Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 44 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Abbiamo più volte parlato e anche scritto di gente arrivata a Badolato, soprattutto da altri paesi della nostra stessa regione, e poi qui rimasta per periodi più o meno lunghi o per sempre, e ne sono prova -se ce ne fosse bisogno- alcuni soprannomi e cognomi: Bufungìsi, Isolitànu, Monastaraciòtu, Montaurìsi, Sansostàru, Squillacioti, Tropeano,…Una riflessione che vale anche a proposito di ospitalità e di accoglienza del popolo badolatese, e della gente del Sud in genere. Tra i tanti, non abbiamo mai scritto di una persona arrivata a Badolato alla fine del 1953: è il signore che vediamo in fotografia, (Foto Archivio rag. Tonino Paparo) regalataci tempo fa dall’amico ragioniere Tonino Paparo, e che noi qui riproduciamo per stimolare la memoria di numerosi anziani e per consegnarla ai tantissimi giovani. Ne scriviamo perché don Roberto -così veniva indicato ed apostrofato- era un personaggio “speciale”, noto a tutti in quel tempo a Badolato, e rispettato e stimato per il portamento, l’equilibrio, la cultura e il rapporto estremamente corretto con il popolo. Presumo che il non mai abbastanza compianto professore Antonio Fiorenza lo avrebbe compreso tra le Figure a Badolato (Ediz “La Radice”, 2013) se la vita gli avesse dato il tempo di continuare il suo libro. Don Roberto era nato a Foligno il 2 agosto del 1887, da Don Nestore e da Donna Volumnia Valentina. Ecco come scrive di lui il professore Antonio Gesualdo nella propria Autobiografia (Biblioteca Gesualdiana, giugno MMXVII): Mi piaceva da giovinetto andare e domesticarmi / con il Barone Don Roberto Gironda Veraldi di Foligno / Poliglotta, rovesciato nel buio della miseria travolgente, / ma della vita sentì sempre e affermò / con orgoglio la dignità e l’intima bontà, / e aveva vigore di sollevarsi sopra i suoi patèmi / d’animo, e contemplarli e affisarli, / con un solco di dolore e di nobiltà / che portava imprèsso in fronte. E ancora: …egli fu uomo colto di straordinaria qualità, eccellente e perfetto conoscitore e parlatore delle lingue francese, tedesca, inglese, spagnuola; e che fu perseguitato da un gerarca fascista per la sua critica alle “leggi razziali del 1938, per il suo parteggiare politico per gl’ideali umanitari e più propriamente socialistici: e pensò di suo, accogliendo e ripetendo financo le idee degli uòmini coi quali allora si legò d’amicizia. Don Roberto, quindi, era un barone caduto in miseria: a Badolato era detto barone decaduto, da altri scaduto. I due cognomi, Gironda e Veraldi, appartengono a due nobili famiglie imparentate, prima separate, poi fuse e poi nuovamente separate. Da ricerche effettuate risulta che la nobiltà dei Gironda risale al Medioevo Il padre di Don Roberto era di Foligno, ma la madre -ci viene detto- era di Petilia Policastro. Ancora oggi esistono vistose tracce (palazzi e toponimi) delle due famiglie ad Amaroni, a Vallefiorita, a Squillace, a Catanzaro. Sull’arco del portone interno del palazzo Gironda Veraldi di Taverna è inciso il motto dei Gironda: NORMANDAE GENTES GENTEM GENUERE GERONDAM. Mi piace qui riportare un ricordo personale. Quando nell’estate del 1957 mi sono recato a Foligno per frequentare la Scuola Allievi Ufficiali di Artiglieria, Don Roberto, venuto a conoscenza, volle consegnarmi una lettera per un suo cugino residente in quella città, perché io potessi conoscerlo e conversare con lui di problemi culturali non proprio usuali. Il “barone decaduto”, uscito dal carcere dove è rimasto non sappiamo per quanti anni, e neanche per quale motivo (si parlava di omicidio, di errore, di duello,…), costretto in miseria, ha alloggiato per un certo periodo nei locali (senza letto) della Federazione Provinciale del Partito Comunista a Catanzaro. Poi -ci viene raccontato da chi ha avuto occasione di sentirlo spesso e a lungo- ha chiesto ospitalità a famiglia borghese di Guardavalle, con esito negativo. Stesso esito anche la richiesta a famiglia nobile di Santa Caterina. Quindi a Badolato, dove ottenne dal barone Gallelli di abitare nel casino, allora non ancora diruto, di Giambàrtolo. E da lì, residenza piuttosto scomoda perché lontana dal centro abitato, passò ad abitare in una “oscura camera”, sempre del suddetto barone, in Vico Gallelli. Infine andò a vivere in un’altra squallida cameretta in Scesa Castello. Per un breve periodo, all’inizio, pare, è stato ospite del contadino Giuseppe Parretta, nei pressi del rione Sangiànni, in qualità di professore (di appoggio) del giovanissimo Cosimo parretta già avviato agli studi a Catanzaro. Don Roberto, nella sua permanenza quasi decennale a Badolato, ha vissuto dignitosamente. Mettendo a frutto l’ottima conoscenza delle lingue straniere, dava lezioni private, anche di rinforzo, a giovani che frequentavano le scuole, medie e superiori, a Catanzaro, ricevendone in cambio rispetto, gratitudine ed anche qualcosa di materiale. Tra i tanti che hanno fruito della sua preparazione e disponibilità, abbiamo sentito i nomi di Francesco Andreacchio, Felice Carnuccio, Franco Criniti, Lucia Gallelli, Totò Gallelli, Vittorio Gallelli, Carlo Nocita, Cosimo Parretta, Ennio Rocca, Pasquale Rudi, Pepé Rudi, Nicola Vitale. Ci risulta, comunque che abbia dato lezioni di lingue straniere anche ad adulti, di Badolato e di Soverato: persone che ne sentivano il bisogno per esigenze professionali Di due giovani, in particolare, si vuole fare i nomi qui alla fine, perché del nobile Don Roberto sono stati discepoli affezionati, accompagnatori quasi inseparabili, attenti ascoltatori ed anche interlocutori nelle lunghe e intelligenti conversazioni nelle non rare passeggiate lungo il Corso Umberto I, e nella strada che porta verso Giambàrtolo: Antonio Gesualdo e Tonino Paparo, due giovani, allora, che hanno assorbito quanto di meglio era possibile da un “barone decaduto”, rimasto nobile sino alla fine dei suoi giorni. Ai due cari amici il sentito ringraziamento per avermi dato gli stimoli e le notizie che mi hanno consentito di scrivere questa pagina di storia, culturale e umana, della nostra Comunità. Don Roberto si sentì male nei primi giorni di giugno del 1963, e fu accompagnato d’urgenza a Catanzaro dal giovine Cecé Battaglia (u Colonnèllu) con una Fiat 1100. Non vi fece ritorno: morì in ospedale il 14 giugno.
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