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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/09/2007 - Anno: 13 - Numero: 3 - Pagina: 6 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

GORI CELIA, PAROLE ED ALTRO DEL DIALETTO DI GASPERINA

Letture: 1109               AUTORE: Antonio Barbuto (Altri articoli dell'autore)        

GORI CELIA, PAROLE ED ALTRO DEL DIALETTO DI GASPERINA
(Qualecultura Jaka Book, 2001)
MARIO CASABURI, PER UNA STORIA DELLA CALABRIA
CONTEMPORANEA DA MELISSA A LOCRI
(Rubbettino, 2006)
Sono felice di interrompere le attenzioni riservate, nella mia rubrichetta, ai nostri (calabresi)
autori del passato per rivolgerle questa volta a due autori viventi che si distinguono dal bailamme
delle chiacchiere “occorrenti a’ tempi nostri” (di scrittori, poeti, filosofi, storici, archeologi, tuttologi
etc.) per rigore scientifico e assoluta mancanza di autoreferenzialità e autoesaltazione (chi legge
le “gazzette” municipali si sazia di cotanto vizio).
Ed è un puro caso che i due autori siano miei amici. Il primo, Gori Celia, mio compagno di banco
in terza liceo, non appartiene alla uccelliera dei letterati; il secondo, Mario Casaburi, professore di
liceo, conosciuto agli inizi degli anni Settanta in occasione dei “corsi abilitanti” a Catanzaro, dove
settimanalmente facevo lezione di Letteratura italiana e lui emergeva, tra gli abilitandi, per preparazione
e serietà. Da allora non ci siamo persi di vista grazie alle cose che è andato pubblicando sul
versante storico (di qualche anno fa è il volume sul Cardinale Ruffo, importante per la novità dell’interpretazione).
Ma rispettiamo la cronologia.
Gori Celia, ai tempi, oltre che compagno di banco era un ottimo portiere che contro di me, centravanti,
nelle partitelle nel cortile dei Salesiani, s’impegnava particolarmente a non farmi segnare e,
ancora, era fratello di Enzo, studente di Lettere brillantissimo e poi insegnante morto giovanissimo,
di cui Gori riporta quattro versi in exergo -nel volume di cui si discorrerà- (Un giorno/se mai approderò
a qualche riva/io avrò la nostalgia di quel paese/come se l’avessi ormai perduto).
Il libro si intitola Parole ed altro del dialetto di Gasperina, Qualecultura Jaka Book, 2001.
Devo dire subito che il libro me lo diede, brevi manu, qualche anno dopo a Badolato, in occasione
d’un incontro su Gerard Rohlfs organizzato da “La Radice”, con un biglietto d’accompagnamento
conservato gelosamente col libro. Quel “giudizio di natura letteraria sulla scrittura in genere
ed in particolare delle frequenti evocazioni suscitate dalle parole” che ci teneva ad avere “anche se
solo in privato” non oso emetterlo oggi, vista la mia incompetenza specifica. Ma dopo tanto tempo
mi induco a scriverne brevemente e pubblicamente perché, pur avendolo consultato tante volte nel
corso degli anni, solo ora l’ho letto riga per riga, parola per parola spinto dalla lettura del bellissimo
libro di G. L. Beccaria, Tra le pieghe delle parole, Einaudi, 2007, dove il volume di Gori è citato per
ben quattro volte. L’occasione, per così dire “libresca”, è valsa per rimettermi in contatto almeno
telefonico e ora sciolgo il voto, con immenso piacere, anche se non con adeguata dottrina.
Quello che mi ha favorevolmente impressionato nel libro di Gori è il fatto che Parole, pur concepito
come vocabolario -infatti è strutturato come un dizionario- oltre a dare il significato italiano
delle parole e quindi assolvere alla sua funzione specifica vocabolaristica, rievoca storicamente e
semanticamente le evocazioni suscitate dalle parole, cioè Gori rintraccia la storia minima d’un paese
attraverso il ricordo-racconto delle sue tradizioni religiose, storiche, urbanistiche, politiche, sociali.
Quelle tradizioni rappresentate dall’altro, da quell’insieme di eventi, di fatti che caratterizzano e
esprimono soprattutto le classi subalterne nella loro storia quotidiana e non illustre, di quelle figure
memorabili ricordate dalla memoria collettiva e assunte talvolta a livelli di mito.
Di questo è una prova il fatto che Gori ha arricchito il suo “vocabolario” con due “appendici”
in cui raccoglie “poesie canzoni nenie varie” e “proverbi”che sono, come ognuno sa, il sostrato lin-
guistico e storico immobile e documentale d’una civiltà contadina, di artigiani coll’immancabile
“signore” con casa padronale.
Sono moltissime le voci che rimandano agli usi e costumi della vita pratica e quotidiana di
Gasperina nelle sue varie specificità di arti e mestieri, dei luoghi canonici di raccolta collettiva
