Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
IL CROCEFISSO E IL GRÙPPO DELLA MADONNA DEGLI ANGELI |
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AUTORE: Antonio Gesualdo (Altri articoli dell'autore)
IL CROCEFISSO E IL GRÙPPO DELLA MADONNA DEGLI ANGELI NELLA CHIESA DEL CONVENTO DEI FRATI MINORI OSSERVANTI RIFORMATI DI BADOLATO DIVINI E INSIGNI CAPOLAVORI SEICENTESCHI DI FRA DIEGO DA CARÈRI ATTIVO NEL 1644 IN NAPOLI NELLA CHIESA DI S. MARIA DEGLI ANGELI ALLE CROCI E NEL 1654 A RÓMA NELLA CHIESA DI S. FRANCESCO A RIPA
Per la volontà divina, nel borgo di Carèri, dalla schiva Elisabetta e dal Conte Giulio Giurati, di una ìnclita prosàpia di Aragona, giunta dall’Andalusia nella Contèa di Modica, dipòi insediatasi nella Signoria dei Baroni Fedele della Bagnara, al levarsi del sole nasce Giovanni Leonardo, che si suol chiamare Fra Diego da Carèri (10 aprile 1606-1661), dopo il suo noviziato nel Convento di Santa Maria de Jesu di Bovalino, sorto ai primòrdi del Cinquecento, per voto di Tommaso Merula, con licenza del Papa Giulio II (1503-1513), di cui si discorre nella Vita Pompeji Columnae, di Paolo Giovio (1483-1552), giunto a Róma con cospicua dottrina attinta nei maggiòri centri intellettuali d’Italia, e con un beato spirito epicurèo. Nel 1627, Padre Lorenzo, Custode Provinciale, con ìmpeto di animo acceso dal fàscino dell’arte, manda Fra Diego da Carèri a un luogo emblemàtico dei nodi, delle evoluziòni e dei dògmi del sistema iconogràfico della Controriforma in Calabria, lo Studio di scultùra, dove vengono, dai più diversi paési, religiosi di talento e artisti a servigio di prìncipi e di nobiluomini, del Convento dei Francescani Minori Conventuali di Catanzaro, dedicato alla Santissima Trinità, fondato dal Beato Pietro (+ 1264), concesso a Fra Paolo, Provinciale di Calabria, dal Vescovo Fortunato, nell’aprile 1252, e lo conferma Alessandro VII Fabio Chigi, eletto il 7 aprile 1655, uomo pròbo, su cui esorto di leggere la Vita di Papa Alessandro VII, di Niccolò Pallavicini, Gesuita genovese, che stampa anche in Róma in tre tòmi in folio nel 1687 la Difesa del Pontificato Romano e della Chiesa Cattolica, con Bolla del 28 dicembre 1256, diretta al Guardiano, riprodotta da Domenico Taccone Gallucci, Regesti dei Sommi Pontefici alle Chiese di Calabria (1902), e nel Regesto Vaticano per la Calabria dal Padre Francesco Russo, n. 938. Chiesto nei Comizî provinciali dal Vicario Padre Paolo da Nicotera, che ne orna la Chiesa di una Cappella dei Misteri, con scultùre eseguite dal Padre Giovanni da Reggio, l’importante Cenobio catanzarese, dove muore il Padre Bernardino da Feroleto, teologo e predicatore, vissuto nella casa di Santa Maria di Monserrato di Vallelonga, è restaurato dall’ingegnere Padre Bernardo da Catanzaro, colto predicatore, esercitatissimo in fabbricar conventi e in restaurarne, come quelli di Badolato, Gerace, Monteleone, e di Nicastro che la tradizione assegna al 1223, e nel 1226 quivi è Guardiano S. Angelo da Castrovillari, uno dei Sette Màrtiri di Ceuta. Per la Cappella del Santissimo Crocefisso nella Chiesa di Santa Teresa di Catanzaro, Fra Diego da Carèri scolpisce il grùppo a tutto tondo della Madonna della Salute, adornata di una veste finemente cesellata, con decoraziòni damascate assai ricche di colòri: sicuramènte, essa resta una delle più alte trasfigurazioni della divinità, e una sìntesi della bellézza e della féde. Nella Chiesa di San Sebastiano del Convento dei Minori Conventuali di Reggio, fondato nel 1220 dal Beato