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Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 5 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

UN FIUME CHIAMATO NEREO NEI PRESSI DI STALETTI'?

Letture: 1182               AUTORE: Lorenzo Viscido (Altri articoli dell'autore)        

Dissertando sulla cosiddetta “grotta di S. Gregorio”, che costituisce una delle meraviglie della zona marina di Stalettì, un certo Rosario Casalenuovo, secondo le cui illazioni da quella grotta “è nato il nome Italia”1, pochi anni fa ha scritto che lì vicino, “a qualche metro”, ci sono “le acque del vallone Vulcano, forse quelle del fiume Nereo citato da Cassiodoro” nel descrivere la sua Squillace2 (cfr. Var. XII, 15, 4: “Fruitur marinis quoque copiosa deliciis, dum possidet vicina quae nos fecimus claustra Neptunia: ad pedem siquidem Moscii montis saxorum visceribus excavatis fluenta Nerei gurgitis decenter immisimus, ubi agmen piscium sub libera captivitate ludentium et delectatione reficit animos et ammiratione mulcet optutus”).
Con tale asserzione il Casalenuovo dimostra che, oltre a non essere ferrato in campo mitologico, non conosce quelli che di solito vengono definiti “elementi di retorica”. Il nome Nereus, infatti, nome del figlio dell’Oceano, il dio marino, insomma, padre delle Nereidi, è impiegato nel passo cassiodoreo in forma metonimica per indicare il mare, un uso, questo, molto noto nella poesia latina3, a cui non di rado l’autore delle Variae attinge per le sue digressioni. Si tratta, dunque, di une delle tante “metonimie mitologiche” che Cassiodoro adopera per rendere elegante la sua prosa (cfr., ad es., Var. VIII 31, 5 “Ceres ibi multa fecunditate luxuriat: Pallas etiam non minima largitate congaudet”).
Se invece dovessimo ritenere attendibile quanto proposto dal Casalenuovo, ossia l’esistenza di un fiume chiamato Nereo nei pressi della “grotta di S. Gregorio” e, quindi, pure nei pressi del monastero “Vivariense” fondato da Cassiodoro, potremmo di conseguenza credere che, sebbene il ministro del re Teodorico si fosse adoperato per far costruire delle peschiere (tra gli scogli bagnati dal mare, perciò detti claustra Neptunia), egli vi avesse fatto immettere, tuttavia, acqua fluviale. Ma qual era la necessità di allevare dei pesci di fiume, ovvero d’acqua dolce, in vivai scavati fra gli scogli, tenuto conto che proprio nelle vicinanze di questi vivai scorreva il piscosus fiume Pellena, dove non sarebbe stato impossible pescare, ad es., tante trote o carpe (cfr. Cassiod., Inst. I, 29, 1 ss.: “Invitat vos locus Vivariensis monasterii ad multa peregrinis et egentibus praeparanda, quando habetis hortos irriguos et piscosi amnis Pellenae fluenta vicina...”)?
A parte, comunque, le osservazioni da me finora fatte, c’è un dettaglio che conferma che in quei vivai non poteva esserci acqua fluviale. Tracciando nel passo sopra riportato una descrizione della natia Squillace, Cassiodoro dichiara che la sua patria “gode anche, e in abbondanza, di squisitezze marine (marinis...deliciis)” e ne spiega il motivo con una proposizione causale introdotta, come spesso nel latino tardoantico, dalla congiunzione dum. Il motivo consiste nel fatto che non lontano da Squillace, nella sua zona costiera, esistevano claustra Neptunia, cioè vivai marini in cui, immessa ovviamente acqua di mare (fluenta Nerei), non potevano che esserci marinae...deliciae. Chi ha mai visto, infatti, una orata, un dentice o uno sgombro in peschiere d’acqua dolce?


1. R. CASALENUOVO, Dove nacque l’Italia. La grotta di “San Gregorio Taumaturgo”, un tempo di “Vulcano”, Roma 2001, p. 311.
2. Ibid.., p. 199.
3. Cfr. C.T. LEWIS and C. SHORT, A Latin Dictionary, rist, Oxford 1975, s.v. Nereus.


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