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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 9 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

APPUNTI SUGLI ABATI DEL MONASTERO VIVARIENSE

Letture: 236               AUTORE: Lorenzo Viscido (Altri articoli dell'autore)        

Stando a quel che scrive Cassiodoro (secc. V-VI) nelle sue Institutiones (I, 32, 11), la congregatio
monachorum del Vivariense, ovvero del cenobio da lui fondato nei pressi della natia Squillace2 dopo, a
quanto pare, il 554 d. C.3, era retta da due abati, i sanctissimi viri Calcedonio e Geronzio, il cui compito
consisteva nel prodigarsi affinché i monaci riuscissero ad ottenere i dona della beatitudo ed ai quali, al
tempo stesso, bisognava obbedire senza alcun mormorio di indignazione, tema, questo, non insolito,
assieme a quello dell’obbedienza, nella letteratura monastica4.
Riguardo a quei sanctissimi viri, Mauro Donnini rileva che “lascia piuttosto perplessi la contemporanea
presenza di due abati per una sola comunità” se si considera che nel capitolo in cui l’uno e l’altro
sono nominati o, meglio, nel suo titolo (Commonitio abbatis congregationisque monachorum5), “figura
il genitivo singolare” di abbas e non il genitivo plurale6.
Escluso che, esortando i monaci a sottostare alla volontà di Calcedonio e Geronzio, Cassiodoro si
rivolgesse pure a quelli che, dopo essere stati “istruiti” dalla “consuetudine” cenobitica, avevano forse
deciso di vivere come anacoreti nei montis Castelli secreta suavia, chiamati anche remota [...] heremi
loca7 – lo escludo perché dal contesto sia del passo delle Institutiones inizialmente qui segnalato, sia
del successivo risulta chiaro che Cassiodoro indirizzava le proprie raccomandazioni soltanto ai fratres
del Vivariense –, per nulla sorprende il fatto che la comunità di questo cenobio avesse due abati. Dalla
vita di Fulgenzio, vescovo di Ruspe, scritta tra il 533 e il 534 da un suo allievo di nome Ferrando, si
apprende che, ritiratosi in un monasterium composto da pauci e simplices fratres, dei quali era abate
un certo Felice, quel presule ricevette da lui il nomen e la potestas di abbas e, così, accollatisi il giogo
gubernandae congregationis, tali viri sanctissimi si divisero i ruoli da svolgere8.
Come apprendiamo, inoltre, dalla Regula Magistri e da quella di San Benedetto, l’abate di un convento
era, sì, uno solo, ma talvolta egli veniva assistito nelle sue mansioni da un secundus o secundarius
abbas, cioè da un coadiutore che a tempo debito sarebbe divenuto il successore dell’altro9.
A questo punto, se da una parte è vero che, pur avendo intitolato Commonitio abbatis [...] il capitolo
anzidetto usando il genitivo singolare di abbas10 al posto del plurale, Cassiodoro, poi, cita i nomi
di due abati, d’altra parte, però, tenuto conto delle mie considerazioni precedentemente esposte, “la
contemporanea presenza” di due superiori in una sola comunità monastica, quella del Vivariense, non
costituisce una novità. Rende comunque stupiti ciò che, a proposito di Geronzio (coadiutore di Calcedonio,
secondo il Cappuyns11), hanno dichiarato Ivan Gobry ed Antonio Caruso, vale a dire che egli era
abate degli anacoreti12. Si tratta di un’asserzione opinabile, che non ritengo possa rispondere a verità.
Ho già sottolineato, infatti, che nel passo dove si parla di Calcedonio e Geronzio (Inst. I, 32, 1), nonché
nel successivo, la commonitio cassiodorea concerneva solo e indubbiamente i cenobiti, compresi i loro
abati. In altre parole, incitando questi ultimi e la congregatio monachorum ad accogliere i pellegrini,