Pietro da S. Andrea, forse con Breve di Onorio III, ma l’Abate Angelo Spagnolio ne rapporta la fondaziòne al 1221, Fra Diego da Carèri esegue un Crocefisso, che rivela una corsività prodigiòsa. Nella Chiesa dei Cappuccini in Monteleone, che ha l’Immacolata Concezione di Francesco De Rosa detto Pacecco (Napoli 1607-1656), òpera devozionale in cui è ravvisàbile l’influsso di Charles Mellin (Nancy 1600-Róma 1649), conosciuto nell’ambiente artistico napoletano col suo ciclo cassinese del 1636-1637, Fra Diego da Carèri intaglia l’Altare maggiòre e può ammirare il grùppo marmòreo della Madonna delle Grazie, di Antonello Gagini la cui custòdia semplice e rinascimentale, nella Cappella del Santissimo Sacramento nel Duomo di Palermo, viene sostituita nel 1653 dall’Arcivescovo Martino de Leon, con una magnifica custòdia di lapislàzzuli. Lo studioso Francesco Negri Arnoldi rileva, nel 1983, l’importanza dell’arte gaginesca, influenzata dalle òpere di Benedetto da Maiano nella Cappella Correale in Terranova, nella formaziòne giovanile di Pietro Bernini (1562-1629), del quale sono da ricordare i marmi della Cappella Montalto, annèssa alla Chiesa napoletana di Santa Maria del Popolo agl’Incurabili, frùtto di collaborazione tra varî scultòri, com’è messo in luce da alcuni documenti èditi da Giovan Battista D’Addosio e da Edoardo Nappi. Il Convento dei Minori Conventuali Riformati di Gerace, fondato nel 1264 dal Beato Pietro e da Fra Giacomo da Carèri, aperto dal Provinciale Padre Paolo, illustrato dal Padre Bonaventura da Gerace, versatissimo nelle scienze filosòfiche e teologiche e nelle Sacre Scritture, Lettore di Filosofia nella Cattedra di Aracoeli di Róma, gode di mezzi necessàrî mercé la concessiòne della Sacra Real Maestà di Carlo II, Re delle Due Sicilie e ùltimo Asburgo d’Ispagna, e la larga professiòne di offerte dei feudatàrî locali, i Caracciolo (1345-1446), i D’Aragona (1470-1497), Consalvo di Cordova (1502-1530), i Grimaldi (1582-fine 1700), e in esso Fra Diego da Carèri è spinto dal bisogno insaziato di Dio a realizzare un Crocefisso, immàgine dell’assoluto senza il relativo, del simbolo senza rappresentaziòne, e che attira il nostro amore piuttosto che la nostra adorazione. L’abbandono, la tristèzza del Cristo fanno di questa òpera, che si agguaglia al Crocefisso del fiorentino Cimabue (1240?-1302?), una rappresentazione della vera sofferènza divina, ch’è una sìntesi artistica espressionista, creata dal dolòre e dalla tensione moràle che la impregnano. Dante rende onòrevole testimonianza, nel Canto secondo del Purgatorio, con questi versi: Credette Cimabue nella pittura/tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,/sì che la fama di colui oscura. Nella storia della pittura, il nome di Giotto (nato nel 1267) è come circondato da un alòne màgico. Nel Convento dei Frati Minori Osservanti Riformati di Badolato, fondato nel 1603, con Breve di Clemente VIII (+ marzo 1603), soggiorna Fra Diego da Carèri, il quale nel 1636, in quel silente luogo in cui l’aria, il sole, gli alberi, gli uccelli, le acque correnti, hanno la freschèzza e la purèzza dei primi giorni del mondo, attende a creàre un Ecce Homo ligneo, ardente di patetismo, e a far vibrare il dolòre, con forza drammàtica, con particolare sensibilità d’interpretazione plàstica, in un Crocefisso (alto metri 1,60), intagliato a tutto tondo e dipinto al naturàle, ridipinto con ferite accentuate sul corpo del Cristo da Fra Giovanni di Reggio, e collocato a ornamento della Cappella di sinistra