Quando giunge qualcuno, a lui
compete
soffiando nel citofono, annunziarlo.
Due grandi oche
con lui la guardia fanno,
che chiasso orrendo levano se alcuno
il
limitar di ferro osa varcare, 1505
o, peggio, se la pianeggiante
scala
cominci egli a salire. Allor si affaccia
una testa da
l'alto e par mozzata,
sì ch'esse a poco a poco tornan
chete.
Sale di piano in piano la scalea 1510
e ad ogni
ballatoio poi si allunga
ed ai due capi un uscio s'apre o
chiude.
Molti figli nei tempo ebbe il casato
etutti, in quella
casa, insieme uniti
vissero tutti di una stessa idea : 1515
di
tanti uno soltanto si sposava,
ed a quel solo l'aver figli e roba;
agli altri concubina era concessa.
Avveniva così che ognuno
fuori
viveva amministrando per quel solo, 1520
e sovente quel
solo e la famiglia
- 69 -
a Roma stesse ed al paese gli
altri,
ed uno al tempo della nostra storia.
In un mare di noia
e di pensieri
annegava la vita del barone. 1525
La sua gran
mole è tanta e tal che un passo
múover non può senza altrui
soccorso
chè il grasso da ogni parte l'inguaina,
e un
materasso pare più che lardo.
Ha collo breve e grosso; il qual si
perde 1530
tra busto e testa che da men non sono.
Cento
orologi, di diversa foggia,
con cento toni orchestrano dintorno
sì che non sembran misurare il tempo,
ma posti là a fucinar
la morte. 1535
Quattro sbarre di ferro il letto reggono
che di
una piazza e mezza allarga il piano,
dov'egli, a sera, al sonno
il corpo affida.
Una parete adornano le chiavi
che sono tante
e tali che mai due 1540
nonchè conformi, simili non sono.
Qua,
una giganteggia di tal peso
che a pena un forte braccio la
sostiene;
altra poi pende che la piccolezza
più che di chiave
l’aspetto ha di grillo 1545
e in man di bimba si
disperderebbe.
Qui regna. Qui riceve e qui si ciba,
qui dorme e
qui riceve, qui s’adira;
- 70 -
qui, come grilli,
saltano le cifre
che a sera segna con antica penna: 1550
or di
tomoli ed or di litre o giorni
che a suo favore il contadino
serve,
quel contadino che, domani, vecchio
recherà sua
miseria al gran portone,
a stendere umiliato a la pagnotta
1555
l'inerte scarna mano che fu attenta
ad ingrassargli
sempre la fortuna.
Ma or ripigliamo la scalata a monte
che
riposa là, dove una chiesetta
tranquilla siede in mezzo alle
botteghe. 1560
Dapprima, dove incrocian cinque strade,
santa
Maria in Crignetto essa si chiama;
qui sciacqua una fontana e
sciacqua e sciacqua
col tempo che misurano i martelli
di quel
mastro Saverio Mattengano 1565
che coi figli risuola e che
raffina,
ed ogni colpo una canzone insegue.
Ma tutto rompe di
Patato il grido
magnificante il pesce fresco e buono,
a santo
Michianò pescato a notte. 1570
Tacita Gianna dalla sua osteria
guarda chi passa, se un beone giunge,
ma ognuno passa e sale
a la gran piazza,
cuore del mio paese, ove ancor resta
l'antica
pietra de la Mezzarola 1575
- 71 -
misura esatta per
granaglie un tempo.
Mira inoltre la grande chiesa Madre
del
Salvatore ed il palazzo. Guarna
da volgare gentuccia oggi
abitata.
L'abitava a quel tempo una famiglia 1580
delle più
antiche e nobili del loco,
come l'altro che alberga oggi il
Comune
e che ai suoi dì fu dei CAPOREALI.
Dei primo, attore
estremo fu Vincenzo
di don Peppino figlio; egli si uccise 1585
per la miseria nella quale il padre
morendo lo lasciò,
crudele esempio
d'egoismo paterno, chè un mestiere
ben dar
pane potea a quel figliolo!.
Resta ancora lo storico mignano
1590
donde di Badolato la parola
al vento dei potere fu
affidata,
oscura molto, e spesso falsa e vana.
Ogni promessa
ed invettiva udia
l'antico campanile comunale, 1695
che de la
plebe il palpito tradusse
in risonante appello a tutti aperto;
o
di tempesta che l'alma selvaggia
spiegava al vento, le campane
attente
tempestavano l'aria, e il. suono ancora 1600
le valli
empiva e ne tremava il monte;
ed era voce di sommossa oscura
-
72 -
contro la prepotenza o il mal governo!
Orgoglioso
levava al ciel la fronte
e guida certa al popolo ribelle. 1605.
Or
non è più, chè i facili guadagni,
temendo di sua voce. l'alta
sferza,
han decretato la sua morte e, mondo,
han derubato le
robuste mura,
e le campane, issate poi dal prete 1610
per
vanitate su meschina gabbia
(e non erano sue, ma del Comune)
onde
l'antica portentosa voce
che Coscia e Staletti ancor
rammentano,
ora pietosa sopra i tetti affioca ! 1615
Oh, come
la viltà vince la fronda!
Non rinnoviamo, no, la gran miseria
che ancora soffia su le nostre case.
E ripigliamo pur l'antica
via.
Ora la Piazza si restringe e ondeggia 1620
di canto, cui
metronomo è il martello:
se fermi Il passo, tu stupito
resti.
Chiara una voce e dolce un'armonia
in cuor ti scende e
l'anima ti mosce.
