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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/04/2015 - Anno: 21 - Numero: 1 - Pagina: 5 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

CULTURA E RELIGIONI*

Letture: 146               AUTORE: Gerardo Pagano (Altri articoli dell'autore)        

CULTURA E RELIGIONI*
(Prima parte)
(Ci scusiamo con l’amico professor Gerardo Pagano, autore del pregevole scritto che segue, e con i lettori tutti se siamo costretti a pubblicare l’articolo -causa la tirannia dello spazio- in due diversi numeri del periodico.)
La cultura religiosa è un momento importante della cultura, intesa come consapevolezza del nostro vissuto quotidiano, fondata nella nostra storia. Mi riferisco, innanzitutto, ai dati della cultura religiosa, come si è andata evolvendo e sedimentando nel pensiero occidentale dall’antica mitologia fino al razionalismo teologico del nostro tempo. Il rilievo del progressivo impoverimento di questa cultura, non solo connesso alla secolarizzazione, rinvia al diffuso analfabetismo culturale che, purtroppo, è uno degli aspetti della crisi italiana.
La necessità di riprendere i temi della cultura religiosa e dei comportamenti ad essa conseguenti mi pare che si sia imposta nelle riflessioni e nei dibattiti seguiti alla strage di Parigi che per tre giorni, ai principi di gennaio, ha determinato il massacro di 17 persone tra giornalisti, poliziotti e semplici passanti: si è trattato di fanatismo islamico, cioè di un misfatto per eliminare gli infedeli o di una spropositata reazione alle vignette satiriche sulla religione islamica pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo?
1. Raffaele La Capria si domanda sul Corriere della Sera: “può l’offesa fatta a Maometto riportare indietro di secoli tutto il mondo nato dopo la Rivoluzione francese? E i rapporti umani e i comportamenti pubblici al Medio Evo, la ferocia all’età di Tamerlano e di Gengis Khan, la comunicazione all’esposizione televisiva di teste tagliate, donne lapidate, bambini
obbligati all’assassinio o a diventare cariche esplosive? Non è troppo per delle vignette?” Eppure, se smettiamo di pubblicarle, veniamo meno ai sacrosanti principi fondati sulla libertà di espressione e sulla democrazia. La religione contro la libertà? La democrazia nemica della religione? A queste domande, a queste sollecitazioni dobbiamo rispondere se vogliamo evitare il rischio della superficialità insito nelle condanne semplicistiche e affrettate o nelle prese di distanza, vagamente assolutorie, da un crimine lontano, che non ci tocca.
La cultura, se la intendiamo nella pienezza del suo significato, è consapevolezza di un problema, capacità di analizzarlo penetrandone i diversi aspetti, presa di posizione a fronte delle questioni che interpellano la nostra coscienza. Le vittime di Parigi, come già quelle di New York, ma anche le esecuzioni operate dai terroristi nel Medio Oriente come in Africa, ci costringono a domandarci perché, per quali oscure pulsioni, intere popolazioni si distruggono in eccidi sanguinosi e brutali. “Tantum religio potuit suadere malorum” (A tanti mali poté spingere la religione). È questa l’amara riflessione di Lucrezio a proposito del sacrificio di Ifigenia, voluto dal padre Agamennone per propiziare la partenza delle navi greche dall’Aulide. Il razionalismo epicureo, d’altra parte, aveva già indotto il poeta latino ad affermare: “Seguitemi e capirete molte cose, ma se volete davvero capire non dovete aver paura degli Dei. Il mondo non è stato creato dagli Dei, né essi lo “influenzano in alcun modo; gli Dei non si curano di noi. Perciò non credete a chi vi spaventa con le punizioni divine e andate avanti a indagare, capire, conoscere”. Già, dunque, nella cultura classica era stata rilevata la connessione tra credenza religiosa e delitti spesso abominevoli.
