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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2002 - Anno: 8 - Numero: 4 - Pagina: 29 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

ESPERIENZE

Letture: 987               AUTORE: Antonella Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Non stupisce più nessuno che a 19 anni i giovani badolatesi vadano via da Badolato per continuare gli studi. C’è chi decide di rimanere vicino casa scegliendo un’università calabrese, ma la grande maggioranza decide di scappare dalla “piccola” realtà di paese per vivere in una grande città.
È quello che ho fatto io scegliendo Roma per i miei studi, affacciandomi su un mondo aperto alle esigenze di una giovane donna; lasciando un mondo così tanto stretto per trovare mille porte aperte, per avere un futuro migliore.
Ho abbandonato quel rapporto conflittuale che tutti i giovani hanno con Badolato, con quegli amati-odiati pomeriggi a passeggiare mille volte avanti e indietro sul lungomare, e ho imparato, in cinque anni di lontananza da casa, ad apprezzare il rumore del mare, l’ odore della terra bagnata di pioggia, il sapore delle frutta genuina. Ho imparato ad amare le cose che, ormai, non avevo più, ma ho continuato a sentirmi una delle privilegiate che poteva finalmente prendere solo le cose belle di un piccolo paese , ignorando la limitata realtà degli inverni calabresi.
Ho scelto, per vivere, una città abbastanza meridionale, che non rifacesse mancare il clima della mia infanzia e che fosse relativamente vicina a casa.
Ho scelto, però, la facoltà di lingue per conoscere culture diverse ed ampliare ancora di più quegli spazi che tanto mi stavano stretti.
È arrivato perciò un momento in cui mi si richiedeva di conoscere perfettamente una lingua straniera, e un soggiorno a Londra mi era necessario.
“C’è sempre un buon motivo per andare a Londra, ma non è mai quello d’imparare l’ inglese.” Queste le prime parole che mi ha detto una ragazza siciliana appena arrivata nella grande città britannica. Quanto vera si sarebbe rivelata questa frase!
Ho scoperto ben presto che essere da sola in un posto dove la gente non capisce la tua lingua rappresenta una difficoltà non indifferente. E scoprii anche che non ero la sola ad affrontare tali problemi, visto e considerato che a Londra è più facile incontrare stranieri che non londinesi!
Ho deciso di lavorare per sfruttare al meglio i due mesi previsti per il mio soggiorno. Non ero certo lì per arricchirmi o per trovare fortuna spinta dalla miseria come in passato lo furono i nostri padri e nonni, ma dovevo fare uno sforzo ogni giorno per ricordare che stavo lavorando per divertimento, che sopportavo il clima rigido per imparare una lingua non mia, che la mia condizione era quella di una privilegiata che può permettersi un’ esperienza così intensa all’estero. Eppure mi sentivo un’emigrata. Sentivo la lontananza da casa così come non l’avevo mai sentita. Provavo affetto per tutti gli italiani incontrati per strada; mi sentivo piccola piccola quando non sapevo come spiegare al grossista che stavo cercando la panna da cucina.
Ho affrontato ogni difficoltà con umiltà e tenacia. Ho giurato a me stessa che avrei portato a termine il mio viaggio nel migliore dei modi.
Ora posso tirare le somme. Ho notevolmente migliorato il mio inglese, ma ho scoperto che non era la cosa più importante.
Ho avuto modo di riflettere su una e mille culture diverse. Ho conosciuto persone che si trovavano lì per cercare un mondo migliore; ne ho viste altre alla ricerca di se stesse; altre ancora stavano cercando il motivo per cui, nonostante tutto, rimangono lì.
Io, dal mio canto, ho capito tutto ciò che mi è stato sempre raccontato. Ho capito come si devono essere sentiti, tanti anni fa, un mio zio in Australia, mio nonno in Germania, mio padre a Roma. Ho capito quanto può mancare la propria terra quando, lontani da casa, non si ha alcun punto di riferimento.
Sono felice di aver fatto questo viaggio, di essermi messa alla prova, di aver incontrato delle persone fantastiche e di aver visitato una grande capitale europea. Ma sono ancora più felice di essere tornata con qualcosa in più da poter raccontare, un giorno, ai miei figli che spero avere, e di aver imparato quanto può far male, a volte, essere lontani dalla propria terra.


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