Mastro Pasquale egli è, Corea nomato,
1625
che, solerte artigiano, opra cantando.
Gentil sentire e
magico volare
che Verdi giunse tra modesta gente,
e Bellini e
Mascagni con Puccini
- 73 -
ad allietare l'aria e la
fatica. 1630
""Pura siccome un angiolo””.. e la
voce
solenne piglia volo e tosto un coro
ad essa unisce ben più
vasta nota.
Come leggiero sul capretto passa
l'affilato
trincetto, e piglia forma 1635
la lucente tomaia. Egli,
maestro,
coi canto segue l'elegante scarpa
quasi desse,
quell'arte, sua bellezza.
Forse, tagliando, vede
sfavillanti
palchetti d'oro e fascinose donne 1640
dai
graziosi calzari in bianca seta,
e chi ode vive ancora antiche
gioie
Vegliardo, intanto, lo speziale Coscia
nel suo
mortaio pesta l'erba, e il tempo
con il pestello sembra
accompagnare. 1645
Sordo da presso, quasi cieco e muto,
unico
avanzo di famiglia illustre,
sta ritto all'uscio don Peppino
Aponte.
Cogitabondo, solitario e curvo
alza ad ogni ombra il
capo, ed un saluto 1650
accenna appena e dubitante fissa
come
volesse a sè trarne la forma.
Dove poi il Corso incurva incontrar
puoi
a pie' di somma scala, assiso e solo,
un che ripensa a le
sue cacce antiche, 1655
- 74 -
quando la quaglia la
scampava e a lui
restava in aria svolazzante foglio;
chè don
Saverio Militerna usava
come stoppaccio pezzi di giornale.
Ma
ecco che là si ferma don Peppino, 1660
cacciatore di donne e di
pernici,
a chiacchierare un poco con l'assiso
cui di cartucce
e quaglie ora discute.
-Don Ciccio 'e Caccia, certo don Saverio
li
comprava per te tutti i giornali..." 1665
Si ride intorno, ma
don Ciccio irato
bestemmia i Santi e qua e là dimena
violetto
il naso butterato immane.
E adesso che la strada apre suo
grembo
scendendo in corsa e del castello cinge 1670
gli alti
petrosi fianchi e l'orizzonte
verso i Baglivi uviferi e
Frappietro,
ora è di rammentare l'ampio Fosso
dove la
prepotenza armò la mano
dei Caporale e cadde un brigadiere
1675
che amore spinse alla soperchieria
sopra l'inerme
giovanetto imberbe.
Che c'entrava costui se la bellezza
il
Piemontese avea disarcionato?
Pensava forse che la donna bella
1680
ceduto avrebbe per sì bell'amante?
IL CORSO CHE SALE
A GRADINI PALAZZO PAPARO
- 77 -
Era di Pasqua. Dentro
san Domenico
il popol tutto l'omelia ascoltava
della
Resurrezione e della Pace,
quando un amico, con affanno, il fatto
1685
a Domenico narra. Questi corre
del fratello in difesa,
inerme e solo,
che il brigadiere con follia spingeva
verso il
burrone senza fondo e scuro.
Là si fermò la storia, chè la
spense 1690
la fedele arma e perciò stesso vide
la montagna i
fratelli, ove a quel tempo
scappava chi aborriva i
Polentoni.
All'ombra estiva, su quadrati sassi, Al rezzo
estivo
la Galantomaria qui radunata in Piazza Fosso 1695
sedeva
in conversati di alti temi :
della campagna, del Comune e
pranzi,
finchè del mezzodì s'udiva Il tocco.
Ma se da Santa
Barbara apparìa
la bella forma d'una donna snella, 1700
con un
fascio di legna su la testa,
allor la comitiva si attardava.
Era
l'ora che giù, da la montagna,
a fila Indiana e con gran fascio
in testa
giungevano le donne in gran parata, 1705
eretto il
busto e modellato il seno,
il volto rubicondo e gli occhi
bassi,
- 78 –
lievi danzanti su lo svelto
andare,
vestali belle d'un perduto rito.
Dimenavano sopra il
nudo passo 1710
la coda dei "lubretto" .ed era
grazia
che beltate ne inchiodava il guardo
restava ogni astante
senza fiato.
"O dove andate, -in cuore ognun diceva
o
dove andate sì graziose e belle? 1715
Fantasmi siete in sì
femminea forma
o del mio desiderio ombre fittizie?"
O
bellezze di forma e di movenza
dove sono esse che non son più
vive?
Arcuato un braccio al fianco e l'altro al fascio ,
1720
danzatrici parevano gentili
di quell'antica danza a nostre
feste.
Ma poi che la sfilata era lontana,
qualcuno si
svegliava e l'alte forme
esaltava e la grazia de l'andare;
1725
altri dl amore la virtù vantava;
sbocciava a tutti, come
fiore, un sogno.
Al suono, poi, del campanone ognuno
per la
sua strada lento si avviava.
Era il paese dei remoti giorni,
1730
limitato da chiese e campanili,
con le sue piazze piccale
ma care,
colme sempre di anziani e fanciulletti.
- 79
–
Lungo filo di vita e di ritorni
Essi l’ ritornavano
amorosi
Quando vaniva con l’età il meriggio. 1735
E lì
ritorno anch'io coi miei fantasmi,
a piazza SantaBarbara che
vide
la remota mia età, piena di favole,
la casa ove fiorì la
prima infanzia. 1740
Ròsa dai venti e da le forti
piogge,
mostrava a le stagioni la sua pelle
a solchi aguzzi, a
squarci, a gobbe e fosse
Santa Barbara mia, nuda e assolata,
asilo
dolce ai giochi e a le scappate 1745
per aspri colli e verdi orti
e giardini.