della Navata della Chiesa. Nelle gallerie del Chiostro, luogo delle effusioni mìstiche, l’uomo cerca di identificarsi al Cristo sofferènte, e ogni arcàta segue così una tappa sul cammino che conduce al Calvario, al cadàvere di Dio sospeso alla Croce. Di notte, nel Chiostro, portando una Croce, il Domenicano Heinrich Suso va da un pilàstro all’altro recitando la Passione del Cristo. I Benedettini dell’età romànica scolpiscono i tìmpani delle loro Abbaziali in funziòne di Gesù che ritorna dall’ùltimo giorno, per giudicare i vivènti e i morti. Con il Crocefisso del Monastero di Saint-Matthieu (1220), noi abbiamo una tendenza decorativa che si soddisfa del ritmo della linea, senza curarsi di differenziare i piani. Nessuno spettàcolo è più popolàre di quello della Passione, e nessuna immagine è più diffusa di quella del Crocefisso, asse tràgico della religione dei pòveri. A poco a poco, l’attenziòne si trasporta dal Cristo umiliato, dal Cristo flagellato, dal Cristo inchiodato, verso il Cristo morto, che domina tutto l’immaginario di devoziòne. Quando il Duca Filippo di Borgogna decide di preparare la sua sepoltùra a Champmol, vuole nella Certosa un Calvario monumentale, in cui il Cristo di Claus Sluter (+ 1406) e di Jean Mahonel prende tutte le apparènze della presènza reàle. L’accento di gravità su Gesù Crocefisso è il tema centrale che Masaccio (1401-1429), uno dei più sublimi pittòri della storia, tratta nel 1427 su uno dei mùri di Santa Maria Novella di Firenze. In Napoli, il Crocefisso più miracoloso e venerato è nell’architràve della tribùna, eseguita da Pietro e Giuseppe Mazzetti, a spese del Duca di Giovenazzo, Don Domenico Giudice, nella Chiesa di Santa Maria del Carmine, e il Crocefisso più universalmente noto, di cui prende speciàle cura il Servo di Dio Luigi d’Aquino (1550-1623), è in una Cappella della Chiesa di San Domenico dei Predicatori. I frati della napoletana Santa Maria la Nova accreditano il loro Crocefisso, di rara scultùra, al “solenne” Giovanni da Nola (1488-1558), di cui ricordo le magistrali sìntesi compiute nelle Figure del presepe, nella Chiesa di Santa Maria del Parto. Nel suo Crocefisso, commissionato da Giovanni Resta, per la Chiesa di S. Stefano di Reggio Emilia, Guido Reni (Bologna 14 novembre 1572-1642) rinuncia a ogni accessorio narrativo e concentra la raffiguraziòne sulla figùra del Cristo morente: Riegl elogia l’efficacia della essenzialità iconògrafica, Kurz ne rileva il vigòre pittorico e la qualità di modèllo esemplàre. Nel Monasterio de San Lorenzo el Real de El Escorial, octava
**** Òpera divina e per tutto il mondo famòsa, il grùppo della Madonna degli Angioli, alto tre metri, scolpito nel 1644 a rilièvo, e in parte a tutto tondo, e dipinto al naturàle, da Fra Diego da Carèri (1606-1661), chiamato nel seicentesco Convento dei Frati Minori Osservanti Riformati di Badolato dal Padre Bartolomeo da Badolato, eletto nel 1633 Custode nel Capitolo degli Osservanti per la Riforma, e dichiarato primo Provinciale dei Riformati nel 1639, è posto entro una magnifica composiziòne in legno (m 3,10 x m 4), con bèlle colònne corinzie, intagliata nel 1710 da Fra Giuseppe, detto dal Cappuccino Reverendo Padre Giovanni Fiore, nel secòndo tòmo in-4 della sua Della Calabria Illustrata (Napoli, nella Stamperia di Domenico Roselli, MDCCXLIII), scultòre eccellentissimo e santo Religioso singolàre nella povertà e nell’umiltà. *****
maravilla del mundo, fondato da Filippo II (1556-1598), che incarica della direzione della fabbrica