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Autore:Anonimo     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2021 - Anno: 27 - Numero: 3 - Pagina: 32 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

ANCHE CARCIOFINI SELVATICI

Letture: 930               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Questo periodico, nato nell’aprile del 1994, è stato ideato e progettato per “partecipare”, quale
cordone ombelicale, a tutti i Badolatesi sparsi per le vie del mondo, i risultati dell’impegno e del lavoro
necessario per realizzare le finalità previste dallo Statuto dell’Associazione culturale“La Radice”
nata nel febbraio del 1991: scavare per ricercare, portare alla luce, recuperare, valorizzare rendendo
fruibile la Storia della Comunità badolatese (oggi allargata) in tutti i suoi aspetti, associativi, politici,
sociali, antropologici, religiosi, artistici, economici, ecc. Tra le numerose rubriche previste per i vari
argomenti in qualche modo fissi del periodico c’era quella dell’Economia, curata, par alcuni numeri,
dall’amico Peppuccio Gallelli. In prosieguo abbiamo scritto di argomenti economici saltuariamente,
quando se n’è avuta occasione e possibilità. Oggi, a ventisette anni dalla nascita di questo strumento
di comunicazione, ricordiamo di avere scritto di olive e di olio, di vino e di cereali, -primo il granoquali
prodotti principali della nostra economia, prevalentemente agricola. Ovviamente abbiamo
scritto anche d’altro, magari non sempre intenzionalmente e in contesti non prettamente economici.
Così nelle pagine del periodico capita di leggere di legumi, di ortaggi, di cotone, di lino, di frutti vari. E anche di seta, prodotta dal baco alimentato
dalle foglie delle centinaia e centinaia piante di gelso,
portate dalla marina nelle case dentro cesti ricolmi
sulla testa delle nostre donne.
Quasi tutti questi prodotti servivano alla
sussistenza della locale Comunità. Una minima parte
veniva barattata in altri paesi con altri prodotti che in
Badolato non venivano prodotti o non a sufficienza.
Le nostre donne andavano nel Crotonese a barattare
fichi con grano che, sebbene da noi non fosse proprio
scarso, non era sufficiente per soddisfare le esigenze
delle circa cinquemila persone di metà secolo
ventesimo. Si andava a Pietracupa con gli asini carichi
di fichidindia, e si ritornava con sacchi di patate.
Pochi erano i prodotti che venivano venduti perché
abbondanti, e consentivano pertanto ai contadini
di mettere in tasca un po’ di denaro. L’olio veniva
venduto a commercianti locali che giravano per le
case dei contadini a prelevarlo, e poi lo rivendevano
a grossisti spedendolo col treno fuori regione. Delle
“speciali” pesche di Badolato che, con numerosi
vagoni ferroviari partivano per la Campania e per la
Sicilia e anche per altre zone d’Italia, abbiamo scritto
in un circostanziato articolo a firma dell’amico Pepè
Parretta, il quale, ancor giovinetto, ne fu acquirente in uno dei cinque scari della marina di Badolato,
realizzato da suo padre. Non poche famiglie, avendo esigenza di monetizzare, vendevano i bozzoli,
piuttosto che farne seta, portandoli in treno a Soverato. Alcune donne, poggiato il grande cesto
ricolmo sulla testa protetta dal cercine, (a curùna), portavano i bozzoli a Soverato percorrendo
a piedi l’antica strada che portava verso Catanzaro prima della costruzione della litoranea ionica
(S.S. 106, oggi E 90) ultimata negli anni Trenta dello scorso secolo.
Solo di recente siamo venuti a conoscenza, casualmente, di un’altra attività commerciale, strana
e modesta in verità, che si praticava nella marina di Badolato, prima dell’alluvione del 1951, e
anche prima del terremoto del 1947e quindi
non conosciamo quando ebbe inizio tale
attività: la raccolta e la vendita dei carciofini
selvatici, con tutte le spine, oggi costosa
squisitezza della nostrana arte culinaria.
Sappiamo, invece, e ci piace parteciparlo
ai nostri lettori, che già nell’Ottocento, e
molto probabilmente già nel Settecento,
nel porticciolo di Badolato attraccavano le
paranze della famiglia badolatese Bressi
(detti Simùni, antenati dello scomparso
farmacista Nino Bressi), per portare a
Badolato stoccafisso, baccalà, aringhe, sale,
zucchero, caffè, spezie varie,… esportando
certamente olio d’oliva e certamente altro.
Tornando ai carciofini selvatici che,
costituiscono l’argomento centrale di questo articolo, abbiamo da sempre saputo che per i Badolatesi
costituivano un cibo “accessorio”, e che non pochi ne facevano ottima conserva, sott’olio, da
consumare regolarmente ai pasti, spesso senz’altro aggiungere, così come quasi usualmente
avveniva per le chiocciole, catturate nei terreni argillosi, alle prime piogge di ottobre, al risveglio
dal letargo, e talvolta conservandole vive nella crusca, costringendole a letargo forzato, per poi
mangiarle all’occorrenza, fuori stagione, al momento del bisogno. E c’era pure chi le portava in
città per venderle al mercato ortofrutticolo quale cibo prelibato. Chiocciole, carciofini, capperi…
sono oggi squisiteze alimentari, caratteristiche di alcune regioni italiane.
Ed ecco, finalmente, lo strano commercio dei carciofini selvatici, di cui scriviamo riportando le
parole di Angelina Spagnolo in Rossi (Mercànta, cl. 1934), partecipateci con notevole entusiasmo
e da noi raccolte con interesse:
“Quando ero bambina, insieme a mia madre, Criniti Teresa detta Vittoruzza, con mia sorella
Vittorianna vedova Carnuccio e altre donne, fornite di vasche di lamiera andavamo nei campi
incolti a ‘tagliare’ carciofini selvatici che vendevamo a un certo don Angelo, che arrivava alla
marina con il treno, forse dalla Sicilia o dal Nord. Era un tipo piuttosto pienotto. I carciofi
partivano poi con un vagone ferroviario. In campagna, per evitare che la vasca si riempisse subito,
pestavamo i carciofini con scarpe che per suola avevano il legno, che ci mandavano i parenti
dall’America. Con noi c’erano anche i figli di Agostino Lombardo, detto Pologruto che era il
cognome della moglie Teresina ’a Petruzzòta, ed era guardiano al Fòndaco di don Mico Caporale.
Forse li compravano per fare liquore. Non ricordo a quante lire al chilo ce li pagavano.”
Per ampliare sempre più l’orizzonte della nostra ricerca, pur apprezzando l’interessante e chiaro
racconto della signora Angelina, abbiamo voluto sentire altre persone, ovviamente non più tanto
giovani. Così abbiamo sentito da Marianna Procopio fu Pietro (Mommu) che i carciofini raccolti
venivano portati in una specie di piccola baracca sotto un grande ulivo sul retro dell’attuale palazzo
Scoppa che oggi ospita tra l’altro la rivendita di Sali e tabacchi di Franco Procopio, al bivio della
S.S. 106 e la strada provinciale per Badolato Superiore.
Ascoltando altre persone anziane abbiamo saputo di altri due raccoglitori, Francesco Criniti
(Cicciu u Mancusànu) e la moglie Vittoria Caminiti. Ma certamente c’erano non poche altre
persone che andavano su e giù per le aride zone di Ponzo, di Malòti, di Càpperi,… per tagliare,
spinandosi le mani, i carciofini da portare allo scalo ferroviario a don Angelo.



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