Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 46 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
TENTATO ASSALTO ALLA CASERMA |
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AUTORE: Michele Catanzariti (Altri articoli dell'autore)
Egr. Prof. Squillacioti, leggendo uno dei numeri de “La Radice”, mi sono imbattuto in un articolo riguardante le vicende badolatesi del dopoguerra e dei primi anni ’50. In esso veniva citato il libro “Magistratura e con f litto sociale nella Calabria del dopoguerra” a firma del Prof. Umberto URSETTA, edito da Luigi PELLEGRINI, stimato e compianto Insegnante, Scrittore, Giornalista ed Editore Calabrese (era nato a Cleto (provincia di Cosenza, il 21/02/1924). In uno dei tanti appuntamenti letterari alla “Terrazza Pellegrini” di Cosenza, chiesi ad una delle f iglie dell’Editore se fosse disponibile il libro suddetto. Subito me ne venne consegnata una copia. Inutile dire che lo lessi avidamente. In esso l’autore fa una disamina dei processi giudiziari riguardanti anche fatti di sangue che, nell’immediato dopoguerra e nei primi anni cinquanta qui, nel sud, interessarono centinaia di per sone che in un modo o nell’altro violavano le disposizioni di P.S. emanate dall’allora Ministro degli Interni Scelba. Da una parte servitori dello Stato, con il gravoso compito di far rispettare le leggi e mantenere l’ordine pubblico, dall’altra uomini e donne che protestavano aspirando a condizioni di vita miglio ri chiedendo pane e lavoro. Da qui i processi, le condanne (quasi sempre lievi però) e le assoluzioni, che Magistrati, formatisi in gran parte durante il ventennio e, forse, non del tutto indipendenti, sentenziavano. Grande fu la mia sorpresa, perciò, quando, a pag. 207 del suddetto libro, trovai scritto di un epi sodio che riguardava Badolato ed in cui testualmente si legge: ”Sempre per aver preso parte ad una manifestazione sindacale i carabinieri arrestano a Badolato cinque giovani. Il giorno successivo circa quattrocento persone si recano davanti alla caserma e ne chiedono il rilascio, minacciando di sfondare il portone. Il maresciallo, dopo aver invano intimato ai presenti di sciogliersi, fa sparare quattro candelotti lacrimogeni per disperderli. Per qualche minuto i dimostranti si dileguano, poi però tornano davanti alla caserma e chiedono nuovamente la liberazione dei cinque. Il maresciallo minaccia di passare alle maniere forti, ma non ce n’è bisogno in quanto tutti si allontanano. L’epi sodio porta nei giorni successivi all’arresto di quattro persone, tra cui la segretaria locale dell’UDI, e all’invio di un rapporto all’autorità giudiziaria, che ordina altri quattro arresti. Il magistrato procede a carico degli otto con istruttoria sommaria, e poi li rinvia a giudizio con l’accusa di radu nata sediziosa, minaccia a pubblico ufficiale e violazione dell’art. 24 TULPS per essersi rifiutati di sciogliere la radunata. A tre viene contestata inoltre l’accusa di istigazione a delinquere. Il processo, celebrato dopo un mese e mezzo davanti al Tribunale di Catanzaro e con due persone ancora dete nute, si conclude con la condanna di tutti gli imputati a 4 mesi e 10 giorni di reclusione e un mese di arresto……La sentenza suscita perplessità, quantomeno con riferimento alla condanna per minaccia a pubblico ufficiale. Per questo reato non esiste alcun elemento specifico a carico degli imputati, l’u nico addebito che gli viene rivolto è di essere stati - secondo il rapporto dei carabinieri - i più attivi tra coloro che davanti alla caserma hanno lanciato grida. Sembra un po’ poco per giustificare una condanna, anche perché è impossibile in una folla di quattrocento persone individuare con certezza chi lancia grida e chi no. Questa è la tesi che sostiene invano la difesa in dibattimento”. Di quel fatto citato da URSETTA, sebbene non avessi ancora cinque anni, fui diretto testimone e ne serbo ancora un vivido ricordo. Forse vale la pena qui raccontare - sperando di non essere tedioso e di contribuire alla verità storica - come si svolsero i fatti, ben impressi nella mia mente. Le carte certamente rivelano i fatti ma non gli aspetti umani delle vicende che dietro esse si ce lano. Mio