Data: 31/12/2009 - Anno: 15 - Numero: 3 - Pagina: 33 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Pepè Brancia (Altri articoli dell'autore)
Quando nell’ormai lontano 1972 mi venne offerta al Policlinico di Roma la possibilità di una carriera universitaria o in provincia di Asti, in Piemonte, l’opportunità di “una condotta medica molto ben retribuita” rifiutai perché sin da bambino avevo sempre sognato di “fare il medico a Badolato”. Mi vedevo, già quando frequentavo le scuole elementari, con una borsa in mano passare di porta in porta ad assistere i pazienti bisognosi per offrire il mio aiuto e giocavo a “fare il dottore”. Fantasia di un bambino! Tutto ciò mi esaltava. E così feci realizzando il mio sogno. Avrò certamente commesso i miei errori (come tutti gli uomini) ma sono felice e consapevole di avere svolto la mia attività professionale con amore e dedizione. So di non avere fatto mai un passo indietro quando un paziente ha richiesto il mio intervento. Piuttosto quattro passi avanti assumendomi spesso responsabilità che andavano ben oltre il mio “dovere” professionale e senza secondi fini! Quante suture, quanti piccoli interventi seppure di minima chirurgia o addirittura qualche assistenza a partorienti e quante, quante ore, anche di notte vissute al capezzale dei pazienti. Quando mi allontanavo dall’ammalato ero cosciente del suo miglioramento e tornavo a casa stanco ma felice. Oggi vivo lontano ma quando torno a Badolato (e accade spesso) rivedo i vicoli, le stradine, il “destro”, il “mancuso”, la “iusuterra”, le porticine, le abitazioni piccole, umili ma dignitose, gli anziani ultraottantenni, i giovani cresciuti da quando li curavo bambini e sento un nodo alla gola e due lacrime che cerco invano di frenare, rigare le mie guance. Il “Buongiorno dottore” che viene dal cuore della gente, il “Si ricorda, dottore, di quella volta che mi ha curato o ha cucito il mento a mio figlio?” e tante, tante altre cose scatenano nel mio cuore, oggi un po’ malato, una emozione fibrillante che non posso descrivere con parole. “Dottore, venite a bere un bicchiere di vino nel mio “catojo”?”. Quanto sincero e genuino è l’affettuoso invito! Io ringrazio commosso e spesso accetto e mi “bagno” le labbra. Quanta fatica negli anni di lavoro a Badolato Superiore e Marina, di giorno, di notte, nei giorni feriali o festivi! Natale, Pasqua, Ferragosto: tutti giorni uguali. Mai, noi medici del paese abbiamo risposto “Ora non posso”. Non vi era un orario ufficiale. Eravamo sempre in servizio il mai dimenticato Dottore Scuteri, il Dottore Peltrone ed io. Ma quante soddisfazioni. Non posso dimenticare, e il ricordo mi commuove ancora, il giorno di San Giuseppe, ricorrenza del mio onomastico. Era un via-vai ininterrotto di gente che veniva a casa mia con le uova, il vino, l’olio, il capretto, qualche denaro contante e tanto, tanto altro. Che emozione! Quanto affetto vi era in quel “Dottore, scusatemi, lo so che è poco ma di più non posso”. Non era poco! Era tanto, tantissimo perché quella premura veniva dal cuore e si misurava in amore, non in valore. Vincenzino Gallelli, padre di Mario Ruggero, mi accompagnava e pretendeva di portare la mia borsa. Riteneva fosse un suo “diritto”. Caro Vincenzino, quanto ancora oggi lo ricordo e gli voglio bene. Percorrevamo insieme le stradine col sole o con la pioggia, bussavo alla porta del paziente che avevo visitato tre-quattro giorni prima e, affacciandomi dentro, chiedevo “Come va?” “Bene Dottore, grazie a voi”. Parlando di emozioni del passato mi commuovo al pensiero di un evento dell’estate scorsa. Mia figlia Luana, mettendo