(la piazza, la chiesa, il mercato), delle abitudini pervicaci, dei personaggi “tipici” e perciò
leggendari.
Dalle annotazioni accurate e partecipi di Gori viene fuori una trama di varia ricchezza e perspicuità
antropologica e la vita del paese si disegna naturalmente in un quadro che sembra essersi fatto
da sé, grazie al racconto memoriale e storico insieme sapientemente redatto con leggerezza di stile.
“È un libro nato per caso” mi scriveva nel biglietto citato, ma in verità è stato costruito, dopo una
“sedimentazione ed accumulazione di alcuni decenni” su schede, appunti, annotazioni scritte “inchiavate”
nella memoria vigile e appassionata. Un libro che è un vocabolario dialettale, ma al tempo stesso
una ricerca antropologica “sul campo” che restituisce alla luce dell’intelligenza e del cuore episodi,
vicende e figure storicamente determinate per il tramite della scrittura.
Se il libro di Gori è dopotutto un intervento sul corpo vivo della storia d’un borgo sotto la specie
della lingua (nella fattispecie: dialetto), il volume di Mario Casaburi lo è sulla storia tout court
della Calabria contemporanea.
All’inizio della breve introduzione, Mario con una citazione rende omaggio al suo riconosciuto
maestro Augusto Placanica per specificare subito il senso e il significato proprio di una ricerca di tal
genere e perciò ci sembra doveroso riportarla, a beneficio soprattutto di quei lettori che non hanno
letto né il volume di Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri (1993), né quello
di Mario Casaburi, Per una storia della Calabria contemporanea da Melissa a Locri (2006).
Scriveva Placanica: Dare conto della Calabria di questi anni, di questi giorni nostri, espone a
pericoli -di approssimazione, di deformazione, di ingiustificata generalizzazione, magari anche di
incomprensione- che bisogna affrontare, senza con ciò essere sicuri di poterli superare, e tanto meno
di averli superati. È il rischio dell’ipercontemporaneità in storiografia.
Avvertimento metodologico che Mario Casaburi tiene presente lungo tutto il suo racconto lucido
e coerente attraverso la riproposizione e interpretazione d’un corpus di materiali documentali e
dei vari e importanti contributi critici di storici, politici e persino delle cronache giornalistiche coeve.
Scegliendo come terminus a quo i fatti di Melissa (del 30 ottobre 1949), Casaburi immediatamente
li indica, senza perifrasi, come “fondato e convincente spartiacque tra una Calabria misera,
arretrata e storicamente immobile ed una, quella di oggi, economicamente e socialmente più evoluta
e più progredita ma con numerosi e gravi problemi”.
Allo studioso le lotte per l’occupazione delle terre e i drammatici fatti di Melissa appaiono la
“causa e inizio nella regione di notevoli e profondi mutamenti economici, sociali e politici” e segnano
“l’inizio di una rapida trasformazione, soprattutto sociale e, in misura minore, economica di una
terra per secoli immobile e ferma nelle sue strutture e nelle sue caratteristiche”.
Lo storico sceglie come terminus ad quem la coraggiosa lettera di scuse, pubblicata sul Corriere
della Sera” del 31 agosto 2005, dell’attuale presidente della Giunta regionale di Calabria, Agazio
Loiero, ai turisti e ai calabresi per l’inquinamento del mare e per il pessimo stato delle vie di comunicazione.
Tra questi due limiti temporali, nella scansione di 6 capitoli di immediata e indovinata evidenza,
Casaburi svolge il suo racconto attento e equilibrato, non senza talvolta indizi di nobile passione
civile, appoggiandosi -com’è doveroso e indispensabile- a una ricchissima messe di documenti:
rapporti di Commissioni parlamentari d’inchiesta sull’economia delle province calabresi, studi specifici
e settoriali di ambienti, relazioni di Procuratori Generali, rapporti Svimez, studi storici d’alto
livello e spessore scientifico, atti di Convegni delle Camere di Commercio della Calabria etc.
Questi accenni dimostrano l’impegno profuso dallo studioso a condurre una ricerca che non ha
nessun vizio retorico, naturale in noi calabresi, e che, invece, riesce a essere un “manuale” di grande
utilità storica e civile da far studiare nelle nostre scuole, a beneficio soprattutto di tanti giovani
che ignorano totalmente la storia della loro regione . Ma ahimè non solo per loro.
Io, per parte mia, ringrazio i due carissimi amici e mi congratulo con loro per la lezione di rigore
e di scientificità che ci hanno dato.


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