a far l’elemosina, vestire gli ignudi, dar da mangiare agli affamati, non opprimere col peso di ulteriori
tasse (adiectarum pensionum pondere non gravetis) i rustici al servizio del loro monasterium ecc., Cassiodoro
si rivolgeva inequivocabilmente a tutti quei fratres che dimoravano dentro la cinta del cenobio
(Omnes, quos saepta monasterii concludunt), da non identificare nei remota [...] loca di mons Castellum,
dove, invece, avrebbero potuto risiedere gli anacoreti13.
Si osservi, ancora, che alcuni degli ammonimenti poc’anzi ricordati erano stati fatti dall’ex ministro
di Teodorico in Inst. I, 29, 1 sempre ai monaci di quel cenobio (Invitat siquidem vos locus Vivariensis
monasterii ad multa peregrinis et egentibus praeparanda14), i cui superiori, come risulta – ripeto – da
Inst. I, 32, 1, erano Calcedonio e Geronzio. Ne consegue che, diversamente da quanto con un gratuito
parere scrivono il Gobry ed il Caruso, Geronzio non poteva essere abate degli anacoreti, né poteva esserlo
Calcedonio.
Ma, in fin dei conti, permettendomi di porre ai lettori un quesito già posto da James O’Donnell,
“did” l’eremo di mons Castellum “need an abbot”15? Lo studioso americano non ha risposto a tale
domanda, ma io credo fermamente di no. Scontato, infatti, che i consigli di Cassiodoro ai suoi fratres
di vivere, qualora ne avessero sentito la necessità, come eremiti nei recessi di mons Castellum sono
pur sempre dei consigli, ragion per cui non sappiamo se poi quei monaci vi praticassero l’anacoresi16,
è interessante dire che, in base alla testimonianza di Giovanni Cassiano (secc. IV-V), presbyter molto
apprezzato dal Nostro17, resi forti, prima, dall’esperienza di vita cenobitica e volendo successivamente
agire in solitudine e piena libertà nella propria ascesi, gli eremiti non desideravano abbatis cura atque
imperio gubernari18.
Aggiungo che, come si legge nel capitolo primo della Regola di San Benedetto, coevo di Cassiodoro,
mentre i cenobiti milit(abant)19 sotto la guida di un abbas, gli anacoreti, al contrario, essendo stati
preparati in un cenobio, ancor prima di divenire tali, ad eludere le insidie del demonio, erano capaci di
lottare contra vitia carnis vel cogitationum in maniera autonoma20.
Va infine osservato qualcos’altro. Visto che nel suo proposito di raggiungere la perfezione interiore,
un anacoreta principiante nutriva il desiderio, talvolta, di essere spiritualmente guidato, nel monachesimo
orientale, da un ἀββᾶς21, cioè da un vecchio eremita così denominato per venerabile età o vita esemplare22,
poteva avvenire che anche nel monachesimo occidentale, incluso quello dell’epoca cassiodorea,
un neofita in campo anacoretico si comportasse allo stesso modo. In Occidente, però, seppur coniato
sul calco del greco ἀββᾶς, il termine abbas era un titolo concesso non a qualsiasi frate per venerabile
età, ma, sebbene, come in Oriente, anche per vita esemplare o, appropriandomi di un’espressione di
San Benedetto, vitae [...] merito et sapientiae doctrina23, a chi, fra tanti monaci, era ritenuto degno di
reggere una congregazione cenobitica da cui egli veniva eletto e dalla quale, pertanto, riceveva incombenze
che un anacoreta, invece, appartato dal consorzio umano e dedito in solitudine alla preghiera e
alla contemplazione, non avrebbe potuto adempiere. È facile capire, allora, che il sostantivo abbas fu
creato nel monachesimo occidentale con esclusivo riferimento al mondo cenobitico e che, dunque, per
quanto riguarda Cassiodoro, se dopo un periodo di tempo trascorso nel Vivariense, alcuni suoi monaci
avessero voluto ritirarsi sui remota [...] loca di Montecastello, qui essi non avrebbero avuto un abate.
Lorenzo Viscido