padre, infatti, Maresciallo Maggiore dei CC, in quel periodo comandava la Stazione CC di Badolato Quella sera, mi pare che fosse il gennaio del 53, verso le ore 22,30 la nostra cara mamma si accingeva, con l’aiuto della fidata collaboratrice domestica Caterina, a metterci a letto, il mio ge mellino, la mia sorellina e me, mentre mio padre, con l’aiuto di un brigadiere, di un vicebrigadiere, di un appuntato e di un paio di carabinieri provvedeva a disbrigare le ultime pratiche della giornata abbastanza faticosa, riguardanti, tra l’altro, l’arresto di cinque persone di sesso maschile. Poiché l’alloggio aveva un ingresso anche dal piazzale di S. Maria oltre che dalla caserma, un brusio di voci lontane pervenne agli orecchi di mia madre che pregò Caterina di accertarsi su cosa stesse accaden do. Tempo un minuto o poco più, la stessa, trafelata e sensibilmente scossa, tornò a casa di corsa per aver capito a volo che un consistente numero di persone, con intenzioni ostili, si stava lentamente avvicinando dal Municipio alla caserma. Sbarrare la porta di ingresso, le finestre e dare l’allarme fu un tutt’uno. All’ultimo istante, poco prima che i dimostranti arrivassero, un carabiniere, la cui moglie aveva partorito proprio quel giorno dando alla luce una bambina, con l’aiuto dei commilitoni portò madre e figlia in caserma e da qui nel nostro alloggio. La famigliola abitava in una casa posta sul lato destro dello slargo su cui si affacciava il portone d’ingresso alla caserma. Mia madre prov vide a cedere alla neomamma convalescente ed alla figlioletta il proprio letto matrimoniale. Noi tre invece, insieme a lei e Caterina ci portammo nella stanzetta adiacente alla camera da letto, ovvero nella parte della casa più riparata da possibili atti intimidatori. Occorre subito precisare che il numero di persone citato da URSETTA appare eccessivo al sot toscritto, se non altro per il fatto che il limitato spazio dello slargo davanti al portone dʼingresso della caserma non poteva contenere quattrocento persone. In ogni caso i dimostranti, guidati da una donna e da altri quattro o cinque uomini, tutti ben esposti in prima fila, in breve tempo riempirono completamente lo slargo. Sebbene fosse stato predisposto un piano di difesa della caserma e dell’alloggio, mio padre ave va espressamente vietato l’uso delle armi ai suoi subalterni a meno che non si fosse dovuto agire per legittima difesa. I colloqui tra lui ed i dimostranti avvenivano dalla finestra ubicata al primo piano della caserma, proprio in corrispondenza del robusto portone di ingresso, ad una altezza di poco più di tre metri dal citato slargo. Erano, perciò perfettamente percepiti da noi bambini, nonostante la nostra posizione relativamente riparata. Ricordo che mia madre, preoccupata per l’incolumità di papà, disubbidendo a volte ai suoi ordini, lo raggiungeva pregandolo di non esporsi troppo dalla suddetta finestra. Le richieste della donna che guidava i dimostranti erano perentorie: mio padre avrebbe dovuto ordinare di liberare i cinque detenuti altrimenti lei e gli altri dimostranti avrebbero fatto di tutti noi “carne di salsiccia”. Papà, ciononostante, con molto tatto cercava di convincere i dimostranti - ma soprattutto la donna ed i suoi compagni in prima fila che apparivano i più facinorosi - di tornare alle proprie case. La situazione era abbastanza critica: da una parte occorreva non provocare la folla per evitare che le cose precipitassero, dall’altra occorreva chiedere urgenti rinforzi di uomini alla Compagnia CC di Soverato e da qui al Comando Gruppo di Catanzaro. Ma come fare se il telefono, da poco installato, non era più funzionante? I dimostranti, Infatti, oltre ai fili avevano tagliato anche alcuni pali di sostegno della linea telefonica. La decisione fu immediata. Il carabiniere scelto Marino, motociclista, armato di tutto punto, si offrì di calarsi con una corda, dalla parte posteriore della caserma e da notevole altezza, nel sottostante vicoletto. Da qui, con le precauzioni del caso, avrebbe dovuto portarsi in Piazza Fosso del Castello, ove, in un garage era custodita la MOTO GUZZI Super Alce, allora unico mezzo motorizzato in dotazione ai CC. Poiché l’ordine era quello