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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2019 - Anno: 25 - Numero: 3 - Pagina: 15 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

RESTANZA E RESPONSABILITÀ

Letture: 391               AUTORE: Gerardo Pagano (Altri articoli dell'autore)        

Il rischio che noi viviamo, in questo lembo d’Italia, di cui in queste ultime settimane abbiamo ancora
una volta sperimentato lo splendido dispiegarsi della continuità tra sole e mare che invita a cercare
dalle onde i confini lontani della terra e del cielo, il rischio, dicevo, è quello della marginalità rispetto
alla vivacità intellettuale che altrove sembra dispiegarsi pienamente e tardi arriva nella periferia dove
noi viviamo. La periferia può essere la condizione della marginalità: se è vissuta come limitazione degli
interessi ad un ambito territoriale ristretto al punto da considerare i problemi della più vasta comunità,
nella quale comunque siamo inseriti, come lontani, estranei a quelle che viviamo come esigenze inderogabili
del nostro vivere quotidiano. Eppure la globalizzazione, quel fenomeno, che ha certamente radici
nella ricerca del profitto, dovunque si possa generare, e che è la più marcata caratteristica dell’epoca
che viviamo, in fondo non giustifica più alcun provincialismo, ogni punto del mondo che viviamo, della
terra che abitiamo, è il centro del mondo: può essere raggiunto in poche ore da qualsiasi persona e da
qualsiasi merce; possiamo raggiungere con la nostra voce e con la nostra immagine qualsiasi persona
in qualsiasi parte del mondo. Siamo inseriti in un flusso continuo, di notizie, di immagini, di suoni:
non possiamo sentirci estranei a nessun fatto dovunque avvenga. Così il rischio del provincialismo può
diventare rischio dello sradicamento, della perdita di contatto con il mondo dal quale proveniamo, per
adeguarci a modelli inconsapevolmente adottati perché dominanti nella rete dei rapporti nei quali più o
meno stabilmente siamo o ci troviamo inseriti. È cambiato il nostro costume. Indimenticabile l’analisi
di Pasolini: “L’omologazione culturale ha cancellato dall’orizzonte le ‘piccole patrie’, le cui luci brillano
ormai nel rimpianto, memorie sempre più labili di stelle scomparse. Come polli d’allevamento, gli
italiani hanno indi accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo: è questa
la nuova società nella quale oggi ci muoviamo, testimoni e vittime di lutti culturali”.
Così viviamo questa contraddizione: provinciali, in certe convinzioni e modi di giudicare le
vicende della vita, e insieme globalisti nei gusti musicali, anche di mangiare, di organizzare i ritmi
delle nostre giornate, si pensi solo al fine settimana, ormai per tutti weekend, e anche al modo di
abitare. E c’è un’altra tensione che viviamo: l’attaccamento alle radici si scontra non solo con il
desiderio di vedere e conoscere altre culture, altri paesi, ma anche con il rilievo spesso doloroso
della necessità della partenza dei nostri figli quando la nostra terra non offre loro la possibilità di un
lavoro dignitoso. L’emigrazione dei cervelli ha fatto versare ormai fiumi di inchiostro: la generazione
Erasmus sembra obbligata a scegliere Londra, Parigi, Barcellona, Bruxelles, per non parlare
di New York e San Francisco, per inseguire la possibilità di realizzare un progetto di vita che hanno
immaginato negli anni degli studi. Il nostro territorio si spopola di giovani.
Il prof. Vito Teti, un’autorità negli studi antropologici anche per il suo interesse alla vita e alla
cultura delle aree interne della Calabria, e che insegna Antropologia Culturale all’Università della
Calabria, ha scritto recentemente un libro “Pietre di pane”, (editore Quodlibet Studio) per il quale
è riconosciuto come massimo teorico della restanza. Dice il prof. Teti: “È bene che si viaggi. Ma è
un’illusione andare due settimane a Tokyo a mangiare cibi tipici e sentirsi cittadini del mondo. È
una forma di boria credere che il centro del mondo esiste solo altrove. La prima cosa che chiedo
alle mie matricole calabresi di antropologia culturale è se abbiano mai letto Alvaro o visto la Cattolica
di Stilo. La risposta è sempre no. Sanno tutto di Los Angeles e niente della Calabria….. Non
è semplice mantenere un rapporto equilibrato con il qui e con l’altrove. Devi evitare una doppia
trappola: pensare che il tuo paese sia l’ombelico del mondo, credere che l’esotismo sia decisivo
per l’umanità… Il restare è frutto di una scelta come il migrare”. La novità è che “in Italia ci
sono gruppi di persone che vorrebbero tornare nei paesi d’origine, insoddisfatte di quel che hanno
trovato. Ma restare è un’assunzione di responsabilità verso i luoghi. Una resistenza contro la distruzione
operata dalle politiche, dalle mafie, dallo sviluppo incontrollato.”
Noi, invece, voglio dire l’Università e le altre associazioni culturali, abbiamo scelto di dare
senso alla nostra restanza creando e tenendo vivo uno spazio di proposte e di dibattito. Che per essere
validamente culturale, dev’essere capace di conservare la propria autonomia. L’attaccamento
alle radici ha senso se da esse si ricava la linfa per continuare a dare occasioni nuove di vitalità
alla nostra convivenza. Restare può far pensare all’immobilità, invece è capacità di restare se stessi
guardando altrove. Se si intende la cultura come ricerca degli strumenti e delle occasioni per capire
il nostro tempo, per vivere con intelligenza il nostro territorio e quella parte di tempo, di storia che
ci è dato vivere. Così lo sguardo che dal passato si protende verso il futuro dà senso anche alle
esperienze che abbiamo maturato e che possiamo trasmettere alle nuove generazioni.
Non è un lavoro facile. Ma senza questo tipo di impegno la restanza diventa grigio immobilismo,
stanca attesa di cambiamenti, eventualmente proposti da altri che ci evitano la responsabilità
e l’impegno personali. Il lavoro culturale ci serve per evitare la falsa modernità, quella degli
smartphone e dei tablet per giocare o per inutili o false conversazioni digitali: quella falsa modernità
che, per dirla con il prof. Teti, può portare solo alla dispersione.
Gerardo Pagano
(Il pregevole contributo del professore Gerardo Pagano, che ringraziamo per avercelo donato, a
nostra richiesta, è la sintesi della prolusione tenuta a Soverato l’11 ottobre 2019 all’inizio dell’Anno
Accademico della meritoria Università della Terza Età e del Tempo Libero “Magmo Aurelio
Cassiodoro”, arrivata al venticinquesimo anno dalla fondazione. – Ndd)


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