NOTE
1. Ed. R.A.B. Mynors, Oxford 1937, p. 79.
2. Erroneamente alcuni lo chiamano Vivarium che, essendo però un toponimo (coniato in epoca
moderna), sta ad indicare il locus del monasterium e non il monasterium che lo Squillacese vi
fondò. Cfr. in merito L. Viscido, Ricerche sulle fondazioni monastiche di Cassiodoro e sulle sue
Institutiones, Catanzaro 2011, pp. 39-42.
3. Cfr., ad es., J.J. O’Donnell, Cassiodorus, Berkeley – Los Angeles – London 1979, p. 190; A. Amici,
Cassiodoro a Costantinopoli. Da magister officiorum a religiosus vir, in Vetera Christianorum 42,
2 (2005), pp. 221-222.
4. Cfr. S. Pricoco, La Regola di San Benedetto e le Regole dei Padri, Milano 20112, pp. 289, 323-324.
5. Cassiod., Inst. I, 32, 1, ed. cit., p. 79.
6. M. Donnini (a cura di), Cassiodoro. Le Istituzioni, Roma 2001, p. 121, nota 1.
7. Cassiod., Inst. I, 29, 3, ed. cit., p. 74: [...] si vos in monasterio Vivariensi [...] coenobiorum
consuetudo competenter erudiat et aliquid sublimius defecatos animos optare contingat, habetis
montis Castelli secreta suavia, ubi velut anachoritae [...] feliciter esse possitis. Sunt enim remota
[...] heremi loca [...].
8. Ferrand., Vita Fulgentii 5, ed. G.G. Lapeyre, Paris 1929, p. 131.
9. Cfr. P. Courcelle, Nouvelles recherches sur le monastère de Cassiodore, in Actes du Ve Congrès
international d’archéologie chrétienne, Aix-en-Provence 13-19 sept. 1954, Città del Vaticano -
Paris1957, p. 523 e nota 49.
10. Abbatis è lezione tramandata da quasi tutti i manoscritti. Solo il Vat. Pal. Lat. 274 (XI sec.) conserva
un’altra lezione, ovvero ad abbatem.

11. Cfr. M. Cappuyns, L’auteur de la Regula Magistri: Cassiodore, in Recherches de théologie ancienne et médiévale 15 (1948)pp. 214-215
12. I. Gobry, Cassiodoro monaco e santo, in www.cassiodoro.eu/cassiod.4.htm.
13. Ved. nota 7.
14. Ed. cit., p. 73.
15. Cit., p. 200
16. Ved. nota 7. Grazie, tuttavia, a due lettere di papa Gregorio Magno, scritte nel 598 e, quindi, tanto
tempo dopo i suggerimenti cassiodorei, siamo certi che i monaci a Montecastello conducevano in
quell’anno vita cenobitica. Cfr. a tale riguardo L. Viscido, cit., pp. 49-51.
17. Cfr. Inst. I, 29, 2, ed. cit., p. 74.
18. Cfr. Cassian., Conl. XVIII, 7, 4, ed. M. Petschenig, Vindobonae 1886 (= CSEL 13), p. 514.
19. Sulla metafora del monaco quale miles (= miles Christi) cfr. S. Pricoco, Alcune considerazioni sul
linguaggio monastico, in Cassiodorus. Rivista di studi sulla tarda antichità 5 (1999), p. 182.
20. Ed. R. Hanslik, Vindobonae 1960 (= CSEL 75), p. 17.
21. Cfr., ad es., Pallad., Hist. Laus. 22, 6 e 11, ed. G.J.M. Bartelink, Milano 1974, pp. 122 , 124 e 126.
22. Cfr. J. De Puniet, Abbé, in Dictionnaire de Spiritualité I, Paris 1937, pp. 49-57; J. Dupont, Le nom
d’abbé chez les solitaires d’Égypte, in La vie spirituelle 75 (1947), pp. 216-230.
23. B.R. 63, 1, ed. cit., p. 148.


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