Data: 31/12/2006 - Anno: 12 - Numero: 4 - Pagina: 6 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
Letture: 1149
AUTORE: Ulderico Nisticò (Altri articoli dell'autore)
Subito dopo l’unificazione del 1861 ci si accorse che, in tutta Italia, troppe località avevano nomi uguali o simili o facilmente confondibili. Il governo stesso suggerì di individuare denominazioni identitarie. Quasi tutti i Comuni si contentarono di aggiungersi qualche epiteto; altri lasciarono campo alla fantasia; in altri trionfarono le più ardite e strambe teorie. Diamo qui, con schematica brevità e qualche commento, notizia di quanto accadde in Calabria, a cominciare dal Regio Decreto del 26 marzo 1863, che dava riconoscimento alle proposte dei Consigli comunali interessati. I più si giovarono della geografia. Ed ecco i “Calabra o Calabro” Aiello, Bagnara, Belmonte, Corigliano, Monteleone, Monterosso, Pizzo, Soriano; Cerchiara preferì “di Calabria”; Fiumefreddo si disse Bruzio. Ma Monteleone Calabro nel 1928 tornò il romano Vibo Valentia. Cassano, Gioiosa, Isca, Montebello, Roccella, Rossano, S. Andrea, S. Caterina, S. Ilario, S. Vito fecero ricorso alla posizione sullo Ionio (o sul Ionio, secondo le diverse fonetiche). Falconara, Macchia, S. Caterina, S. Giorgio, Spezzano si dissero “Albanese”, e S. Benedetto si aggiunse Ullano. Rota preferì il più filologico Greca. Ma Porcile, a buon diritto, rifiutò il fetido nome, e si ribattezzò Eianina. Casino, come no, si chiamò Castelsilano. Con altri accenni alla geografia, ecco Belvedere Marittimo, Caraffa di Catanzaro e Caraffa del Bianco, Francavilla Angitola, Isola Capo Rizzuto, Roseto Capo Spulico, S. Agata del Bianco e S. Agata d’Esaro, S. Cristina d’Aspromonte, S. Eufemia d’Aspromonte, S. Ferdinando di Rosarno (oggi nuovamente solo S. Ferdinando), S. Giovanni di Gerace, S. Lorenzo del Vallo, S. Mauro Marchesato, S. Pietro a Maida, S. Pietro d’Amantea, S. Pietro Magisano, S. Stefano d’Aspromonte, Serra d’Aiello, Terranova di Sibari. Non erano tempi di troppo rispetto per la religione, se mai il contrario: ma fecero appello ai santi Serra S. Bruno, Sorbo S. Basile, S. Pietro Apostolo, S. Pier Fedele, S. Pietro di Caridà. Al contrario, S. Elia preferì il laico e scontato Vallefiorita. Dalle fusioni tra centri vicini presero nome, in tempi diversi, Belvedere Spinello, Simeri Crichi, Soveria Mannelli; infine, da Nicastro, Sambiase e S. Eufemia Lamezia, fecero Lamezia Terme. Molti ricorsero alle storie, con minore o maggiore ragione ad attribuirsi antichità e glorie: Bruzzano (allora scrivevano Brussano) si ricordò del promontorio Zeffirio; Gioia, di Taureana, e si disse Tauro; Guardia che si chiamava da sempre dei Lombardi, preferì, con maggiore esattezza Piemontese; Laureana si appellò di Borello da una città medioevale; Roggiano si ricordò del suo Gian Vincenzo Gravina; S. Gregorio si disse erede di Ipponion, e d’Ippona; S. Mango ebbe memoria dei feudatari d’Aquino; Torre, del conte Ruggero. Alcune identificazioni furono fantasiose, o decisamente arbitrarie. S. Giorgio volle essere la sede del mitico re Morgete, divenuto però Morgeto; Castelvetere, con furia sospetta, rinunciò all’antico nome glorioso a Lepanto, e si arrogò Caulonia che invece è Monasterace Marina; Montalto pretese l’enotria Uffugum; Oppido, Mamertum; S. Marco, Argentanum; Policastro, Petelia. Un’altra S. Nicola si ricordò di una ellenica Crissa. Fu per le stesse ragioni di classicismo che Cotrone tornò Crotone; Monteleone, nel ’28, venne ribattezzata Vibo Valentia con la t (ma la superstite opposizione antifascista propose Ipponio!); e Gerace Inferiore, Locri: così Gerace Superiore tornò semplicemente Gerace. Chi non lo sa, crede falsamente che quelle città si chiamassero così ininterrottamente dall’antichità. Per misteriose vie, Pietramala si attribuì la cauloniese Clete, facendone però il maschile Cleto. Solo in Calabria può “parere brutto” un nome come Pietramala, che altrove si terrebbero caro, non fosse altro che per spaventare i malintenzionati! Castelfranco preferì Castrolibero; un Feroleto si disse Antico, un altro della Chiesa; Roccaforte, si aggiunse del Greco; S. Maria, del Cedro; un S. Nicola aggiunse Arcella; quello di gente albanese, dell’Alto; Torano, Castello. L’antica Terranova aspromontana, già sede di duca e ora piccolo borgo, si diede il lungo nome di Terranova Sappo Minulio. I cittadini di Chiaravalle, sempre burocratici e non particolarmente dotati di fantasia, si contentarono del freddo epiteto di Centrale! Resta da dire che non era una novità assoluta, che in Calabria mutassero i toponimi. Castelmonardo, distrutta dal sisma del 1783, risorse come Filadelfia; paesi nuovi furono Delianuova, Cittanova, Polistena; e quando Radicena e Iatrinoli si unirono, sorse Taurianova; Ragonà e Cassari fecero Nardodipace. In tempi più antichi, Castriota divenne Cicala; Prunari, Fabrizia; Pietracupa si chiama oggi Elce della Vecchia. Del resto, l’intera nostra terra fu detta Enotria, infine Bruttiorum (“dei Bruzi”), e Calabria la chiamarono i Bizantini per ragioni ufficiali. Potenza dei nomi: quando uno cambia nell’uso legale, presto se lo dimenticano tutti. Solo qualche tradizionalista accanito ancora si vanta “io sono di Monteleone”, per distinguersi da gente nova. Infine non scordiamo che sono ufficiali tutti i nomi dei paesi, in forma italiana. Per dirne una sola, Montauro è abbastanza diverso da “Mantraru”, che è assai più vicino al bizantino “Mentravrion”. Insomma, e soprattutto in Calabria, non sempre i nomi sono conseguenza delle cose. |