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Autore:Anonimo     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/04/2021 - Anno: 27 - Numero: 1 - Pagina: 12 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

LIBERTÁ E LIBERO ARBITRIO Lettura di alcuni passi del Purgatorio di Dante

Letture: 407               AUTORE: Gerardo Pagano (Altri articoli dell'autore)        

La immensa cultura di Dante gli consente una narrazione della storia umana nella sua integralità: il
mondo che è rappresentato nella Commedia, non è solo quello che la sua personale esperienza gli aveva
consentito di vivere, sperimentare e conoscere, ma anche quello che la vastità dei suoi interessi, delle
sue letture e degli insegnamenti acquisiti gli ha consentito di elaborare in una visione, che, pur nella
sua complessità, si presenta rigorosamente coerente, sistematica. A documentare questa affermazione si
potrebbero presentare innumerevoli esempi, anzi tutta la produzione dantesca, sia quella in prosa che in
versi, in latino e in volgare.
Ma è particolarmente interessante, sotto questo aspetto della sistematicità, esaminare ed analizzare il
tema della libertà, soprattutto come è presentato ed elaborato nella IIª cantica della Commedia, il Purgatorio,
che è appunto il luogo della liberazione, della purificazione, come testimonia la figura di Catone Uticense,
che Virgilio e Dante incontrano appena approdati alla spiaggia del Purgatorio. La vita e, più ancora, la
morte di Catone sono il simbolo di quella esigenza di libertà che “è la stessa esigenza di Dante pellegrino,
giacché senza libertà morale, senza il pieno dominio di sé, non c’è possibilità di vita e di salvezza” (U.
Bosco, Introduzione al c. I del Purgatorio, Firenze 1988, pg11). Dante così va oltre il riflesso politico,
anticesariano, della posizione di Catone che persegue un ideale politico superiore coincidente con l’assoluto
ideale morale. La libertà politica, dunque, ma, innanzitutto, a proposito della figura simbolica di Catone,
come liberazione dalla tirannide e, più complessivamente, da tutto ciò che condiziona negativamente la
nostra vita, come purificazione, che è appunto il significato più vero dell’esperienza che Dante compie
nell’ascesa del Purgatorio fino al giardino del Paradiso terrestre. E, tuttavia, questa operazione, che possiamo
senz’altro denominare come libertà da, non è sufficiente a rappresentare pienamente l’esperienza della
libertà come padronanza dei nostri gesti, della nostra vita, del nostro futuro. Impegnati nella purificazione,
non riusciamo, tuttavia, a comprendere le origini del male, a renderci conto che esso può presentarsi all’uomo
con un suo fascino anche difficile da dominare e, quindi, quasi impossibile da eliminare. Per rispondere a
così importanti questioni Dante utilizza la figura di Marco Lombardo, nel canto XVI sempre del Purgatorio.
Anche qui si tratta di un simbolo, di un personaggio, del quale il Poeta ci dà scarse notizie biografiche,
mentre lo definisce per le qualità della sua virtù: “...del mondo seppi, e quel valore amai / al quale ha or
ciascun disteso l’arco” (vv. 46-47). “Ebbi cognizione degli affari del mondo ed amai quella virtù a cui
nessun più mira, che non è più di moda”. Marco Lombardo, uomo di corte, ha nostalgia di quel valore
cavalleresco, caratteristico di quel mondo antico che egli rimpiange. E questo rimpianto spinge Dante a
porre la domanda sull’origine del male nel mondo: “Lo mondo è ben così tutto diserto / d’ogne virtute, come
tu mi sone, / e di malizia gravido e coverto; / ma priego che m’addite la cagione, / sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la
mostri altrui; / ché nel cielo uno, e un qua giù la pone.” (vv. 58-63). Dopo un profondo sospiro la risposta
di Marco è articolata, ma rigorosa nella sua argomentazione: se fosse vero che dipendono dagli astri, in una
condizione di necessità, le azioni degli uomini, sarebbe distrutto il libero arbitrio e non sarebbe giusto che
il bene fosse premiato e punito il male. L’influsso degli astri, certo, si può trovare nelle inclinazioni naturali
di ognuno, ma Dio ci ha dato il lume della ragione per distinguere bene e male: se, dunque, “’l mondo
presente disvia, / in voi è la cagione, in voi si cheggia;…”. L’anima di ciascuno è, infatti, creata da Dio
direttamente (“anima rationalis non potest produci nisi a Deo immediate”) (Tommaso, Summa theologica,
I, q. XV, art. 3), per ricercare il Sommo Bene, ma, essendo priva di ogni esperienza, può essere ingannata
dalle false apparenze di bene ed ha quindi bisogno di essere guidata da leggi che la frenino e da una autorità
che le applichi. A questo punto il discorso di Marco Lombardo collega il libero arbitrio come esercizio
responsabile della ricerca del bene alle condizioni generali che possono garantire questo esercizio.
