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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2017 - Anno: 23 - Numero: 3 - Pagina: 9 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

UN ABBAS DELLA CIVITAS BADULATI

Letture: 1254               AUTORE: Lorenzo Viscido (Altri articoli dell'autore)        

Nel Diario ordinario Num. 1043 [...] delli 8 Aprile 17241, alle pagine 10-11 è scritto così: “Da
Umbriatico [...] si ha che quel Monsignor Francesco Maria Loyeri, ricevuta la notizia della morte del
Santo Padre Innocenzo XIII”, sopraggiunta il 7 marzo 1724, “sotto li 22” dello stesso mese “fece un
solenne Funerale, con aver celebrato Pontificalmente la Messa, assistendovi tutto il Capitolo e Clero
Secolare e Regolare, ed intervenutavi tutta la Nobiltà e Popolo; e nel fine dal Signor Abbate Stefano
Saraco, Vicario Generale di detto Monsignore Vescovo, fu recitata un’erudita Orazione Funebre,
vedendosi eretto in Chiesa un Nobile Tumolo ricco di lumi e di ben’ordinata struttura”.
Seppur mosso dal desiderio di leggere l’“erudita Orazione Funebre” dell’“Abbate Stefano Saraco,
Vicario Generale” di “Monsignor Francesco Maria Loyeri” (nato, quest’ultimo, a Badolato il 2 giugno
1676, eletto vescovo di Umbriatico il 16 dicembre 1720 e poi di Nicastro nel 1731, dove morì nel
17362), non sono riuscito, però, a reperirne il testo. Ho invece trovato ulteriori notizie su quell’abate,
interessanti per tutti i badolatesi.
Or dunque, dagli atti della prima Synodus Dioecesana ab Illustriss. et Reverendiss. Domino
Francisco Maria Loyerio Episcopo Umbriaticen. celebrata dominica quarta post Pascha die 29 mensis
Aprilis ac diebus 30 Aprilis et prima Maii 17253 risulta che, oltre ad essere Utriusque Juris Doctor e
protonotario apostolico, l’Abbas Stephanus Saraco era ancora, come già nel 1724, vicario generale del
summenzionato vescovo e che, inoltre, partecipò a quel sinodo in qualità di examinator e judex4.
Fin qui sembrerebbe che nulla possa interessare ai cittadini badolatesi. Rilevo, tuttavia, quanto
segue: negli atti della secunda Synodus [...], celebrata dal medesimo vescovo il 15 aprile del 17275,
non si ha più conferma che il Saraco ricopriva il ruolo di suo vicarius generalis, ma si legge che, pur
avendo partecipato a quest’altro sinodo nelle vesti di esaminatore e giudice, apparteneva, in effetti,
alla diocesi di Squillace6 ed era della Civitas Badulati7, nonché Abbas, in tale Civitas, di S. Maria de
Ravascheriis8. La qual cosa farebbe credere, in un primo momento, che, dopo avere espletato l’ufficio di
vicario generale dell’Episcopus Umbriaticensis, egli divenisse abate di un cenobio sito in quella “città”.
Non si dimentichi, a questo punto, che tanto nel Diario [...] delli 8 aprile 17249, quanto negli atti della
prima Synodus svoltasi nella diocesi di Umbriatico – ripeto – nel 172510 il “reverendissimo” Stefano Saraco
veniva già detto “abate”, malgrado non si specificasse se di una comunità monastica. Ho inteso far notare
ciò perché il titolo di “abate” non spettava solo al Superiore di un’abbazia, ma, stando al Du Cange, pure
a coloro, ad es., che “Curatos primarios [...] appellamus”11. Egli puntualizza, infatti, che tutte le chiese
“parochiales [...] et civitatis et dioecesis” avevano “ministrum unum majorem, alterum medium, tertium
infimum. Minister major dicebatur Abbas, Custos et [...] Rector. Ministri medii dicebantur Presbyteri et
tandem Capellani. Minister infimus appellabatur Sacrista, qui Abbati et Presbyteris inserviebat [...]”12.
L’“Abbas” – conclude il Du Cange – aveva principalmente il compito di “invigilare” su tutta la “parochia”
e di accertarsi che il “Presbyter” assolvesse le proprie funzioni13, vale a dire che avesse “curam animarum
in actu” [...], celebrando “Missae” ed amministrando “Sacramenta plebi”14.
Aggiungo che il termine “abate” era un titolo onorifico concesso anche a sacerdoti che reggevano
chiese non parrocchiali (dettaglio, questo, sfuggito al Du Cange). Basti ricordare “Petrus Sacca U.I.D.
et decanus rheginus”, beneficiario ed “abbas”, nel 1599, dell’“Ecclesia S. Leonardi [...], iuris patronatus
Federici et Pauli de Geria”15, oppure “Nicolaus Franciscus Dattula, rheginus, canonicus”, che nel XVII
secolo exeunte “posside(ba)t” l’“Ecclesia SS. Apostolorum Philippi et Iacobi”, di cui era “abbas”16.
Per quel che mi consta, nella Civitas Badulati non esisteva nel Settecento né un complesso abbaziale
denominato S. Maria de Ravascheriis, né una parrocchia così chiamata. In mancanza di approfondite
ricerche, comunque, parrebbe che dell’edificio sacro affidato alle cure del Saraco sia rimasto soltanto
il nome, senza dubbio connesso con un’antica famiglia ligure, i Ravaschieri, ai quali nel 1596 Pietro
Borgia, principe di Squillace, vendette “il Feudo di Badolato”17. Bisogna, tuttavia, tener conto di un
particolare, ovvero che in una relazione fatta nel 1713 dall’allora vescovo di Squillace, mons. Fortunato
Durante, e lì custodita presso l’Archivio Storico Diocesano si attesta che, sebbene non venisse indicato
come Abbas, ciò nonostante, in quell’anno Stefano Saraco era Rector dell’Ecclesia badolatese (non
parrocchiale) Sanctissimae Annuntiatae, posta sotto il giuspatronato18 dei Ravaschieri19.
Alla luce di quanto appena ho scritto, ritengo probabile che il Saraco, già Rector di questa Ecclesia
nel 1713, ne venisse poi chiamato Abbas e che con tale titolo, usato anche – se n’è discusso in precedenza
– per indicare il Rector o Custos di una chiesa non sempre parrocchiale, governasse, nel 1727, la stessa
Ecclesia, non più da tempo, però, denominata Sanctissimae Annuntiatae. In altri termini è possibile che
rampolli del casato ligure sopra ricordato avessero deciso di chiamarla, dopo il 1713 e prima del 15
aprile 1727, con un nuovo nome, S. Maria de Ravascheriis20, a testimonianza della loro devozione alla
Vergine e del proprio iuspatronatus.
Se le cose stessero in tal modo (come io credo), quest’ultimo nome sarebbe stato in seguito sostituito
da quello originario.

