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Data: 30/06/2003 - Anno: 9 - Numero: 2 - Pagina: 10 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

PER NON DIMENTICARE LE RADICI

Letture: 1054               AUTORE: Angela Antonuccio (Altri articoli dell'autore)        

Mio nonno paterno era un uomo straordinario, anzi carismatico come si usa dire oggi per definire una persona che emana dal suo aspetto quasi un fluido magnetico che soggioga chi ha la fortuna di conoscerlo. Era stato educato da parenti che si erano distinti da sempre, in campo religioso e sociale per cui aveva una cultura non indifferente anche se non aveva frequentate le scuole superiori. Un quadro ad olio a me tanto caro, lo raffigura con tutta la sua famiglia; al centro campeggia in tutta la sua imponenza il padre il cui fiero cipiglio faceva paura a noi nipoti quando, entrando nel salotto “buono,, lo guardavamo; accanto, la moglie, una donna minuta il cui viso atteggiato ad un lieve sorriso d’occasione, denuncia una vita non certo allegra ma di sottomissione al marito… “padrone,, poi i fratelli, un sacerdote e due suore che profusero i loro averi per la creazione, in una parte della loro grande casa, di una struttura per bambini orfani ed abbandonati. Ma su tutti spicca la figura del nonno i cui tratti aristocratici ed il sorriso provocatorio pare vogliano sfidare la serietà dei severi parenti.
Egli era quindi l’unico che poteva perpetuare il nome della famiglia e per non incorrere nelle ire del padre che, diversamente l’avrebbe diseredato, contrasse matrimonio con una donna dalle rare virtù che morì dando alla luce il suo primo nato. Ma egli non volle risposarsi e dedicò la sua vita all’unico figlio e poi ai nipoti per i quali nutriva un grande affetto. Mia madre che metteva al mondo un figlio l’anno era felice quando, durante le vacanze estive, poteva “spedire,, da lui la numerosa prole per dedicarsi con maggiore impegno all’ultimo della serie. Il nostro arrivo era per lui motivo di grande gioia; la mattina ci svegliava di buon’ora per condurci nella vicina proprietà terriera che era denominata “Fra Giovanni,,. Lì ci faceva giocare nella grande aia mentre egli assieme ai coloni badava alla terra, non disdegnando di adoperare tutti gli arnesi che servivano per dissodare il terreno e mettervi le sementi che poi avrebbero dato i loro frutti. A mezzodì consumavamo la colazione a base di pane di grano e formaggio pecorino che la mattina aveva preparato in un grande tovagliolo a quadri bianchi e rossi. Poi ci riposavamo un poco, io che ero la più grande, facevo tante domande ed egli era contento di rispondere; un giorno, ricordo, lo pregai di spiegarmi perché spesso venivano introdotte in un ambiente vicino le stalle, delle giovenche e perché poi si sentiva un gran trambusto; egli rimase un po’ soprapensiero, poi, con una delicatezza che mai più ritrovai nei miei educatori, mi spiegò il grande mistero della vita attraverso la procreazione.
Il ritorno a casa, al tramonto era un vero spasso; aveva egli un’asinella che noi chiamavamo “a scicchitta du nonnu,, perché ubbidiva solo a lui, se noi le imponevamo di fare qualcosa, abbassava la testa e restava ferma. Egli stanco, dopo una giornata di lavoro, la montava, a tratti però, ma essendo molto alto e l’asinella bassina, era costretto a sollevare i piedi oppure a strisciarli per terra, sicché la povera bestia, per la fatica era costretta ad abbassare la testa e, non avendo la sella, lo faceva scivolare lungo il collo, mentre noi, dietro, trattenevamo a stento le risate. Giunti a casa ci attendeva una buona cena che le suore che si trovavano dall’altra parte della casa con gli orfanelli, dovevano servire al nonno, per un antico contratto. Le pietanze ci venivano date attraverso la “ruota,, quella stessa che anticamente si trovava all’ingresso dei conventi e serviva per porgere ai poveri una minestra calda. I Religiosi, a volte, vi trovavano qualche neonato abbandonato che poi riusciva a vivere, diversamente da oggi che si preferisce buttare tra i rifiuti le creature indesiderate.
La sera ci metteva a letto e per farci addormentare ci raccontava le storie che da piccolo aveva lette nella grande biblioteca di uno zio Prelato; ma noi preferivamo le avventure di Giufà, il ragazzo tontolone siciliano che nelle sue storie incarnava l’immagine dello sciocco, dello sbadato, ma che diventava, a volte, col suo comportamento un vero strumento di contestazione e di rivolta. Ci raccontava anche i miti e le leggende dei Greci e dei Romani, ripetendo in lingua greca e latina aforismi e massime. Solo i racconti della vita dei Santi e Martiri della chiesa avevano il potere di farci addormentare..
Ma poi mio padre decise di trasferire la famiglia nella vicina città per darci la possibilità di continuare gli studi. Quando andai a salutare quell’uomo che tanta parte aveva avuto nella formazione della mia infanzia baciandogli la mano e ripetendo “Vossia, benedica, nonno,, mi accorsi con dolore che anche i suoi occhi erano umidi di pianto…
E gli anni passarono finchè la pace di tutti non venne turbata dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo aver abbandonato la nostra città, vagammo per quattro lunghi anni attraverso le proprietà del nonno in cerca di cibo e di riparo ai pericoli che continuamente incombevano su di noi. L’ultima tappa della nostra “diaspora,, fu il paese natale che avevamo abbandonato anni prima e che spesso veniva illuminato dagli aerei nemici per mezzo di candelotti per via della sua altezza; forse perché i nemici pensavano che ci potessero essere postazioni di difesa. Rivedere il paese e soprattutto il nonno che non aveva voluto abbandonare la sua casa, fu per noi motivo di grande gioia. La lontananza e gli acciacchi dell’età l’avevano ridotto in uno stato di prostrazione veramente serio. Ma le nostre cure amorose lo guarirono al punto che ogni sera, seduti tutti attorno al “braciere,, ascoltavamo non più favole ma esilaranti barzellette che aveva raccolte in un grosso quaderno dalla fodera nera, sperando di poterci rivedere prima di morire.
Penso che il dolore della prima parte della nostra vita sia il banco di prova dove il nostro corpo si abitua alla sofferenza e il nostro spirito, piegato ma non domato, si ritempra per le future battaglie; visto col “senno di poi,, non ci sembra molto intenso, anzi a volte ci appare ammantato dal respiro della magia e dal fremito dell’irreale…
Ecco perché, nel corso della mia vita, quando stavo per trascendere all’ira, sentivo una voce che con tono pacato mi invitava alla ragionevolezza ed alla moderazione.
Ero convinta di riconoscere l’inconfondibile voce di nonno Giosuè…
Ma, forse, era solo quella della mia coscienza.!



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