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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2021 - Anno: 27 - Numero: 3 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

I DUE FRATELLI

Letture: 1092               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Non era ancora miseria, ma quasi, quella nella quale vivevano Cosimo e Venanzio, due
giovanissimi contadini del piccolo medievale paese in collina. Il padre aveva arrossato con il suo
sangue il fiume sacro d’Italia, il Piave. La madre era stata falciata non molto tempo dopo dalla
spagnola, la peste che ha mietuto milioni di persone nel mondo. Nel piccolo paese, in particolare,
c’erano giorni in cui se ne andavano al Creatore sino a sei o sette persone, ed era un lugubre
spettacolo la processione di bare che venivano portate al cimitero sulle spalle di amici e parenti
grondanti sudore lungo la ripida petta1 degli Angeli.
L’economia, quasi esclusivamente agricola, languiva come non mai, perché alle braccia
venute meno a causa della guerra si aggiungevano quelle più numerose ingoiate dalla nefasta
pandemia. Cosimo e Venanzio si trovarono quindi a vivere con i nonni paterni, non più giovani,
non in piena salute, non provvisti a sufficienza del necessario per consentire a quattro persone di
vivere dignitosamente. Si videro pertanto costretti a rimboccarsi le maniche; ma, senza campi per
lavorare e produrre, senza lavoro per terzi, senza guida e riferimenti, si ritrovarono sbandati, e per
sopravvivere, loro e gli anziani nonni, cominciarono a far ricorso ad espedienti di vario genere, non
sempre alla luce del sole, non sempre leciti.
Le rare giornate di lavoro con la pesante zappa, nei campi altrui, procurava loro, se non moneta,
che non era proprio di moda in quei tempi e in quel contesto, almeno dei fagioli, dei ceci, e del
grano con cui la malferma nonna panificava di tanto in tanto. Anche la carne si procuravano
saltuariamente i due attivi giovani: con pesanti trappole di pietra, che collocavano con maestria
in angoli di campi che avevano imparato a conoscere, catturavano grossi topi che costituivano il
prelibato cibo soprattutto per Natale, per Pasqua e in occasione di altre feste comandate. Di tanto
in tanto, poi, portavano a casa una gallina prelevata in qualche pollaio non ben custodito. Con la
furtiva caccia portavano ai nonni qualche beccaccia migrante, dei tordi, delle tortore e persino
qualche lepre. Quando ne avvertivano il bisogno si portavano nelle colline del Preappennino per
catturare, con ferree trappole, qualche incauta volpe. Autodidatti nello strimpellare la chitarra
battente, di notte giravano per le vie del paese per portare le serenate ad amici del loro stampo o
canzoni strambottariche2 sotto i balconi di famiglie non degne del loro rispetto. Conducendo un
tale stile di vita nel giro di un paio di anni erano diventati assidui frequentatori della camera di
sicurezza dei Reali Carabinieri, uscendone però, a fronte alta, perché c’era sempre l’amico che,
per amor di colleganza, o per paura di ritorsione, forniva l’alibi, ovviamente falso, che li metteva
in libertà.
La gente del luogo, la maggioranza del paese, cominciava ormai a non più sopportare le angherie
dei due giovanotti, e li appartava, e li trattava tutt’altro che con la benevolenza e il rispetto che loro
pretendevano. Ormai manifestamente invisi alla popolazione, senza genitori e con il solo rapporto
parentale dei vecchi nonni vicini alla fine, convinti di finire quanto prima in galera, decisero un
bel giorno di cambiare paese e di andare a vivere dove nessuno li conosceva, e, a saperci fare,
era possibile e persino facile diventare danarosi e uomini di mondo. Pensarono all’Argentina,
contattando qualcuno dei tanti paesani emigrati che li ricevesse all’arrivo e li aiutasse nella ricerca
di un qualsiasi lavoro, per cominciare una vita diversa da quella ristretta del loro paesello. La debole
riluttanza del minore dei due che soffriva all’idea di doversi allontanare dalla bella Chicchina alla
quale voleva un grande bene, purtroppo aspramente contrastato dai suoi genitori perché il giovine