Una fila di case, umili e basse,
quasi unite a
goder tranquille il sole;
non chiasso, intorno, di carrozze o
carri,
ma gioia mite candida di bimbi. 1750
Qualche donna
filava, altra incannava;
la "Maddamma" tesseva, e si
spandeva
il tricche-trac intorno del telaio
che accompagnava
della tessitrice
chiaro stornello di sognato amore. 1755
In
tanta quiete ergeva la mia casa
la bella forma con gli alti
balconi
agli orti aperti, al mare e ai verdi colli,
al lieto
scroscio di Copino erboso,
- 80 -
e al fresco canto de
le lavandare. 1760
Un orto, ai piedi, si stendeva al sole
con
grandi ricche opunzie che, nel giugno,
accendevano fiaccole
all'Estate,
e su la sua agonia frutti squisiti.
Qui trascorrevo
il giorno; una capretta 1765
lattifera maltese, erami
accanto.
Breve angolo di terra era quest'orto,
dove libero
uccello io mi perdevo,
tra fitti fichidindia e qualche ulivo,
a
far stendardi dai vivaci fiori, 1770
ch'ivi all'ombra od al sole
rinvenivo,
quasi a far festa al canto di mia madre
che dal
telaio chiaro e fresco intorno
con quell'ugola d'oro vi
spandeva!
O le stupende gare al calmo vespro! 1775
or con le
bocce colorate e tonde,
ora col cerchio di vecchio barile,
ora
col` roccicì" o a nascondino,
oppur coi sassi a fare aspra
battaglia.
Ma quando ottobre si affacciava agli orti 1780
si
scavavano in terra tre fosselle,
vertici chiari di figura
esatta,
e con l'arancia verde si tirava
e doppio punto se finia
a la grande.
Però se il riccio nella selva apriva 1785
il
borsellino di perlaceo raso
- 81 -
si giocava a
"casterace" . Gioia era,
se vincitore ti portavi a
casa
in cambio di castagne, una pignatta;
chè gli "argagnari"
ailor di sant'Andrea 1790
scambiavano con fichi e con
castagne
piatti, pignatte ed altre cose belle
.Ed era il tempo
della ninna-nanna Presepe
che la zampogna il grande petto
enfiava
e, dagli ulivi, le raccoglitrici 1795
il mesto e lento
canto di Natale.
Noi si tentava ai cànnico sonante
le dolci
note de la pastorale
per far corona poi a la ciaramella
nella
penombra della grande chiesa; 1800
dove un presepe con le
candeline
si animava per noi di fantasia.
Lasciavan la bottega
i falegnami
per disegnare, erigere e ordinare
quel vasto
paesaggio francescano! 1805
Era per me una favola. Vedevo
su
per i colli in ombra i paesini
con le casette illuminate appena;
scender vedevo gente a la pianura
per biancheggianti viottole
rupestri 1810
come nastri di seta. Biancheggiava
pei verdi
greppi e per le ardite balze,
la sparsa greggia intesa alla
pastura,
- 82 -
mentre il pastore, dentro manto a
ruota,
súonava curvo a ritmo danzante 1815
la cara
ninnananna natalizia.
O tempi! O gente pudibonda e pia,
quanta
di tenerezza mi recate
in quest'etate ingiusta e senza Dio!
Era
pur dolce stare al focolare, 1820
mentre di fuori nevicava e il
vento
mormorava sommesso antiche fole!
Stava serena la
famiglia a mensa
aspettando il Natale a mezzanotte. Notte di
Natale
Nove specie di frutta e vino nuovo 1825
spillato
appena dall'intatta botte,
eran di voto; c'era la frittura
con
l'immelata bionda pignolata
e il bruno dolce croccante
confetto,
lucente ancora, e i fiocchi inzuccherati 1830
ma
il dolce più soave era la casa.
Suonava mezzanotte al
campanone
... ndan ... ndin ... ndooon ! Si esultava: “È nato!
E' nato
E, risvegliate le altre, in coro "ndo...ndon!
Udivi
rimbombar nel buio a valle 1835
il tonar degli schioppi e dei
petardi.
Ammiccavan dal cielo anche le stelle
e per gli opposti
monti le campane
e le vallate intorno e gli alti poggi
profonda
l'eco rimbalzava "E' nato!" 1440
- 83 -
e le
case e le strade le lucerne
accendevano tosto ed il paese
altro
presepio mi parea nel buio.
E tutto di letizia si vestiva:
ogni
offesa cadeva nell'oblio, 1845
ogni cuore, ogni volto era di
fuoco,
che pareva esultasse l'universo.
Tempi sfatti dal
vento tempestoso
Guerre che valse ad uno sùbita ricchezza
ed
all'altro la sùbita miseria : 1850
colei che andava a legna per
campare
si svegliava "signora" con borsetta;
e chi in
carrozza andava, ora va a piedi!
Così che l'ignorante apparì
dotto
e a sindaco fu eletto o a deputato. 1855:
Ahi, la
miseria! La virtù sepolta
da sotto terra mira altra erba al sole!
ARROGANZA VILTATE IPOCRISIA.
Dall'America allora il peggio
giunse
il meritricio libero per via, 1860
poi che si volle il
giusto loco chiuso;
e la droga che porta all'altro mondo,
e il
sequestro e la banda e la guerriglia
intesi a la ricchezza senza
pena.