ordine nei cassetti di qualche mobilio, ha ritrovato alcune foto che ritraggono me alunno della II classe elementare. Anno 1951! Ho gioia se scrivo che ho pianto. Una delle foto scattata dal caro e indimenticato Giocondo Rudi, mi ritrae alla lavagna a scrivere “IL LAVORO È RICCHEZZA ED È SALUTE” sotto l’occhio vigile e sorvegliante del magnifico mio Maestro Francesco Gallelli il “Fiduciario”. Dio che emozione! Ho ripassato con la memoria le aule piccole della scuola sita nei pressi della Piazza San Nicola di Badolato Superiore, in una viuzza adiacente al Palazzo Paparo. Ho rivissuto i tempi dopo l’alluvione del 1951, delle scuole elementari site di fronte alla Chiesa di San Domenico. Ricordo con grande commozione il “TIROCINIO” nella mia classe ormai V elementare del Prof. Vincenzino Squillacioti che “faceva pratica” sotto la guida del Fiduciario Gallelli per arrivare poi ad essere egli stesso quel grande Maestro che oggi è. Ed io, ancora oggi, malgrado la poca differenza di età, continuo, quando ci incontriamo, a chiamarlo “Professore” mentre pretendo che lui continui a chiamarmi Pepè. Mi fa sentire bambino gioioso. Vorrei scrivere ancora ma prima di finire di annoiare i lettori voglio solo ricordare quanto segue: ogni mattina, per tre anni, io, alunno di III, IV e V classe elementare mi recavo a casa del mio Maestro Francesco Gallelli. Aspettavo che uscisse, gli “davo la destra” in segno di rispetto, memore del principio che mi aveva trasmesso mio padre Don Ciccio Brancia, e lo accompagnavo fino alla scuola. Il percorso era piuttosto lungo e ogni passo mi dava grande gioia per aver avuto l’onore di accompagnare il Maestro che, tra l’altro, bontà sua, mi aveva nominato CAPOCLASSE (mi auguro per meriti scolastici). Tra questi ricordi non posso non citare il Professore Nicola Caporale, figura imponente, autoritaria, uomo di immensa cultura, di cui, dopo tanti anni mi capitò di diventare genero avendo io sposato la figlia Graziella, mamma dei miei tre figli Teresa, Luana e Ciccio. Grande uomo, il Professore Caporale, ma grande anche per avere avuto vicino per tutta la vita una grande, grandissima donna: Franca Cuppari, Maestra esemplare, ineguagliabile di scuola e di vita. Quanti bei ricordi! Che gioia se si tornasse bambini, sì bambini ma bambini di quei tempi certamente non semplici, non facili, non comodi. Con l’augurio di un futuro scritto, se mi sarà concesso, esprimo gratitudine a LA RADICE che, guarda caso, è stata concepita e in embrione è nata a casa mia a Badolato Marina. Un abbraccio per tutti. Pepè Brancia
(Questo periodico, definito da qualcuno “giornale di comunità”, è, di fatto, di Badolato, dei Badolatesi, di ciascun Badolatese, e, ovviamente, di tantissimi altri amici che Badolatesi non sono ma condividono con noi valori, intenti, impegni, contribuendo, con la loro collaborazione, a farci crescere, non solo sul piano culturale. L’amico badolatese Pepè Brancia, il nostro caro dottore, attento lettore fin dal primo numero unico datato 30 aprile 1994, più di una volta ha avuto modo di contribuire anche lui, con i suoi scritti, a tale crescita. Questa volta commuove anche noi, con i suoi ricordi, con l’evocazione di persone che fanno parte del nostro passato e di luoghi che per noi hanno il “senso” di cui scrive l’antropologo Vito Teti in una sua seria ed interessante opera. A nome nostro personale, e di tutti gli amici che fanno parte di questa ormai vasta rete creatasi intorno a “La Radice”, lo ringraziamo per quest’altra bella pagina, valida testimonianza di condivisibili valori che speriamo non conoscano tramonto. - ndd) |