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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/03/2005 - Anno: 11 - Numero: 1 - Pagina: 31 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

AHR!U MALU METITùRI

Letture: 1200               AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)        

La mietitura era una delle più belle e suggestive attività agresti che coinvolgeva un po’ tutti: uomini e donne, bambini giovani ed anziani.
Era una grande festa nel rigoglio dei campi, tra le bionde messi ma anche un duro lavoro dall’alba al tramonto. I mietitori lavoravano affiancati nel campo di grano: falciavano lestamente poche spighe per volta che legavano con uno stelo formando un mannello detto “mbàrzama” che veniva deposto a terra. Le donne che seguivano a breve distanza i mietitori si adopravano a legare tre “mbàrzami” per volta formando “a jèrmata” (un manipolo) e successivamente le “gregne”, ossia dei piccoli covoni che venivano lasciati qua e là nel campo. Erano sempre le donne a comporre i vari “cavagghjùni” che, in un secondo tempo, formavano l’alta bica detta “timògna”.
Nel corso della giornata lavorativa si intonavano spesso suggestivi canti a più voci, tipici della mietitura, mentre le donne passavano di tanto in tanto con la “mbùmbala” per offrire ai mietitori un ristoratore bicchiere di vino. Fra tanto fervore di lavoro vi era anche la pausa per la colazione di mezzogiorno quando, steso un telo bianco all’ombra di un frondoso albero, si consumava una lauta colazione rustica e soprattutto si beveva tanto vino.
Un’altra interruzione era dovuta alla presenza e quindi al festeggiamento della “zzita”, ossia della giovane fidanzata e promessa sposa entro l’anno. In un clima di allegria e di commozione generale, il futuro sposo o i suoi genitori offrivano alla ragazza “u jermitùni” e cioè un grosso fascio di spighe abbellito da fiori di campo, simbolo di abbondanza e di felice vita futura.
Tutti i mietitori erano muniti di un cappellaccio che li riparava dal sole e tutti proteggevano la mano sinistra da ogni probabile insidia infilando in ogni dito un’apposito cannello detto “cannèhr!a”, che peraltro favoriva lo scorrimento del lavoro.
Durante la mietitura, a parte le soste canoniche per i canti, le occasioni in cui i contadini interrompevano la loro attività erano poche e rapide: per sistemare il cappello o i cannelli, per asciugare il sudore, per dissetarsi o per qualsiasi altro bisogno; l’essenziale era essere veloci e non perdere tempo. E siccome il lavoro avveniva in contemporanea, chi rimaneva indietro rispetto agli altri mietitori veniva subito notato e segnato a dito come un cattivo lavoratore.
Recita un antico proverbio: “Ahr!u malu metitùri nci mpàccianu i cannèhr!i”, ossia “Al cattivo mietitore danno fastidio persino le canne protettive”. In effetti anche oggi è così: chi lavora malvolentieri trova ogni pretesto per perdere tempo e persino gli arnesi che dovrebbero facilitargli l’oneroso compito sembra vogliano ostacolarlo. Insomma ogni occasione è buona per interrompere il lavoro se si ha poca voglia di lavorare.


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