Più non giungono i Turchi a la marina, 1865
ma i nostri
son più facili al sequestro!
- 84 -
E chi più pone
mano a legge o spade
per ripulire quest'Italia bella?
D'essa
poeti e musici ed artisti
esaltavano un dì bellezza e pace.
1870
Pure fu chi la sicula contrada
sicura fece ed il passante
certo
la notte andava per città e sentieri,
per monti e valli,
chè nessuno osava
assalire l'inerme viandante 1875
nè sul
lavoro la minaccia cadde.
Torna l'inverno; sul paese e i campi
collegiali in
chiara pei lindi cieli va la luna partenza
tutto
avvolgendo di azzurrino velo 18 80
e pare, tutto, magico e
lontano.
Già canta il gallo e non è l'alba ancora
quando,
assonnato, affronti il buio e il freddo
per la sconnessa via che
va al Girone i
Una remota sonagliera s'ode 1885
verso il
Giardino, ed un trottar confuso
che dalla valle sempre più
riecheggia.
Tosto dalla fitt'ombra un carrozzino
quasi fantasma
all'improvviso appare.
Batte la luna il mantice e l'alluma
e
brillano nel moto i finimenti 1890
e la visiera al vetturino in
serpe.
Subito cinque spettri si avvicinano
- 85 -
a
salutarmi allegri come uccelli.
Siam tutti collegiali d'un
collegio
e si ritorna dopo magre ferie. 1895
Il freddo taglia
come lama il volto:
infagottato il vetturin la frusta
schiocca
e si parte senza verbo e mesti.
Si chiama Micu 'e Maja e fa il
procaccia; micu'e Maja
ha gote erbose e sopracciglia folte, 1900
acuto ha l'occhio e brizzolato il crine.
Spoleggia il giorno
tra stazione e casa
sia che piova o che urli la tormenta
e che
candele il freddo appenda ai coppi
oppur che scotti o bruci o sudi
il giorno 1905
o che l'annebbi il polverone al vento,
egli,
grigio fantasma assiso in serpe,
tesse la trama tra la Posta.. e
il treno.
Ma chi gli dà importanza, e chi a lui pensa?
Appartiene
a la strada che percorre 1910
due volte il dì; lo pensano i
cavalli
cui reca fieno e biada e fa il giaciglio,
per questo
spoleggiar che fanno insieme.
Lieta ai Mingiani la corriera
tinnula
e dolce nella luna incontra l'alba 1915
venendo tra gli
ulivi o dietro il poggio.
Pur reca un filo dal lontano mondo
a
questo mio paese solitario:
giorni di gioia e giorni di dolore
-
86 -
che d'uscio in uscio poi l'altro dispensa 1920
posando,
come vuole la fortuna,
a questi un riso e a quello una speranza,
ad altri una manciata di lupino
più che l'assenzio amaro. Il
portalettere!
Chi non rammenta ancor Pietro De Rosi, Portalettere
1925
alto, biondiccio, segaligno, calmo,
camminator famoso? A
novant'anni
da Badolato a piedi a Guardavalle,
come se nulla
fosse, si recava!
O che sbagliasse porta o che affannasse, 1930
e
ben due volte al giorno allor la posta
al popolo si dava, e non
come ora
che più si avanza e meno il popol gode.
Solitario
abituro, alquanto alzato
dalla stradina che conduce al tempio,
1935
chiude la fila delle case e qui
tarchiato e basso col suo
gregge sta
'U Ndrioleddu' sonatore di zampogna.
L'otre
grandioso e le sue corte braccia
contrastano; ma non gli scema il
fiato 1940
allor che quello afferra e gli dà forma.
O le
armonie che trae, o dal grandioso
come svaria a capriccio e nel
leggero
volge l'aria sonora e la sostiene!
Da lungi l'odi
sotto il sole o al vento 1945
che a fasci reca o a fili; ma se
vaga
CHIESA DEL ROSARIO E LA CROCE SBILENCA
- 89
-
dentro gli ulivi nebbia, malinconico
pure il belare degli
agnelli attrista.
Talor si leva come in chiesa un canto
delle
raccoglitrici e la Natura 1950
il cuor ti raspa e l'anima ti
molce.
Tanto può l'armonia che vien dal cuore
spontanea e
vera senza fredda voglia.
Gigante il tempio del Rosario levasi
Chiesa del Rosario:
quale chiusura all'abitato e in alto S.
Domenico 1955
la ventarola al cielo indica il vento.
Consacrato
al Rosario e a chi di Cristo
soldato volle sè seminatore;
questo, però, poi surse che distrutto
l'altro fu a monte. Qui
era la villa 1960
dell'antico convento e qui pur v'era
dispensiera di farmaci agl'infermi
la ben fornita farmacia dei
monaci.
Non roccia a base il tempio, ma la rene
onde sprofonda
per due volte in terra 1965
di quanto fuori levasi nel
cielo.
Sopra vi spoleggiavano due carri
a portar pietra e calce
a sua struttura.
Di suo passato, su quadrata base
erge
sbilenca, alla colonna, croce 1970
limite ai braccialetti e a la
vendetta.
Ad essa Autunno sospendea paniere
per le castagne
saporose e lustre;
- 90 -
perchè la mano vi tendesse
il dono,
e mai fanciullo che attingesse un frutto 1975
pel
gioco in cui avea perso, ma ne dava.
Pietate grande sin da l'alba
in cuore!
Così la Gente mia così chiudeva
l'egra giornata
faticata e stanca,
chè dieci chiese e più d'esso la Fede 1980
onorando la Patria al cielo ergeva.