Ma prima di seguire questo passaggio, conviene, tuttavia, soffermarsi sulla teoria del libero arbitrio,
chiarendo il rapporto tra volontà e bene: la condizione umana nella storia è quella della creatura che
ricerca con la ragione la verità e con la volontà il bene: e, tuttavia, nella storia verità e bene si presentano
con i limiti, appunto, della realtà finita nella quale il soggetto umano è immerso. Il dubbio razionale e l’incertezza morale sono la condizione naturale dell’uomo, che può, pertanto, commettere errori di
valutazione considerando vero quello che non lo è, anche se appare tale, e bene quello che si presenta
come immediata soddisfazione di un piacere. “...l’anima semplicetta che sa nulla, / salvo che, mossa
da lieto fattore, / volontier torna a ciò che la trastulla. / Di picciol bene in pria sente sapore; / quivi
s’inganna, e dietro ad esso corre /...” (vv. 88-92). Il libero arbitrio si esercita, appunto, nella valutazione
delle situazioni storiche concrete in cui assumiamo le nostre decisioni caratterizzate dalla possibilità di
scelta rispetto agli aspetti della realtà finita nella quale siamo immersi. Il ragionamento di Dante, qui
discepolo di san Tommaso, è il seguente: se fossimo nella condizione di poter valutare il bene nella sua
assolutezza, non potremmo commettere errori di valutazione. Dante nel Paradiso racconta, fino a quando
riesce, questa esperienza della visione diretta del Bene assoluto: è la condizione di beatitudine dei Santi.
(“Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, / e cede la memoria
a tanto oltraggio”. Par. XXXIII, vv. 55-57). Ma qui, nella storia, il bene non si può presentare nella sua
assolutezza, la sua visione e la sua valutazione sono inevitabilmente connesse a quella condizione di
finitezza, che condiziona tutta l’esistenza umana. Beatrice, infatti, quando rimprovera Dante di averla
dimenticata dopo la sua morte, per interessarsi ad un’altra donna, così si esprime: “e volse i passi suoi
per via non vera, / immagini di ben seguendo false, / che nulla promession rendono intera.”. (Purg. XXX
vv. 130-132). Dante, cioè, si era perso per una via lontana dalla verità e aveva seguito false apparenze
di vero bene: nell’esperienza del male, c’è un errore di valutazione alla base della ricerca di beni che poi
si rivelano falsi e non mantengono alcuna promessa. La volontà, nella interpretazione tomistica, “può
liberamente applicarsi a oggetti diversi perché la ragione può avere diverse concezioni del bene, sicché
i filosofi definiscono il libero arbitrio come libero giudizio della ragione, quasi che la ragione sia causa
della libertà” (Summa Teologica, I-II, q. 17, art. 1, ad 2). Una volta percorsa la via della purificazione,
la ragione può lasciarsi guidare dalla sua visione del bene (“lo tuo piacer omai prendi per duce”; Purg.
XXVII v. 131), e la volontà, raddrizzata e integra, può operare secondo i suoi desideri (“libero, dritto e
sano è tuo arbitrio, / e fallo fora non fare a suo cenno”; ibid. vv. 140-141). Dante è finalmente lontano
dalla selva oscura e aspetta di incontrare Beatrice nel Paradiso terrestre.
Ma qui, nella storia, dicevamo, il libero arbitrio ha bisogno di riferimenti certi nelle leggi e
nell’autorità: il traviamento, infatti, avviene “….. se guida o fren non torce suo amore”, se la guida
dell’imperatore o il freno della legge non lo trattiene dal “picciol bene” guidandolo verso il vero bene.
Il soggetto umano nell’esercizio del libero arbitrio trova sostegno e guida nella corretta organizzazione
della società, quella governata da una autorità suprema, che, secondo Dante, è l’Imperatore. (“Onde
convenne legge per fren porre; / convenne rege aver, che discernesse / de la vera cittade almen la torre.”
