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UN AFFRESCO: UN RECUPERO
Autore:Vincenzo Squillacioti     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2019 - Anno: 25 - Numero: 3 - Pagina: 18 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

UN ARCIPRETE DI BADOLATO NEL 1944 nella ricerca di Silvestro Bressi

Letture: 621               AUTORE: Silvestro Bressi (Altri articoli dell'autore)        

Sul finire del 1940 muore l’amato parroco di Santa Maria di Catanzaro don Teodoro Diaco.
Aveva 71 anni, buona parte dei quali vissuti intensamente in questo quartiere come abile artefice del
progresso religioso e sociale dei Santamarioti.
Santa Maria, posta a sud del centro storico, nella vallata della Fiumarella, sembra essere il
quartiere più antico della Città. Qui sorse il primo insediamento abitativo trasferito poi sui tre colli.
In questo territorio, appartenente alla mensa vescovile, sorgeva un’antica abbazia basiliana i cui
resti sono stati riportati alla luce negli ultimi decenni del secolo scorso nel corso di interventi di
restauro dell’attuale chiesa.
Testimoni del passato due dimenticati reperti di rilevante importanza. Si tratta di una fontanella
fatta realizzare dal vescovo Agazio De Somma (1591-1671) nel 1666 e dell’adiacente vasca,
popolarmente indicata come ’a gibbia ’e d’Aquinu, dal cognome del proprietario del fondo nel
quale la stessa era costruita. Quest’ultima fu restaurata nel 1858 per volontà del vescovo Raffaele
M. De Franco (1852-1883).
Sul frontespizio di ognuna i due prelati non hanno tralasciato di fare incassare il proprio stemma
vescovile e due distinte lastre di marmo con incisi i loro nomi e gli anni, diversi, di due interventi
di ristrutturazione.
Gli abitanti di Santa Maria in passato erano dediti in particolare alla pastorizia e all’agricoltura.
Qui si trovano i cascinali, affidati un tempo a coltivatori locali dai benestanti catanzaresi i quali vi
soggiornavano quasi esclusivamente in primavera. Per l’estate si trasferivano poi alla Marina.
Il soggiorno santamarioto risultava comunque il più gradito per via delle primizie che si potevano
gustare, dai fichi alle more di gelso, sino alle varie verdure, selvagge o coltivate.
C’erano poi i vermituri, ossia le prelibate lumache con l’opercolo, raccolte con la zappetta
durante il letargo. Queste a Santa Maria sono una vera specialità per via della natura argillosa dei
terreni che le rende particolarmente invitanti.
Altro fattore per il quale il soggiorno primaverile era più gradito di quello estivo dipendeva
dal fatto che il mare incuteva timore per via della diffusa credenza che chi si bagnava la testa con
l’acqua marina rischiava di perdere i capelli.
Santa Maria era quindi un popolato e operoso borgo al punto che tra la fine dell’Ottocento
e i primi del Novecento vi giunse manovalanza addetta al lavoro nei campi proveniente da ben
ventuno comuni della Provincia. Tra questi ricordiamo Isca, Stalettì, Caraffa, Badolato, Nicastro,
Borgia, Tiriolo. C’era pure una corposa comunità Rom impegnata in particolare nella lavorazione di
utensileria in ferro e nel commercio di bestiame.
Al posto dell’amato don Teodoro Diaco, che rappresentava un’istituzione per il territorio, fu
inviato nell’immediatezza della sua dipartita, senza alcun incarico ufficiale, il giovane economo
Teodoro Rigitano, nativo di Satriano.
Questi, portando una ventata di novità, si dimostrò un valente pastore capace di soddisfare
a pieno la comunità dei fedeli e facendo dimenticare, in particolare tra le giovani donne, il suo
predecessore.
Un gruppetto di pie donne si avvicinò un po’ troppo all’aitante prete facendone scaturire una
serie di dicerie. I pettegolezzi arrivarono sino alle orecchie del vescovo mons. Giovanni Fiorentino
il quale, tenendo probabilmente conto del detto popolare “canna senza ventu non si motica”, decretò
il tempestivo trasferimento di don Teodoro.
Era il mese di giugno 1941. L’economo Teodoro Rigitano finiva così la missione pastorale a
Santa Maria a soli sei mesi dal suo arrivo.
La parrocchia di Santa Maria Zarapoti veniva ora affidata a don Domenico Mazza, un ventiseienne
dal carattere forte nativo di Sersale, ordinato sacerdote nel 1939. Un altro giovane prete quindi ma
meno aitante del suo predecessore per via della bassa statura e del pancione da buongustaio.
Tale sostituzione non piacque a una parte di fedeli e in particolare a quel gruppetto di pie donne
particolarmente vicine al ben voluto don Teodoro Rigitano. La vita parrocchiale fu segnata in quel
momento da un’inevitabile scissione tra i fedeli.
Quanti erano dalla parte di Rigitano, al fine di far pressione sul vescovo per rivedere la
sua decisione, promossero una clamorosa protesta che da tanti non fu letta come segno di
riconoscimento e di stima verso il prete. Una protesta scaturita, in pieno regime fascista, in una
pubblica manifestazione ovviamente non autorizzata. Le accanite donne girovagavano nel quartiere
gridando: Ni nda jàmu chjazza chiazza, currìamu ’u previta Mazza, ni nda jàmu corzu corzu c’on
volìmu stu picozzu, viva ’u Ducia, viva ’u rRe, Riggitanu sta duv’è.
Furono informati i Carabinieri della caserma di Borgo i quali giunsero immediatamente sul posto e
le manifestanti, per via della loro caparbietà, furono fatte salire sulla camionetta e portate in caserma.
Durante il tragitto, le gonne e i tavoloni dove le donne erano sedute si bagnarono. Era… paura.
Colei che capitanava la protesta, piccula e mala cupata, deceduta pochi anni fa, raccontava
con dovizie di particolari l’evento e quell’indimenticabile trasbordo verso la caserma posta sotto
Bellavista.
Tornata la calma, nel 1942, il parroco don Mazza, si accaparrava la simpatia dei fedeli, facendo
giungere dall’Istituto Palazzolo di Bergamo tre suore delle Poverelle le quali venivano alloggiate in
una casa presa in fitto.
Per le loro attività di dopo-scuola, tempo libero e sostegno le suore utilizzavano la sacrestia
parrocchiale. Da allora le “Poverelle”, che ora vivono e operano in una “casa” molto diversa da
quella di un tempo, non hanno più lasciato il quartiere servendo con abnegazione tante generazioni.
La sommossa a favore di Rigitano era oramai storia passata. Don Mimì Mazza per oltre un
decennio continuò a prendersi cura del vasto territorio parrocchiale di Santa Maria, che comprendeva
anche quartieri limitrofi, dedicandosi nel contempo all’insegnamento.
La clamorosa protesta tutt’oggi è sulla bocca dei Santamarioti e i più grandi ricordano l’elenco
delle manifestanti.
Silvestro Bressi
(Nel ringraziare l’amico Silvestro Bressi per i suoi sempre interessanti contributi, frutto di
appassionate ricerche d’archivio che spesso ci partecipa, abbiamo il piacere di comunicare ai
nostri lettori che non lo sapessero che don Teodoro è stato mandato quale arciprete a Badolato,
dove rimase sino al Giovedì Santo del 1944. Come e perché ha lasciato questo paese, dove si
trovava bene, si può leggere a pag. 28 del n°3/1997 di questo periodico – Ndd)


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