NOTE
1. Roma 1724.
2. Su questo presule, il cui cognome viene qui scritto “Loyeri” anziché “Loyero”, cfr. L. Calabretta, Le
diocesi di Squillace e Catanzaro. Cardinali, arcivescovi e vescovi nati nelle due diocesi, Cosenza 2004,
pp. 37-39.
3. Romae MDCCXXIX.
4. Ibid., pp. XVII, XXV e XXIX.
5. Romae MDCCXXIX.
6. Ibid., p. 86.
7. Ibid.
8. Ibid., p. 89. Si noti che ad ambedue i sinodi parteciparono pure altri della Civitas Badulati, tra i quali, per
ricordarne alcuni, il Rev. Pater Fr. Justinus [...], Custos Provinciae SS. Septem Martyrum Reformatorum
[...], Episcopi Theologus, ed i sacerdoti Antonio Gallelli e Antonio Coscia, entrambi, come Stefano
Saraco, Utriusque Juris Doctores e protonotari apostolici (cfr. Prima Synodus... cit., p. XXVI; Secunda
Synodus... cit., pp. 84 e 86).
9. Cit., p. 11.
10. Cit., pp. XVII, XXV e XXIX.
11. Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis... Editio nova locupletior et auctior. Tomi primi
pars prima, Basileae MDCCLXII, col. 11.
12. Ibid.
13. Ibid.
14. Ibid.
15. Cfr. A. Denisi (a cura di), Annibale D’Afflitto, seconda visita pastorale (1597-1600). Vol. II. La città (=
di Reggio Calabria), Reggio Calabria 1997, p. 253.
16. Ibid., p. 257.
17. A. Gesualdo, Storia di Badolato dal Medioevo al Novecento, Chiaravalle Centrale 1989, p. 33.
18. Il giuspatronato aveva per oggetto un beneficio ecclesiastico che garantiva a chi lo riceveva tre privilegi:
l’onore, la pensione e la presentazione dei rettori, i quali, nell’amministrare i beni di una chiesa, ne
ricavavano guadagno. “L’onore” – scrive Gaetano Greco – “consisteva nell’obbligo”, da parte dei rettori,
di far “recitare preghiere [...] per la salute spirituale e per il benessere dei patroni e dei loro familiari”, che
“fruivano di uno stallo chiuso, una panca o degli sgabelli propri dentro la chiesa”; “la pensione” o, meglio,
“la pensione alimentare a favore dei patroni laici” privati, che “gravava sulle rendite del beneficio in caso
di loro miseria, valutata in relazione al tenore di vita ritenuto consono alla propria condizione sociale”;
“infine la presentazione dei [...] rettori”, che “doveva avvenire entro un tempo determinato (tre o quattro
mesi per i laici, sei mesi per gli ecclesiastici), pena la decadenza dal godimento di questo diritto per
quella volta” (G. Greco, Giuspatronato e la Chiesa in Italia, nel sito web “storiadellachiesa.it/glossary/
giuspatronato-e-la-chiesa-in-italia”). La scelta ed il riconoscimento formale di un rettore preposto ad “un beneficio vacante” necessitava dell’“autorità ecclesiastica” (A. Carrino, La città aristocratica. Linguaggi
e pratiche della politica a Monopoli fra Cinque e Seicento, Bari 2000, p. 68, nota 3).
19. Nella relazione di mons. Durante si legge che nel 1713 esistevano a Badolato ulteriori luoghi di culto
sotto giuspatronato. Di questi nomino, ad es., la chiesa S. Mariae Purificationis, quella S. Gregorij e
quella, ancora, S. Mariae Angelorum (della prima erano giuspatroni i membri della famiglia Fiorenza,
della seconda i Minniti, della terza, infine, i Gallello).
Ringrazio mio nipote Antonio Bertolotti per essersi premurato di spedirmi negli USA, dove vivo, le
fotocopie della citata relazione, dopo averle richieste alla direttrice dell’Archivio Storico Diocesano di
Squillace, sig.ra Benedetta Trapasso, che altresì ringrazio.
20. Stefano Saraco risultava esserne abate – non si dimentichi – il 15 aprile del 1727.


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