Altro tempio e convento
ancora resta, Convento degli
sul colle opposto, al Poverello
sacro, Angeli
lassù, a Frappetro, tra fratelli olivi,
maestri
anche essi di umiltà e di vita. 1985
E qui di vita e di umiltà
buon seme
sparsero i monacelli; qui il talento
arricchì con
la Fede e con la scienza.
Or solitario al sol biancheggia
muto
con la sua bella chiesa e al cielo addita 1990
l'aguzzo
campanile a chi ne manca.
Tempo fu pure che il silenzio empiva
i
lunghi corridoi, per cui leggeri
corron fantasmi per gli oscuri
spechi.
Anche di adolescenti ivi la voce 1995
giuliva e chiara
come ciel di marzo
intorno andava ad animar le mura,
austere e
chiuse ad ogni vana cosa.
Curvi sui fogli o fisso al ciel lo
sguardo,
di povertate avvolto, il Santo offriva 2000
- 93
-
esempio chiaro ai giovani scolari.
Quanta luce si sparse
Intorno intorno
da quelle umili mura, e quanta pace
al tempo
che arroganza e povertate
resero il giorno disperato e scuro.
2005
Di scrittura qui fu e conoscenza
ricco giardino
all’intelletto e al cuore,
sì che pel mondo, di Francesco il
seme
come pioggia benefica all'arsura,
e Badolato onore trasse
e vanto. 2010
Chè ricco fu a suo tempo di pensier,
onde fu
Coscia tal giurista eccelso
che di suo Ingegno la memoria
resta;
e il Fiorenza che resse l'Abbazia
con perizia ed onore,
ed altri ancora 2015
che l'ignoranza, nel vorace tempo,
a sua
vergogna ed onta vi sommerse.
Ma un dì, son certo, sorgerà-
qualcuno
a riscoprire tante glorie spente
che furon luce alle
passate età. 2020
Più là, nella convalle, il cimitero
cimitero
(giardino un tempo di lavanda e rose,
per quel
Pasquale Jancu opra amorosa,
che dorme chi sa dove senza
nome)
dove non stanno più tumuli sacri, 2025
nè più croci di
legno a capo d'essi,
- 94 -
che il nome rechi dei
dormiente almeno,
onde all'anima sua reciti l'AVE !
Lo scorgo
ancora tra gli avelli chino
a ripulire, a zappettare intento 2030
le sacre tombe che spiravan pace
Ed eran belle con quel cespi
a lato,
ed era dolce ricordarli in vita!
Oh, la pietà che
allor tutti accoglieva,
poveri e ricchi che laggiù son pari.
2035
Or la superbia di mutar gradino
scatole eresse con dei
marmi sciocchi
dove regina la menzogna impera.
L'acre odore
dei nespolo tu senti.
Il ricco bianco fior dei crisantemo Giorno
dei 2040
macchia dell'erba il verde tenerello Defunti
e vedi
come accesi hanno i lampioni
con fiamma gialla gli aranceti
scuri?
Vedi tu come montano silenti
soffici nebbie da le fondi
valli? 2045
Anche odi nel ciel voci d'uccelli
perdersi lungi e
vedi su passare
in alto in alto, gru che van cercando
favorevole
clima a lor natura.
Autunno incupa nei più brevi giorni, 2050
E
tesse e tesse dentro il basso cielo
la salutare pioggia, e fa
concerto
- 95 -
sui vetri a la finestra,
sottovoce.
Novembre giunge neghittoso e lento
coi giorni sacri
ai Santi ed ai Defunti, 2055
con la pietà degli uomini
distratti
cui ricordano i morti abbandonati,
ed essi in gara
recano candele
e bianchi- crisantemi od altri fiori,
e spesso,
a tranquillarsi, fiori finti. 2060
Così nella penombra
antelucana
sembra un prato di magiche fiammelle;
ma se per caso
tu capiti in mezzo,
allor vedrai la mesta processione
salir la
china e riversarsi al Campo. 2065
Tutte le età convergono in quel
posto
anche se il Caro è morto da cent'anni.
Piange la
vedovella che ha rifatto
-il nuovo letto per novelle
nozze;
silenzioso il vecchierello scerpa, 2070
con delicata
mano, intorno, l'erba,
e sul viso una lacrima gli scende.
La
giovinezza va di tomba in tomba,
leggendo del padron nome e
menzogna,
mentre la ragazzaglia intorno affretta 2075
a far
razzia di moccoli e candele,
ed a mutar di posto anche quei
fiori.
Ma c'è chi, vivo ancor, conserva in cuore
il dolce bene
che ha perduto e piange.
- 96 -
Umile gente, questa;
l'altra, il cero, 2080
per speciale procura accende il servo
su
la tomba che già ei rese grasso,
e a stare in pace con il proprio
orgoglio
all'accattone un po' d'olio dispensa,
lo stesso che
costui a quello ha dato. 2085
Or se lo sguardo levi oltre le
mura,
un grande pino su quel colle scorgi Tempio della
tra
tanti ulivi che gli fan corona. Sanità
Lassù, tu giungerai per
arduo calle,
di rovi e di corbezzoli coperto 2090
finchè su
tanta vetta un piano tocchi.
Lassù tu noterai d'una
chiesetta
antiche mura screpolate e grigie.
Chiesetta
solitaria in cima al colle
tra verde e cielo come orante frate,
2095
a te si volge con fiducia pia
l'umile gente, quando
all'uscio addio
sommessa dice la salute, e il cuore
tremante
piange e fa voto d'amore.