era senza arta né parta3 e anche un poco di buono, venne facilmente superata dal fratello maggiore
con la promessa che sarebbero tornati in paese dopo pochi anni, ricchi e rispettabili da chiunque. Si
recarono da mastr’Andrea, sarto-barbiere, ma anche Agente di una Compagnia di navigazione, per
avviare la pratica di emigrazione. Quando questi parlò di un certificato detto dei “carichi pendenti”, decisero di architettare un tranello per fare fuori il mafioso, prima che lui avesse la possibilità di fare
fuori loro. Al secondo invito, pertanto, dissero “sì”, e fissarono gi estremi dell’operazione. Stabilendo
l’appuntamento ad un’ora notturna di un certo giorno in un luogo appartato e normalmente poco
frequentato perché ritenuto socialmente degradato. All’appuntamento si presentò il piccolo dei due,
mentre il maggiore s’era acquattato in un angolo buio, non visto, a poca distanza dal luogo fissato.
Quando nell’oscurità apparve la sagoma della persona attesa e il minatore allungò il braccio per
porgere il convenuto pacchetto che era pieno di… carta di giornale, uno sparo, uno solo, e il mafioso
cadde pesantemente per terra, per non rialzarsi mai più. Seguirono ore di trepidazione e di paura,
ma per poco tempo. Trascorso qualche giorno dall’accaduto, si presentò dai due un tale che, in un
linguaggio tra l’americano e il siciliano, chiese loro di cosa avrebbero avuto bisogno, perché c’era
chi intendeva ringraziarli per il coraggioso gesto di cui erano stati capaci. Si resero immediatamente
conto che quel tale non era un poliziotto, ma un emissario della “Famiglia” avversaria a quella
dell’ucciso. Senza indugio, dopo breve consulto tra loro, chiesero al misterioso visitatore la
documentazione necessaria per poter tornare in Italia senza rischio alcuno. Dopo qualche giorno i
due fratelli erano su un cargo che faceva rotta per l’Italia: a bordo due soli passeggeri forniti della
documentazione necessaria rilasciata dalle competenti Autorità statunitensi.
Arrivati al paese d’origine, furono accolti dai loro paesani con non tanto celata diffidenza, di
cui loro, però, si curarono poco.
Era prossimo il Carnevale, e i due fratelli si prepararono, come la maggior parte delle persone,
al divertimento in maschera con le solite visite a casa di parenti ed amici. Domenica pomeriggio,
vestite da donne e con le maschere ben fissate sulla faccia da sembrare incollate, e con una chitarra
battente a tracolla, fecero un lungo giro per le vie del paese, con brevi soste per la strimpellata nei
luoghi di maggiore frequenza. A un certo punto, i due s’incamminarono verso la casa di Chicchina,
con il preciso intento di recare offesa all’uomo che alcuni anni prima aveva superbamente negato
la mano della figlia al giovine che era senza arta né parta, ma che ora tornava dall’America
benestante e coraggioso, stimato e da rispettare. Bussarono alla porta, che fu subito aperta, ed
entrarono suonando e canticchiando con voce camuffata da far sembrare femminile. In casa le tre
donne, mamma Filomena, Chicchina e la sorella Concetta, c’era pure il capo famiglia, massàru
Peppi, che con noncurante disinvoltura si portò subito nell’altra stanza. Le due maschere femminili
afferrarono al volo Concetta e Chicchina e le spinsero al centro della stanza per ballare. Ultimato
il brevissimo ballo, le due maschere s’avviarono alla porta per guadagnare la strada, ma il padrone
di casa, che nel frattempo era tornato nella stanza d’ingresso, intimò ai due mascherati di togliersi
la maschera per farsi conoscere, come nel paese era usanza da sempre. Non piacque l’idea ai
due, che tentarono di scappare, ma l’uomo di casa strappò fulmineamente con la sinistra le loro
maschere, e con la destra estrasse di tasca la pistola: con due soli colpi stese sul pavimento i due
fratelli Americani.
Il processo per duplice omicidio volontario, fu quasi immediato e piuttosto veloce, senza intoppi
di sorte. Altrettanto immediata e chiara fu la sentenza nei confronti di massàru Peppi: Assoluzione
perché delitto d’onore.

NOTE
1 - Strada in salita piuttosto ripida
2 - Con strambotti maldicenti e offensivi
3 - Senza alcun mestiere né alcun bene


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