(vv. 93-95). Così il discorso di Marco Lombardo disegna una visione organica della società umana,
nella quale il singolo cittadino può esercitare il libero arbitrio correttamente se segue le indicazioni delle
leggi e si lascia guidare dall’autorità di chi governa la città dell’uomo, che è premessa, qui in terra,
della Civitas Dei. Le leggi, dunque, non sono sufficienti da sole (“Le leggi son, ma chi pon mano ad
esse?) (v. 97). Già, dopo l’incontro con Sordello, Dante aveva rilevato che l’opera di Giustiniano di
regolare e ordinare le leggi, appariva inutile se poi manca chi le faccia rispettare . (“Che val perché
ti racconciasse il freno / Iustiniano se la sella è vota?” Purg. VI vv. 88-89 ). Il compito, dunque,
dell’autorità politica, nell’esercizio della guida dell’umanità su questa terra, dovrebbe essere facilitata
dall’autorità religiosa impegnata ad orientare gli uomini verso il Bene assoluto, che non è di questa
terra. È la teoria di Dante, esposta soprattutto nel Monarchia, che tenta di risolvere la questione
del rapporto tra Imperatore e Papa, in modo da evitare “la mala condotta / …..che il mondo ha fatto
reo” vv. 102-103). Marco Lombardo dà qui voce al pensiero politico-religioso di Dante e indica
nella cattiva guida del papa la responsabilità della decadenza morale e civile: la confusione tra potere
politico (“la spada”) e potere spirituale (“il pasturale”) determina la mancanza di quel freno reciproco
che induce ognuna delle due autorità a compiere scrupolosamente il suo compito. E la conclusione è
non più solo teorica, ma puntualmente politica: “Dì oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere
in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta la soma.” vv. 127-129). La corruzione del suo
tempo non dipende dall’influenza delle stelle, né dalla natura umana, ma dal disordine politico causato
dalla cupidigia di alcuni: se gli imperatori sono colpevoli di omissione, più grave è la responsabilità
del papa, che considera vacante il potere politico e se ne appropria, tenendo nella stessa mano il
pastorale e la spada. Si può porre fine a questa confusione di poteri, ma con un progetto politico che
dia all’imperatore la forza di riprendere la sua funzione storica. Così il libero arbitrio individuale si
potrà esercitare nella piena responsabilità con la guida illuminata dei due Soli secondo le leggi che essi
devono far rispettare. Marco Lombardo non è solo un uomo di corte che rimpiange le regole del buon
tempo antico: egli ha chiara la visione di un mondo nel quale il vuoto politico sia al più presto colmato
con la designazione e l’incoronazione di un imperatore, del quale anche il papa riconosca l’autorità
temporale, mirando, per la sua parte, a guidare l’umanità verso il supremo bene spirituale.
Una visione, concludendo, sistematica, nella quale trovano collocazione coerente tutti gli aspetti
della vita umana rappresentati nelle diverse opere di Dante e soprattutto nella Commedia, che è, per
questo aspetto, il suggello e la sintesi della cultura medioevale. Ha scritto Natalino Sapegno: “Dante
partecipa, anzi è tra i rappresentanti e gli artefici più notevoli, di questo momento della civiltà che
conclude il Medioevo e prepara il Rinascimento. …….nella personalità dell’Alighieri confluisce, e per
così dire si esemplifica, con una consapevolezza quale in nessun altro si ritrova altrettanto chiara,
vigorosa e drammatica, la crisi degli istituti e delle forme della civiltà medioevale; mentre la sua
opera rappresenta l’estremo e supremo sforzo per superare quella crisi e restaurare l’equilibrio ormai
compromesso.” (Da Pagine di storia letteraria, Palermo, Manfredi 1969, pp. 36-40).
La caduta della sistematicità, con la crisi di tutti gli orientamenti ideali, caratterizzata in special
modo dalla scissione tra la coscienza politica e la vita intellettuale, tra il cittadino e lo scrittore, porterà
la letteratura a cercare forme espressive lontane dal mondo poetico di Dante e si esprimerà nelle nuove
forme di organizzazione sociale e politica, a fronte delle quali gli intellettuali si illuderanno di essere
più indipendenti, più liberi, coltivando un distacco nel quale celebrare la propria individuale dignità.
Soverato, 6 aprile 2021


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