Qui, tra gli ulivi cheti, sale Il Verbo
2100
de l'inquieto viandante senza pace,
e qui depone
l'incalzante angoscia;
infin qui cessa la miseria umana.
Anche
il ricco signor, misero e amaro,
per sua ricchezza non per sè
goduta, 2105
CHIESETTA DELLA MADONNA DELLA SANTTA'
- 99
-
del parente dimentica l'attesa
che farebbe ingrassar la
sua agonia.
Tutto dintorno la natura volge
silenti passi giù,
dai colli, opimi,
inghirlandati di festoni e d'uva, 2110
ed
umilmente a Te suoi frutti dona,
mentre sommessa l'alta scura cima
al mare e al monte la Tua casa dice,
sentinella superba a la
Tua porta,
il vecchio pino con suo gran cappello. 2115
Al cielo
dice ed ai venturi il fiume
di miserie e di pene e di sventure
ai
tuoi piedi sfociato, e come ancora
al cuore nero, luce nuova
dona.
O della Sanità dolce madonna, 2120
cui la miseria umana
ai piedi giace.
Tu, che cancelli da la carne il morbo,
perdona
chi, perfino, mutò giorno
a le onoranze de l'antico voto:
egli
non sa e l'impeto non coglie 2125
della tempesta che sconvolge
dentro
la densa dolorante ora funesta
d'un cuore, grumo fatto
da la notte.
Il cielo addolce la chiesetta e il mare
che da
lontano anche esso a Te sorride. 2130
Di dolcezza Tu avvolgi anche
colui
- 100-
che, distratto, dimentica il
Principio
animatore de le cose tutte.
O dolce volto, che di
amore colmi
l'anima triste, quando a Te si volge 2135
la chiara
infanzia e la sconvolta estate,
umile e prono innanzi a Te depone
un gran serto di rose oggi il Poeta.
Ed ecco finalmente il
campanile, campanile e
testimone di tempi e di vittorie. campanaro
2140
Udite dei suoi bronzi il gran concerto?
Nemmeno Roma la
tonante voce
ha di campane come queste nostre,
nè campanaro,
esperto, nè concerto!
Cenzu 'u cecatu', campanaro nostro,
2145
famoso intorno come le campane
ch'egli intonare sa come
chitarra,
musico esperto da la man possente.
Già sopra i monti
calano le stelle,
non sbiancasi Oriente ancora a mare, 2150
quando egli lascia il misero giaciglio
e alla torre si avvia
come un amante.
Vasto silenzio copre case e strade
il sonno
tutto avvolge e tutto sembra
dentro una grande opaca sfera chiuso.
2155
Cenzu si affaccia alle capaci arcate
E resta preso dal
mistero fondo
della notte stellata e dal silenzio.
101
Ma
poi si volge e le tre funi afferra
con le possenti mani, e le
carezza. 2160
Prima è sommesso pispiglìo di uccelli
al
tempo degli amori; indi, alza il tono
pian piano e poi
nell'armonia s'invola
audace e dritto verso il firmamento,
dove
le stelle ridono languenti 2165
a la brillante Venere dintorno.
Dilaga, quindi, su pei tetti e gli orti,
nel sonno immersi al
mormorar del rio
prima che l'alba l'ampio mare imbianchi,
e la
campagna, su, pei monti e al piano, 2170
schiude le ciglia e in
tanta gioia tace,
mentr'egli come in estasi confida
l'anima
all'onda di quel suo concerto.
A tal concerto Venere si
addorme.
S'alza dal suo giaciglio e s'incammina 2175
a la
vicina chiesa il contadino
che perdere non vuole. la fatica.
Così
si sveglia il paesello al giorno,
nella penombra mattinale, e,
intanto,
Mingiano s'empie d'uomini e di voci 2180
che di
formiche lungo stuolo pare.
Il sole già s'affaccia e tutto sorge
dentro la propria forma abbandonata.
Poi, quando la rotabile
si svuota,
la piccoletta con limpida voce 2185
- 102 -
si
affaccia allegra allegra alla finestra,
a richiamare i ragazzini
a scuola,
e par fanciulla sbarazzina anch'essa.
Così quei
solitario de la torre
passa lassù la vita, e del paese 2190
la
delizia dichiara ed il dolore;
compagno di colombi e di
rondoni,
li segue appena con il guercio sguardo,
e al suono di
lor voce il cuor gli balza..
Quando poi il giorno già cede alla
sera, 2195
dolce la move sì, che il suono inonda
il cuore
delle cose che si asconde
dentro la gran penombra universale,
e
l'anima si innalza al Creatore.
O sempre caro al cuor, dolce
paese, 2200
dove nacquero i miei ed io pur nacqui,
umile e
grato a te offro il mio canto
che dal cuor nasce e a te diritto
vola
a rammentare le antiche glorie,
poi che i viventi l'hanno
oggi distrutto, 2205
il passato sprezzando a lor vantaggio.
Di
te io tutto volli celebrare
dei contadino la fatica e il fato,
e
dei sagace artier l'opra feconda,
e del pensiero la solerte cura.
2210
lo le tue mura scorticate altrove
pure cantai, e, quando
la tempesta
- 103 -
spietata dentro il sonno ci
sorprese,
anche sui fogli di tuo fato scrissi
e del periglio in
te nascosto ancora. 2215
Moriva Estate sovra i primi grappoli
là,
su la piana della Soglia amica, Alluvione
di centenari ulivi
folta, e ricca 1951
di squillanti pernici e di ghiandaie,
quando
dal monte si affacciò grigiastra 2220
una sciarpa di nuvole
silenti,
quasi festa all'Autunno piccolino.