di raggiungere in ogni caso e con qual siasi mezzo Soverato, erano stati predisposti piani alternativi nel caso in cui la moto fosse stata distrutta. Per fortuna essa era intatta. Il suo rassicurante rombo, mentre percorreva la strada verso Badolato Marina, rasserenerò in parte mio padre che, con rinnovata fiducia cercava di convincere i dimostranti a desistere dalla loro inaccettabile richiesta. Alle intemperanze di quest’ultimi, si rispose dapprima lanciando inutilmente secchi d’acqua dal terrazzo della caserma e poi, can delotti lacrimogeni. Sebbene fossimo dotati tutti di occhiali teoricamente a tenuta stagna, i gas inesorabilmente, oltre che in casa, penetrarono anche negli occhi creando comprensibili disagi, specialmente a noi bambini ma anche alla neo mamma ed alla sua bambina. Per un po’ sembrò che il sistema funzionasse poiché lo slargo era stato sgomberato, ma appena i gas si dissolsero i dimostranti tornarono a protestare molto più agguerriti di prima. Questa volta avevano portato un robusto palo, forse uno di quelli di sostegno della linea telefonica, con l’intenzione, usandolo a mo’ di ariete, di buttar giù il portone dʼingresso. A questo punto, mio padre, intuendo che se i dimostranti fossero riusciti ad entrare le conseguenze sarebbero state disastrose, prese la grave decisione di far puntare i moschetti sui primi cinque dimostranti, compresa la donna, dando tre minuti di tempo per sgombrare, altrimenti avrebbe fatto aprire il fuoco. All’intimazione, dappri ma lentamente ma poi sempre più velocemente, tutti sgombrarono lo spiazzo, compresi i compa gni della donna che rimase sola. Anche lei, però, dopo un po’, imprecando contro mio padre si allontanò. Fatta passare una buona mezz’ora e capito che la crisi era stata oramai superata, mio padre insieme a due o tre subalterni armati di tutto punto procedettero all’arresto immediato dei cinque, compresa la donna, che vennero tradotti in caserma e rinchiusi nelle camere di sicurezza in compagnia degli altri detenuti. I rinforzi giunsero verso le 4 del mattino ma non ci fu bisogno di altri arresti avendovi già prov veduto mio padre. Il resto è noto. Nella primavera del 1986, passando da Badolato Marina in compagnia del mio compianto geni tore, presi la decisione di portarlo al borgo, così giusto per rivedere quei luoghi, essendo pure una splendida giornata. Giunti perciò a Piazza Fosso del Castello (la collina del castello non esisteva più già allora) entrammo in un bar posto all’angolo, a pochi metri dal monumento al Dott. Anto nio TROPEANO. Quando mi accinsi a pagare le bibite consumate, il proprietario rifiutò il denaro domandandomi “esta u maresciallu Catanzariti?”. Quel signore era proprio uno di quei cinque dimostranti che in prima fila, circa 33 anni prima, avevano capeggiato il tentato assalto alla caserma. Avvicinandosi a mio padre che lo riconobbe appena pronunciò il suo nome, con molto garbo lo ringraziò di quanto aveva fatto per lui, ricordandogli che, dopo aver scontato la pena, lo aveva aiu tato ad espatriare in America. Cosa pressoché impossibile, allora, per chi si professava di un certo colore politico. Aveva costruito una comoda abitazione per sé ed i figli a Badolato Marina e gestiva quel bar, per sentirsi comunque impegnato in qualcosa. In men che non si dica una quindicina di persone, tra cui l’anziana ex guardia municipale CRI NITI, vennero a salutare mio padre. Fu l’occasione pure per rivedere “Cicciu ‘e Lesi” - fidato autista di una “Balilla strapuntinata” ai tempi della nostra permanenza a Badolato - oramai molto avanti negli anni, che, seduto davanti all’uscio di una casa riconobbe mio padre pronunciando il suo nome mentre due grosse lacrime gli solcavano il viso. La saluto cordialmente.
Michele Catanzariti (Quanto sopra andrebbe nella rubrica “Lettere”, ma siccome tratta un importante momento sto rico della nostra Comunità, il pezzo riceve altra collocazione. Con i ringraziamenti miei personali e dei nostri lettori all’ingegnere Catanzariti per avere scritto, con garbo ed equilibrio, di un episodio storico delicato e non tanto conosciuto dalle attuali nostre generazioni. Era un testimone ancora bambino, ma con buona memoria! - Ndd) |