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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/03/2007 - Anno: 13 - Numero: 1 - Pagina: 32 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

I LAVORI DI MIA MAMMA

Letture: 966               AUTORE: Giuseppe Trimarchi (Altri articoli dell'autore)        

Ogni tanto, ormai sessantenne, mi passano per la mente i lavori che faceva mia madre, oggi ultranovantenne, quando io ero ragazzino.
All’alba era già “a terra” e cominciava a trafficare intorno al focolare con l’intento di ravvivare le fiamme che, come per incanto, si sviluppavano dalla poca brace lasciata sotto la cenere la sera prima.
Subito dopo, per casa, si spandeva, intenso, l’aroma del caffé che si sprigionava dalla “cicculatera”, che borbottava insistente, da cui fragrante veniva fuori quella bevanda nera, che gli uomini d’inverno preferivano bere corretta con l’anice (altro gradevole profumo che s’insinuava insistente nelle narici).
Consumato il caffé, la mamma subito sul fuoco stesso sistemava, sopra “u tripodi”, la pignatta in cui cominciava a cuocere, “a focu lentu” qualche varietà di legume.
Poi si susseguivano i vari “lavuri i casa”: la pulizia delle stanze, la spazzatura della porzione di “ruga” di pertinenza e infine veniva lavato il pavimento. (Ricordo che “u passa strazzu” non era posseduto da tutte le famiglie e chi ne era sprovvisto lo chiedeva in prestito al vicino di casa).
Questi erano i lavori di ogni giorno, ai quali si aggiungevano quotidianamente la cura dei figli (lavarli, vestirli…), cucinare, apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti…
Oltre ai lavori quotidiani doveva occuparsi dei lavori straordinari, molto spesso faticosi e impegnativi.
Allora quasi ogni famiglia ingrassava almeno un maiale all’anno, per poter disporre nel periodo invernale di una congrua riserva di salumi, insaccati vari… Provvedere al mantenimento di un maiale significava grande fatica. Occorreva due volte al giorno dargli da mangiare: si preparavano gli impasti (“u bivaruni”) di crusca con ciò che rimaneva del pranzo e della cena (“u brodu”). Tutte le famiglie possedevano un vecchio secchio -“u catu”- in cui venivano versati l’acqua della pasta -con la quale prima venivano lavati i piatti (allora non esistevano i detersivi), così ogni rimasuglio andava a finire nel secchio-, torsoli di frutta, pezzi di pane vecchio e quant’altro era commestibile. La famiglia che non possedeva il maiale ugualmente metteva da parte “u brodu”, che poi volentieri dava al vicino di casa o a un qualche parente.
A tutto questo si aggiungeva altra fatica relativa al maiale. Occorreva andare per le campagne a raccogliere le verdure, “l’erbi”, ghiande, castagne e tutto ciò che la natura spontaneamente offriva di commestibile. E il più delle volte questi prodotti venivano trasportati a casa dalla mamma in testa dentro i sacchi di iuta. Inoltre bisognava lavare “a zzimba” e “u scifu”.
Quando veniva macellato il maiale, altro lavoro intenso e faticoso! Preparativi per la macellazione, cura della carne, lavorazione dei capicolli, salsicce, “lardu”, “frittuli e micciunati” erano tutte attività di competenza delle donne.



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