Poi, nella notte,
sommessa sommessa
sui vecchi tetti e su gli antichi ulivi,
ninnò
la pioggerella fina e cheta. 2225
Ma quando il giorno venne, il
cielo, nero
qual di caldaia fondo, all'erta pose
il sottostante
bosco. Intorno intorno
gravò il silenzio e tutto in lui
sommerso
il creato pesò sul cuor temente. 2230
Non era al
campanile ancor suonato
il mezzodì che a mensa chiama,
quando
tuonò la valle, si scoprì la fronte
de l'alta Guardia
e del Ballivo aprico,
per generosi vini anche famoso 2235
a la
Granvalle, crepitò la pioggia
su le dentate foglie al
castagneto.
Vi scrosciò come grandine sonante
- 104 -
su
l'erba secca della bianca estate,
e l'arsa terra a lungo bevve, a
lungo 2240
come cammello che la sabbia attende.
Poi, dissetata,
rigettò pei fianchi
tutto quel bere a valle, e questa ancora
cantando allegra, al suo grigio torrente.
Piovve. Ripiovve. Il
lungo giorno piovve: 2245
e Copino e Graneli ebbero voce
profonda
e cupa nella sporca fuga,
correndo a gara nel robusto Bruda,
nato
dai monti tra boscaglie scure.
Più l'orecchio non colse altro
rumore, 2250
nè distinguere seppe in quel concerto.
Tutto fu
rombo rimbombante in giro.
O come potrò mai quei giorni tristi
e
con quali parole rammentare
il dolor lo spavento, e lo scompiglio?
2255
Il mar da lungi, ( e la memoria duole)
spaventoso
barrito alzò possente.
Spari la terra nella spessa nebbia,
e
nella nebbia la paura crebbe.
Ancor più crebbe quando il vento
quella 2260
a folate rapì: Bruda non rio,
ma orrendo mostro
che, giardini ed orti
già divorati da voraci flutti,
al mar
mugliante tutto seco addusse.
Per quaranta e più dì durò la
pioggia. 2265
-105 -
Improvvisa la gelida sventura
tra
le case piombò e un figlio colse:
Peppi Solesi, contadino
onesto.
Nel sonno 'I colse e lo cacciò negl'inferi,
chè
rovinò la casa e pencolante 2270
ohi, sventura! a una trave si
rinvenne.
Ma, non satollo, il Fato lo inseguì
fin SOTTOSIENA,
dove mani pie
composta avean la salma nella bara;
chè pure
qui la casa rovinò 2275
con gran fracasso a valle e fu prodigio
se almen la salma non segui la casa!
E nemmeno ancor pace,
chè dal monte
franò la vigna, poi un frutteto intero
e,
dietro a questo l'orto del Convento 2280
che tuttoo spazzò via,
tombe e defunti.
Si videro la bare saltar fuori
nella pioggia
e nel vento, giù, nelle acque
del torrente Ziafrinda, ove col
fango
rapido al mare rotolò ogni cosa. 2285
Felice te, lettor,
che non vedesti
a grandi fette ruinar montagne
giù pei
dirupi scorticati e nudi.
Nel buio della notte e poi del
giorno
sotto la fredda pioggia, a tempo a tempo, 2290
come
frutta matura si staccava
una casa, una ruga. E il rombo
intanto
- 106 -
della pioggia e del vento e della
valle
e tutto contro Te, vegliardo e stanco.
E chi un aiuto a
le tue lunghe grida? 2295
Ti pascesti nei secoli di pena
ed
una mano mai si stese amica!
Atterrita e smarrita la tua
gente
tentava a la miseria almen sottrarre
le poche cose : e
chi spingeva innanzi 2300
un porco spaventato e chi una sporta
in
testa con qualcosa necessaria;
i bimbi si attaccavano a le
gonne
per non sperdersi in tanta spersa calca
Strilli di
infanti, desolati pianti, 2305
alte e strazianti invocazioni al
Cielo
insieme a gran bestemmie contro il Fato,
singhiozzi mai
uditi in maschia bocca,
facevano in quel piovere un subbuglio
da
muovere anche al pianto chi non piange. 2310
Le voci
s'incrociavano spezzandosi
tra il rumore dell'acqua e della gente:
fischiava il vento e da la valle il rombo
guerreggiava con
l'acqua dei gradoni.
Surse la nebbia senza far rumore 2315
e
tutto avvolse si che le figure
parvero spettri di sinistro
inferno.
in tanta nebbia un grido della turba
che vince- quel
fragor d'acqua e di voci.
- 107 -
"Viva, Viva la
Madonna" e nella nebbia 2320
avvolta da un velame
sottilissimo
come celeste forma la Madonna
appare su la folla e
tutti piangono
mentre a ponente schiara alquanto il cielo.
Cade
la gente al suolo orante e prona 2325
incurante del vento e della
pioggia
al nemico implorando si perdona,
l'offensore piangente
a lui si stringe.
Ohi, come torna la fiducia in cuore!
Ma
quanto poi durò tanta letizia? 2330
Trionfava l'egoismo e, alla
sventura,
si aggiungeva la spirito di parte
si che ignoravi
se facesse pena
più chi pativa o chi maggior ne dava.
Un
sindaco che certo per ingegno 2335
e per virtù giammai in alto
emerse
si fece forte, a sua vergogna eterna,
non su l'adulto,
ma sul fanciulletto.