Juan de Herrera, che esercita in Ispagna la sua autorità di Maestro de las Obras Reales e che porta da Roma una architettura potènte e austèra, ho ammirato l’Entierro de Cristo di Fray Engenio de la Luz e di Fray Juan de la Concepciòn, il Cristo Crucificado in marmo di Benvenuto Cellini (1500-1571), il Santo Entierro di Jusepe de Ribera (1591-1652), il Crucefijo in bronzo di Lorenzo Bernini (+ 1680), il Cristo Crucificado di Alonso Cano (1601-1667). Benché non firmato, la manièra di rendere la capigliatura, i volumi definiti da forme geometriche, i carattèri fisiònomici del volto, il realismo del corpo sofferènte, suffragano la paternità del Crocefisso ligneo, nella Chiesa di San Giovanni in Sorianello, del tedesco David Müller, morto in Berlino nel 1638, dal quale vedono l’uscita due statue della Certosa di Serra San Bruno. Il Crocefisso di Badolato, scaturito dalla spiritualità profonda di Fra Diego da Carèri, accentua l’espressiòne drammàtica del contenuto di fede mércé l’impiègo di mezzi stilistici arcaizzanti: lo stato di animo che ne è generato corrisponde alle idee mìstiche della Controriforma, propagate all’inizio del Seicento da San Francesco di Sales, che Francesco Solimena (1657-1742), in un suo dipinto, ch’è una sìntesi pretiana-giordanesca, nella Chiesa di San Nicola alla Carità in Napoli, veste con cotta e stola, ma senza il piviale, il quale esprime il vèrtice giuridico del sacerdozio. Nel Convento Francescano di Badolato, Fra Diego da Carèri, nella prima dècade del 1644, porta a tèrmine, impregnandolo di un sentimènto di grazia e di armonia, il prodigiòso e monumentale grùppo ligneo della Madonna degli Angioli, con inginocchiati San Francesco e San Ludovico, nominato Arcivescovo di Tolosa (1294) da Bonifacio VIII (eletto Papa il 24 dicembre 1294, morto il 10 ottobre 1303), e con angeli festanti dai volti incorniciati di bionde chiome, i quali hanno un tono particolare di grazia e una unità poètica, data dall’accòrdo sinfònico dei colòri. Rammemoro gli angeli della Madonna tra gli angeli e i santi di Ambrogio Lorenzetti (?-1348), che mostra la ricchèzza tutta senese del colòre e che resta sicuramente una delle più alte trasfiguraziòni della divinità; gli angeli della Madonna Rucellai di Duccio di Boninsegna (?-1319), di una forma armoniosa ed espressiva particolàre all’arte gòtica; gli angeli dell’Assunta della Chiesa del Rosario di Cento, eseguita nel 1623 dal Quercino (1591-1666), per il Conte Alessandro Tanari; e gli angeli della Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina da Siena, nella Chiesa di San Marco in Osimo, pure eseguita, in memoria di Agostino Galamini (+ 4 settembre 1639), Cardinale della Chiesa di Santa Maria di Aracoeli a Róma, dal Quercino, che nell’immenso panorama del Baròcco europeo consegue le quote della popolarità cólta, oltreché della diffusione più larga. La Mostra del 1968 all’Archiginnasio di Bologna, di valòre irripetibile, raccoglie una vasta seleziòne dei dipinti del grande artista centese. Pur nei divarî di fattùra, di senso plàstico, d’intaglio e di sodèzza di struttura, Giuliano Finelli (1601- 1653), che nella statua della consòrte del Viceré Emanuele di Guzman Conte di Monterey giunge a una rappresentaziòne quasi simbolica dell’ènfasi spagnolesca, Andrea Bolgi (1606-1656), in cui persiste l’attaccamento alle matrici toscane, Ercole Ferrata (1610-1686), che gràvita nell’òrbita fanzanghiana, in una manièra generale mostrano qualche apparente e lontano riflèsso o nesso con Fra Diego da