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BADOLATO
Autore:     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2009 - Anno: 15 - Numero: 3 - Pagina: 25 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

I CIPRESSI DI ZANGARSA E ILMARE

Letture: 1202               AUTORE: Oreste Montebello (Altri articoli dell'autore)        

Qualche domenica fa con la mia famiglia partecipavo ad una escursione organizzata
dall’Università della terza età e del tempo libero di Soverato e sul mezzo che ci portava a conoscere
alcune delle perle incastonate nel nostro meraviglioso territorio, seduto accanto a me, un amabile
signore con cui avevo già scambiato qualche opinione in un viaggio precedente. Era il prof.
Squillacioti, direttore e anima motrice, insieme ad altri, della Rivista “La Radice” di Badolato. Il
Professore ed io chiacchieravamo della nostra terra, dei reperti archeologici che affollano le cantine
dei nostri musei, delle tradizioni e quando il mio interlocutore si mise a parlare dei cipressi di
Badolato, ben cinque, abbattuti da mano ignota, sobbalzai. Sì, fui preso da un attimo di sconforto, il
viaggio che stavo facendo era mutato. La mia mente in quell’istante mi portò indietro. Ma di quanti
anni? Allora... vediamo. Ne avevo circa quattordici, al massimo sedici. Quindi si ritorna indietro di
quasi trenta anni. Che meraviglia la “Memoria”! Ti fa rivivere nel passato e ti fa riappropriare di un
pezzo della tua piccolissima storia personale che a volte diventa memoria storica e quindi collettiva.
A quel tempo non ero né
carne né pesce, come diceva
mio padre. Passavo il periodo
estivo per lo più andando in giro
per le spiagge ma per lo più
stavo sott’acqua a pescare.
Pescavo con Stefano, compagno
di scuola e di scorribande in
vespa. Lui ed io conoscevamo
tutte le pietre da Pietragrande al
casello di Santa Caterina ed
oltre, fino a Riace. Solo che eravamo
dei pescatori costieri, arrivavamo
sul posto in vespa, ci
sedevamo sulla spiaggia per
osservare il moto ondoso e
cercavamo di capire la corrente per scegliere il punto migliore di entrata. Spesso tornavamo a casa con
diversi pesci da distribuire alle famiglie e da vendere ai ristoranti per pagarci la miscela da mettere nella
vespa e continuare la scoperta di nuovi punti di immersione. Arrivavamo fino ad Isola Capo Rizzuto
e Tropea. Partivamo con la muta indosso, io alla guida e Stefano dietro a reggere sulle gambe i ferri
del mestiere. Dopo un po’ la società si ruppe. Stefano preferì, alla pesca ed il mare, il ballo e le avventure
notturne. Le alzatacce alle quattro del mattino non riuscì più a farle e mi trovai a confrontarmi da
solo con il grande Ionio. Al tempo avevo un debole per una ragazza di Catanzaro che andava al mare
con le sue amiche al lido Marinella ed io mi ci fiondai senza però perdere di vista il mio primo amore:
il Mare! Anzi quelle mie assenze incuriosivano la ragazza e aumentavano le possibilità di strapparle
un bacio. Alla Marinella, fra l’altro non c’era solo Gabriella, avevo preso a frequentare la capanna di
Gino. Surfista, maestro di karate, grande marinaio e sopratutto pescatore subacqueo. Ci annusammo
per un po’ di tempo, come fanno i cani quando incontrano in mezzo alla strada un loro simile e poi
avvenne quello che da tempo aspettavo e che mai avevo osato chiedere. Mi chiese di fare da barcaiolo
a lui ed ad un altro ragazzo che, in seguito imparai a conoscere e stimare come leale ed altruista.
Io dissi: “Non l’ho mai fatto”. E lui: “Sai remare?”. Risposi di sì e mi diede appuntamento per
l’indomani mattina alle quattro e mezza sotto casa sua. Mi feci trovare puntualmente, udii una
voce chiamarmi... girai l’angolo e mi trovai davanti al forno della mamma di Gino, prendemmo
del pane, della pizza e partimmo. Ci imbarcammo su di un Molinari e appena in planata su un mare
calmissimo ci ritrovammo all’alba al largo di Badolato. La costa vista dal mare era una visione. Il
bianco dei calanchi, gli alberi sfumati di rosso ed il blu intenso dell’acqua annusavano di tranquillità.
Eravamo quasi sul punto. Il pilota guardava prima a destra, poi controllava a sinistra. Fermava
il motore e ricontrollava verso terra. Un po’ indietro e alla fine bisbigliò: “A parda, ièttala, ièttala!”
E un tonfo raggiunse le nostre orecchie. La cima scivolava via. Senza neanche un minimo spostamento
della barca la cima scorreva fra le mani dell’altro subacqueo. Poi niente più! Anche lo
scivolare della cima in acqua che produceva un sibilo fra le mani di Antonio si era pacata e solo
allora Gino mi spiegò dove stavano per immergersi. Erano le prime macchie di scogli sulla “Secca
di Santa Caterina” dalla parte di Badolato. Pianificarono l’immersione. Un fondo di trentadue
metri: sarebbero stati immersi per circa 30 minuti più la relativa decompressione. Poi rivolgendosi a
me disse: “T’a’ ’e tenira supa u terzu àrvaru ’e Badolatu ‘ncignandu ’e munti e sutta ala marina cu
a secunda arcata du u ponti ’e Mussolini e u spiculu do casedu rosa”. Poi riprese a dare i numeri
dalla parte di Santa Caterina, con altre dettagliate informazioni che mi avrebbero permesso di
poter ritrovare il punto iniziale di immersione. Il tempo di prepararsi e i due erano già in acqua.
Scivolavano via nel Blu cobalto del mare Jonio. Legai una boa alla cima dell’ancora e iniziai a
seguire le loro bolle a remi. Restavo sempre sulla loro verticale, attento a non perdere di vista i
loro respiri aiutato da una bonaccia inverosimile. Di tanto in tanto guardavo gli alberi e li vedevo
non più allineati con il ponte di Badolato. Stavano andando verso il largo e dopo tornarono sulla
cima e lentamente i due subacquei riemersero dopo aver fatto le dovute tappe di decompressione.
Il mare e la terra uniti da una linea immaginaria che unisce i verdi cipressi con le profondità
del grande blu.
Una magia che mi attirava. Un segno di come i primi navigatori tenevano a mente i diversi
punti per raggiungere terre da esplorare. Segni della natura e dell’uomo che nel passato hanno reso
più semplice la navigazione e la pesca in tutti i mari del mondo. Segni che lo stesso uomo ha
cancellato in pochi minuti. In pochi istanti i cipressi del barone Paparo sono finiti a terra,
cancellando i miei sogni di giovane marinaio.

I CIPRESSI DI ZANGARSA E ILMARE - Oreste Montebello

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