2. Ma sono passati secoli, il Cristianesimo ha spazzato via qualsiasi credenza antropomorfica, fondando il sentimento religioso sul comandamento divino dell’Ama Dio sopra ogni altra cosa e il prossimo tuo come te stesso. I Padri della Chiesa, e tra questi soprattutto Sant’Agostino, utilizzarono gli apparati concettuali e le elaborazioni filosofiche del mondo greco per rendere comprensibili le verità contenute implicitamente ed esplicitamente nel messaggio cristiano. Questa contaminazione culturale è continuata nel Medioevo con la scoperta delle opere di Aristotele, portate in Occidente, a Parigi in particolare, da filosofi aristotelici arabi. Tommaso d’Aquino utilizza Aristotele per ricercare i fondamenti razionali del Cristianesimo e indica i limiti entro i quali la filosofia può e deve operare prima di lasciare il campo alla teologia, come tentativo di elaborazione razionale della fede. I diversi approcci, quello agostiniano di tendenza platonica, e quello tomista di influenza aristotelica, produssero divergenze e tensioni nel mondo cristiano, che si limitarono al piano dottrinale, fino a quando non vennero utilizzati per scontri di potere all’interno della Chiesa: anche la Riforma Protestante può essere compresa secondo questa linea interpretativa. La Controriforma, o Riforma cattolica, come la chiamano alcuni storici, fu l’occasione per definire sul piano dottrinale, e su quello liturgico e disciplinare, l’impianto complessivo del Cattolicesimo. (Fondamentale fu il contributo del calabrese Card. Sirleto a questa riforma sancita dal Concilio di Trento). La pace di Augusta del 1555 pose fine alle trentennali guerre di religione in Germania. La pace sancì il diritto dei principi a scegliere secondo coscienza la confessione religiosa, con l’obbligo per i loro sudditi di adottare la stessa religione (cuius regio, eius religio «di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione»): pertanto i sudditi cattolici di principi protestanti e viceversa, se non volevano abiurare la loro fede, dovevano lasciare il dominio del principe nella cui scelta religiosa non si riconoscevano. Altra disposizione rilevante fu quella relativa all’affermazione che il mancato accordo o il manifestarsi di dissensi nel regolamento delle questioni non dovessero costituire un pretesto per turbare la pace. Il reservatum ecclesiasticum, allegato, infine, al testo della pace su richiesta di
Ferdinando d’Asburgo, sanciva che i prìncipi ecclesiastici che nel futuro fossero passati al protestantesimo dovevano rinunciare ai loro feudi imperiali. Ma intanto l’intolleranza nei confronti di piccole diversità, subito bollate come eretiche o scismatiche, sfociava in condanne al rogo o era causa di barbarie e carneficine da una parte e dall’altra. L’Illuminismo segna una cesura netta e apre la strada al principio di tolleranza come fondamento della libertà. La cultura illuministica influenza anche il mondo cattolico, che ritrova in essa alcuni principi originari del Cristianesimo. La lenta elaborazione del tema dei rapporti tra fede e potere porterà nel Novecento il Papato a riportare la Chiesa allo spirito cristiano della distinzione tra Dio e Cesare e alla separazione definitiva dal potere politico. E nel confronto con la cultura del mondo contemporaneo il Concilio Vaticano II, cinquant’anni fa, rielaborò le linee del Concilio di Trento per ricercare un’apertura di comprensione dei cambiamenti sociali e culturali che si annunciavano attraverso le prime manifestazioni della contestazione giovanile. Ma anche sui rapporti tra le diverse chiese cristiane la Chiesa Cattolica riprende e rilancia l’ecumenismo per porre le condizioni di un percorso di riappacificazione, fino a ricercare le basi per il dialogo interreligioso aperto a tutte le religioni.
3. Invece, per questo aspetto, nel mondo di oggi, l’Islam può sembrare qualcosa di esotico o di estremamente remoto. Probabilmente perché in occidente, nella vita di ogni giorno, la religione non è un elemento dominante, mentre nel cuore di ogni Musulmano la religione è al primo posto, e non vi sono barriere tra il mondo secolare e quello sacro. È questo l’aspetto caratteristico dell’Islam: il vero credente è soggetto alla Legge nella quotidianità della sua condotta, tutto il comportamento del musulmano (sia nel foro interno che nel foro esterno) deve essere regolato da quella via diretta stabilita da Dio e conosciuta dall’uomo attraverso forme dirette o indirette di rivelazione. La differenza tra Bibbia e Corano sta in questo: il Corano è stato scritto da Dio e rivelato esattamente dall’Arcangelo Gabriele a Maometto. Quindi non si tratta di testi ispirati e ciò che conta sopra tutto non è l’esempio di un Profeta e di chi ne porta oggi l’eredità, come accade nel Cristianesimo che considera Gesù, la Parola di Dio, bensì la Parola di Dio nell’Islam è il Corano stesso e Maometto il Suo Messaggero. La Bibbia, invece, è ispirata da Dio ai Profeti e agli evangelisti e, come testo scritto dagli uomini, va interpretato e la Chiesa, secondo i cattolici, ha il compito, appunto, di interpretare il testo sacro. Tant’è che si parla nel mondo cattolico di mediazione culturale, come operazione di collegamento tra il testo sacro e gli strumenti di lettura che ovviamente si evolvono e si modificano nel tempo. Dice un esperto di questioni coraniche a proposito delle differenze tra Bibbia e Corano: “Ci sono una marea di altre differenze e comunanze, una importantissima che ribadisco è che il Corano è una legge per i musulmani, mentre, almeno per i cattolici, la Bibbia è un Testo Sacro, ma la Chiesa può aggiornare le leggi.”