Carèri, ammirato dal Viceré, Don Juan Alfonso Enriquez de Cabrera, Duca di Medina de Riseco. In ispecie, Antonio Bulifon, un Francese del Delfinato venuto a Napoli nel 1670, “libraio all’insegna della Sirena”, autore del Cronicamerone o vero Annali e giornali historici delle cose notabili accadute nella città e regno di Napoli fino all’anno 1690, sostenitore di Filippo V (1683-1746), e l’altro libraio-editore Domenico Antonio Parrino, il quale ha la bottèga nella Via Toledo e pubblica il Teatro eroico e politico de’ governi de’ Viceré, completandone nel 1694 la composiziòne o tela narrativa sul cui sfondo sono studiate le vicende della Napoli spagnuola, bene intendono e riconoscono la lunga operosità, le sottigliezze di imprèssioni semplici e forti, il disegno incisivo e naturalista, la grande sicurèzza tecnica, la rimarchevole unità di stile e dei soggètti sacri di Fra Diego da Carèri. Nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci, eretta nel 1639, col disegno di Cosimo Fanzago (1591-1678) e colle elemòsine di Bartolomeo d’Aquino, le statue lignee sono lavorate da Fra Diego da Carèri, òspite del Convento dell’Ordine Riformato a partire dal 1644, poiché invitato dal Padre Giovanni Mazzara. Il biògrafo Bernardo De Dominici, condotto dal padre a Napoli nel 1698, nelle Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, uscite in luce nel 1742-1743 in tre volumi in quarto, e il padre della catalografia figurativa Carlo Celano, nei suoi cinque volumi di Notizie del Bello, dell’Antico e del Curioso della città di Napoli (Napoli, 1856-1860), assegnano invece a Carlo Fanzago (Napoli 1628-Madrid 1679) il paliòtto, in cui l’immagine del Cristo, suggerita dalla Pietà dipinta da Jusepe de Ribera nel 1637, per Giovan Battista Pisante, Priore della Certosa di San Martino, viene presentata in una visiòne assorta, come nel Cristo morto, del 1564, di Antonio Tenerello, nella Chiesa dei SS. Severino e Sossio, cominciata a edificarsi nel 1490, col disegno di Gio: Francesco Mormandi. Simbolo risplendente della povertà redentrice, Francesco di Assisi (1182-1226) s’incammina nella fraternità di Gesù, e s’identifica a Lui così perfettamente che, nella fiamma del suo amore, riceve sul suo corpo le stìmmate della Passione: si vede in lui il modèllo di una perfeziòne nuova, accordato al desidèrio di umiltà della giòvane società urbàna. Francesco vuole che siano “preziosamente ornate” le chiese che accolgono il corpo del Cristo: una nuova generazione di cattedrali si èleva al di sopra delle città: Chartres sorge nel 1191, Reims è inaugurata nel 1212, Notre-Dame di Parigi si compie nel 1250, e le loro vetrate offrono la matèria di una esposiziòne dottrinàle il cui discòrso si organizza alla manièra della leziòne di un maestro. La condànna della tirànnia pontificale si trova inscritta nel cuore delle profezie di Gioacchino da Fiore (1130-1202). Nell’Università di Parigi, il teologo francescano Gerardo di Borgo San Donnino commenta l’òpera di Gioacchino, ma contro di lui, un altro Professore, Guglielmo di Saint-Amour (1202-1272), denuncia i Mendicanti, questi pseudoprofeti, concorrènti dei Maestri secolàri, e attacca il Papa, loro protettore. L’atteggiamento di Humbert de Romans verso la storia si mostra, nel 1273, radicalmente opposto a quello di Gioacchino. I pòveri trovano negli episodî della vita di Francesco l’alimento del loro fervòre. Nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci, ispirandosi alla Legenda maior di Bonaventura di Bagnorea (1221-1274), Professore nell’Università di Parigi, antagonista del tomismo, e anche appoggiandosi al De conformitate vitae B. Francisci ad vitam Domini Jesu, composto, tra il 1385 e il 1390, da Bartolomeo da Pisa, il calmo raccoglimento di Fra Diego da Carèri dà vita alla statua a tutto tondo di San Francesco in èstasi, riprodotta da C. Caterino alla pagina 198 del primo volume della sua òpera: Storia della Monastica Provincia Napoletana di S. Pietro ad Aram, Napoli 1926. Nello Sposalizio mistico di San Francesco con la Povertà, che ho visto nel Museo Condé di Chantilly, il Sassetta (?-1450), in cui lo storico Bernardo Berenson vede il più grande pittòre religiòso dell’arte occidèntale, coglie il lirismo mediànte la luminosità del cielo trasparènte e la prospettiva ritmata del paesaggio. La smaltata luminosità del colòre, la squisitezza della stesùra, la delicatezza idealizzata delle forme e degli affetti inducono a collocare il dipinto (1603-1604) Visione di San Francesco nel pieno della fase classicista del percòrso di Ludovico Carracci (1555-1619). Fra Diego da Carèri scolpisce, nel 1648 a Dongo sul lago di Como, per la Cappella della Passione e per la Cappella dell’Ultima Cena del Santuario di Santa Maria delle Grazie, nuove statue vivaci di composizione e d’intaglio, nel 1652 in Varese un Crocefisso nella Chiesa di San Giacomo di Castello, e nel 1653 in Lecco nel Convento di San Giacomo dei Padri Zoccolanti le statue di Maria e di San Giacomo, trasferite nel 1805 nella Chiesa dei Santi Màrtiri Gervasio e Protasio. In Róma nel 1654, nella Chiesa del Convento di San Francesco a Ripa, sorta nel 1231 sul luogo dell’antico Ospizio di San Biagio dove dimòra Francesco di Assisi forse quando viene a ottenere da Onorio III il definitivo “sigillo” pontificio alla sua Religione, e che ha la facciata seicentesca di Mattia de’ Rossi (Roma 1637-1675), la notabile statua giacènte della Beata Ludovica Albertoni di Pietro Bernini (1562-1629), il quadro di San Pietro d’Alcantara di Giuseppe Bartolomeo Chiari (Róma 1654-1727) nella Cappella della crociera destra, due sontuose tombe baròcche con ritratti marmòrei di Giuseppe Mazzuoli (1536-1589) di Siena, Fra Diego da Carèri imprime un suo risoluto sentimènto del rilièvo nella statua di San Francesco, guidato dal proprio sentimènto d’individualità che lo trattiene dal concèdere tròppo a superfluità decorativa. Due tavole di altare, con la figura di Francesco, e le sue leggende, ad Assisi e a Róma, confòrmi negli ornati, nell’aspetto del Santo, composto sul tipo dell’ascèta bizantino, nell’iconografia del racconto concitato, nell’impasto profondo del colòre, sono forse di pittòre pisano della metà del Dugento, ma certamente di chi possiede a fondo le fòrmule iconogràfiche e tecniche bizantine. Per Pisa, vedi A. Da Morrona, Pisa illustrata, Livorno 1812, tòmo secondo: a Giunta Capitini, ricordato da documenti del 1241 e del 1254, appartiene una Croce a San Paolo a Ripa, che lo mostra, nei sòliti modi bizantineggianti, secondare i proprî esemplari accrescendone il tono patètico, ma non sono suoi altri svariati dipinti a lui attribuiti, secondo il mio grande Maestro Pietro Toesca, pel quale il pisano Rainerio di Ugolino, in una sua Croce, già in Santa Chiara, volge al grottesco le forme derivate sicuramente da Giunta Capitini, ed è pròssimo a Enrico di Tedice (Tanfani-Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, p. 181), a cui si può attribuire una piccola Deposizione del Museo pisano, accurata e fusa nel colorito. |