Data: 31/12/2002 - Anno: 8 - Numero: 4 - Pagina: 26 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Nicolina Carnuccio (Altri articoli dell'autore)
Mia madre faceva il pane ogni sette, otto giorni. Lo impastava in una madia di legno. Voltava e rivoltava la pasta che a forza di pugni diventava morbida e liscia. La plasmava in forma di pani rotondi che adagiava in bassi cestini. Poggiava i cesti sul letto e li copriva con teli di lana se era inverno. D’estate non servivano i teli di lana: il pane lievitava lo stesso. Lo copriva con una tovaglia perché non indurisse la faccia. Accendeva il fuoco nel forno e lo alimentava con frasche d’acacia. All’interno del forno ai due lati c’erano due pietre-segnali: quando diventavano bianche il forno era pronto per accogliere il pane. Mia madre correva a vedere nel letto il pane che lievitava. Alzava con delicatezza i lembi dei teli quasi il pane fosse un dormiente da non disturbare. Se il pane era al giusto punto di lievitatura tornava al forno quasi di corsa, tirava le braci davanti alla bocca con un cencio attaccato ad un palo. Intanto ci chiamava a gran voce: “Portatemi il pane!” Noi accorrevamo portando un cestino ciascuno. Mia madre, grondante sudore davanti alla bocca del forno, riceveva un cestino alla volta. Lo capovolgeva, e il pane per un attimo nelle sue mani era come un’offerta sacrale. Lo adagiava sulla pala di legno e lo metteva nel forno. Svuotati tutti i cestini, chiudeva la bocca del forno con un coperchio di ferro. Si sedeva, e dopo non molto un profumo buono ed intenso la ripagava di tutto. Mia madre è una donna piccola e forte.
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