Incredibile a dirsi! La sventura,
che
legava il paese ad una corda, 2340
trovò rossi sciacalli a la
bisogna...
Ma resta la vergogna in chi ciò fece;
a noi basta
la pugna che vincemmo
al tempo de la scelta ove fondare
il
futuro paese che a Mingiano 2345
o a Giambartolo alcuno o a
Pietranera
- 108 -
voleva; fui solo io per la
Marina,
il futuro scorgendo de la vita,
poi che due strade
univano a le genti,
rinnovando così la prima sede 2350
dov'ebbe
pace l'esiliata prora.
E' vero che gl'inetti furon sempre
ostili
non per sè, ma pel partito,
lottando contro sè, servi
ignoranti,
negati ad ogni bene e ad ogni idea! 2355
Chè
nemmeno una targa a far saputi
i pronipoti del perchè e del
quando
nel millenovecentocinquantuno.
Ma ritornando alla
primiera riga
diremo dei maestri e della scuola. 2360
Di
famiglia perbene era il casato
dei maestri di scuola, che a quel
tempo
si fermava alla terza elementare;
Maestro l'uno,
sacerdote e dotto,
solo maestro l'altro appassionato 2365
cui
la passione il limite sovente
oltrepassava sì che
l'impotenza
tramutavasi in busse che a gragnuola,
come al
tempo di marzo quando tuona,
su l'inerme scolaro si versava.
2370
Il primo, invece, colto si donava
a lo scolaro con
pazienza e amore,
- 109 -
anche se al tempo suo
"busse e panelli
facesser- si diceva- i figli belli!"
Don
Antonio Cosenza era il suo nome 2375
dalla cui bocca dolce la
parola
era pei fanciulletti anche vivaci;
don Mico Saraco
l'altro e il terzo era
maestro di passaggio forestiero.
A quei
tempi l'infanzia andava scalza, 2380
morta di freddo, abbandonata
e cruda,
come miseria insegna a chi la strada
casa bottega e
scuola arma la tenda.
Maggior maestra, allora, era la
vita!
Ladruncolo, bugiardo, ardimentoso, 2385
alla malizia ed
all'inganno rotto,
duellante, beffardo, arguto e gaio.
Tale
era allor l'infanzia, chè la fame
spingeva i genitori a la
campagna,
dove non scema mai lavoro e pena. 2390
Solo approdo
era la scoletta scialba
senza acqua, senza luce, e senza
gioia,
come il tugurio senza una latrina.
La quale a lo
scolaro era la strada,
come a l'adulto per il suo bisogno.
2395
Allora privilegio era la tazza!
Ma era conforto, chè la
via pulita
veniva ogni mattina dai maiali,
ospiti usuali
dell'umano albergo.
- 110 -
Democrazia tirannica e
bugiarda 2400
oltre che mucca a mungere e affamare!!!
Gli
scolari eran pochi,chè l'inedia
spingeva a la fatica iI
fanciulletto
ad innaffiare, a custodir le bestie,
a raccoglier
le ulive e le castagne; 2405
e le fanciulle a custodir
l'infante,
poi che la mamma trascorreva il giorno
pei campi
lavorando,e la famiglia a
notte spesso si vedeva in volto;
ma
molto spesso il miserando padre 2410
trascorreva in America la
vita!
Pane del giorno, pane di granturco
che era detto
"pizzata" ed una fetta
il ragazzo l'aveva, se un
paniere
pieno di fimo riportava a casa, 2415
che le bestie
lasciavano per strada.
Ma se al fanciullo il vento era di
poppa
trovava in un padrone ogni ristoro.
Dire ancora potrei
del mio paese
molte altre cose e rammentar l'antico 2420
annegato
nel tempo. Ho scritto altrove
pagine di fatica e di dolore
di
contadini, di artigiani e di altri
di cui nemmeno in cimitero il
nome
tu troveresti più, come a lo specchio 2425
non trovi
l'ombra che pur viva fu.
- 111 -
E furor vivi come te
che leggi !
Solo le strade e forse l'aria stessa
sanno che dico
e come quelli il segno
in questa loro terra hanno lasciato, 2430
aggiungendo la propria all'altrui opra.
Ma tu mira le cose:
templi e case;
interroga le strade, i vichi, gli orti,
le
rasole dei colli, onde i vigneti
vanno carole componendo intorno
2435
ai vetusti oliveti ed anche questi
che, saggi centenari,
mandano ombra
come la mandi tu su questa terra.
Quanta miseria
lunga v'è passata
dentro quei ciechi poveri tuguri 2440
dove
la fame non fu mai satolla,
e la fatica ne curvò la schiena,
quasi dannati a ricercare in terra
la sola cosa che gli
appartenesse.
L'ombra sua propria, dico. Mira ancora 2445
i
palazzi che furono famosi
per ingegno e ricchezza e gran valore.
Vi leggerai la storia del paese
che nei secoli mai nessuno ha
scritto.
Ma tu, lettor, perdona. Altri, più accorto, 2450
forse,
ne comporrà di tanta terra
la lunga storia dei Badolatesi,
se
pur nel cuore gli verrà desìo
Così ti lascio, e, se la penna
noia
t'ha procurato, non fu mia la colpa! 2455
L'amor che
l'arde e la presente incuria
mosser la penna ad onorar la
gente
che nei tempi trascorsi pel natio suol
tanto oprò che
ci lasciò suo nome.
Finito di stampare gennaio 1983 ROMA
GRAFICON, via del Gelsomino, 102 per conto dell'EDITORE GABRIELI