Da qui la conseguenza che tutta l’elaborazione culturale del Cristianesimo, potremmo dire dalle sue origini fino ai giorni nostri e per le epoche che verranno, non è immaginabile per l’Islam: addirittura la lingua nella quale Maometto trascrisse il messaggio ricevuto da Allah per mezzo dell’Arcangelo Gabriele, è l’unica lingua in cui il Corano può essere citato e utilizzato come testo delle preghiere. Non ci può, dunque, essere, quella mediazione culturale di cui parlavo e, soprattutto, non è ad oggi immaginabile la separazione tra politica e religione, che per la Chiesa cattolica è stata l’approdo di un processo che ha, tuttavia, il suo punto di partenza e il suo aggancio nel testo evangelico. Si deve parlare allora di fondamentalismo islamico come urgenza, avvertita dai musulmani, di ritornare alle loro radici culturali, di rileggere i loro testi, ristudiare il messaggio del Corano, ripensarlo secondo lo spirito originario: esso diviene una dottrina che non coinvolge soltanto la vita spirituale e morale degli individui, bensì è Religione e
Stato. Non mancano riferimenti a valori da noi certamente condivisibili. Ho trovato in un testo di divulgazione della religione musulmana queste espressioni: “Essi credono che la Legge Divina, la Shari’a, debba essere osservata scrupolosamente, il che spiega perché le istanze connesse con la religione siano così importanti. Alla luce dei testi islamici, l’atto di incitare al terrore nei cuori dei civili senza difese, la distruzione completa di edifici e proprietà, il bombardamento e lo storpiare uomini innocenti, donne e bambini sono atti proibiti e detestabili secondo l’Islam e i musulmani. I musulmani seguono una religione di pace, misericordia e perdono e la maggior parte non ha nulla a che vedere con i violenti eventi che sono associati ai musulmani. Se un musulmano commette un atto di terrorismo, questa persona sarà colpevole di violare le leggi dell’Islam”. E la strage delle Torri Gemelle? E l’eccidio di Parigi? E gli orribili fatti di sangue di questi giorni? La risposta va ricercata in quell’intreccio tra religione e Stato, che ha fatto parlare a qualche studioso come Ian Mcewan di totalitarismo. “Dal Pakistan all’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, dall’Indonesia alla Turchia e all’Egitto, l’Islam sta vivendo in questa fase una propria versione di totalitarismo. In Pakistan i politici usano le leggi contro la blasfemia come armi letali. In Egitto un insegnante è stato in carcere per tre anni per aver parlato a lezione di altre fedi religiose. In Arabia Saudita, sede dei più venerati santuari dell’Islam, l’apostasia comporta la pena capitale. Il più recente, brutale atto di repressione saudita contro la libertà di parola – la condanna a mille frustate e a 10 anni di prigione – mostra lo spregio delle autorità per l’Islam come religione di pace”. La religione che si fa Stato insegue il potere e fa la guerra per conseguirlo: è una guerra prevalentemente interna. Le guerre del Golfo sono state scatenate dall’invasione iraqena del Kwait, come la guerra in Afganistan è nata dalla presa del potere da parte dei Talebani. Il mondo islamico conta più di un quinto della popolazione mondiale, ha un potenziale militare fra i maggiori del mondo, pesa per circa il 9% della finanza mondiale ed ha in pugno la maggior parte delle risorse petrolifere. Ma, essendo frammentato in una trentina di stati, pesa pochissimo nella scena internazionale: non ha un solo membro permanente del Consiglio di Sicurezza o nel G8, conta pochissimo nelle istituzioni finanziarie come nelle alleanze militari ed anche nel G20, ha una presenza del tutto marginale. Le diverse leadership nazionali hanno collezionato una serie di brucianti sconfitte dal 1948 in poi (si pensi alle ripetute sconfitte degli arabi nelle guerre con Israele, alle batoste inflitte dall’India al Pakistan e da ultimo alle invasioni dell’Afghanistan, alla secessione del Sud Sudan, alla dissoluzione dello stato somalo), inoltre hanno fallito tutti i disegni di riunificazione (dall’operazione repubblica araba unita ai tentativi di dare qualche concreto potere alla Lega Islamica o alla Lega panaraba). Eppure il mondo islamico è coinvolto nell’80% dei conflitti armati attualmente in corso ed ha sviluppato un forte antagonismo nei confronti degli altri paesi espressione di diversi modelli di civiltà. Infine, soprattutto nel mondo arabo, c’è una diffusa consapevolezza di stare attraversando una stagione straordinaria grazie alle risorse petrolifere, ma che questo momento magico non durerà ancora a lungo e quando il petrolio sarà esaurito, il mondo islamico avrà perso la sua grande occasione, se non si sarà costituito prima in grande potenza mondiale. Le èlite nazionali, tanto in versione repubblicana quanto monarchica, hanno perso prestigio e consensi in questi anni: ciascuna di esse, rinchiusa nel proprio recinto di potere, non è credibile come elemento federatore e di qui discende la riscoperta del Califfato (concetto eminentemente teologico e non etnico e tantomeno nazionale) come parola d’ordine mobilitante funzionale alla costruzione della “grande potenza islamica”.
Gerardo Pagano
* Riprendo i temi di una conferenza tenuta il 6 febbraio 2015 all’Università della Terza Età a Soverato.


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