Data: 30/04/2019 - Anno: 25 - Numero: 1 - Pagina: 35 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti |
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Non è facile assegnare un posto alle ombre, questa notte. Provo a fare dopo una vita esercizi di presenza senza mia madre La notte è lunghissima, combattuta, crudele. Cammino nelle stanze e faccio attenzione ai rumori. Scendo le scale, accosto l’orecchio davanti alla stanza dove negli ultimi anni la notte mia madre e io affrontavamo la morte con l’aiuto degli avi defunti. La stanza è silenziosa, il lettino vuoto. Non devo più controllare i battiti del cuore mentre guardo se mamma dorme, sta male, sta andando via. Non ho più una mano da stringere, una mia voce che ripete “mamma bella”, una voce dolente che fa eco e dice: “figlio bello”, un cucchiaio d’acqua per bagnare le labbra con cura per non bagnare quel corpo di bambina fragile. Non mi arriva più - ma lo immagino e come se lo immagino! - un sorriso che mi faceva rinascere e mi diceva che ancora non era ora. Adesso che l’ora, invece, è arrivata ho nostalgia di quelle sveglie notturne, di quelle ansie disarmanti, di una stanchezza che diventava energia. Adesso che mia madre è andata via, come era insieme naturale e innaturale, inevitabile e crudele, il cuore batte per la sua assenza e il terrore si chiama vuoto, silenzio, paura della mia inadeguatezza. Salgo le scale, sconfitto, trattengo a fatica le lacrime, vado muto e nudo verso il balcone delle nuvole dei tramonti e delle albe. Cent’anni si solitudine, di gioia e di pena. Di fortuna e di dolore. L’alba questa mattina è insolita, inedita e indescrivibile come incubi crudeli e sogni impossibili. C’è il cielo basso che vuole salire in alto. Le nubi dense che lasciano spazio al sole che dallo Ionio è già arrivato sul Tirreno. Tutto sarà diverso, anche il paesaggio. Tutto dovrà avere un altro senso fino alla fine del mondo, del viaggio. Come dicevo ai miei figli per la morte di mio padre, là, in fondo, tra le nuvole, le nebbie, la luce c’è mia madre. Ricordo la notte in cui mi svegliai bambino e nonna e mamma erano andate nell’orto per prendere l’acqua. Ero nella casa della Cutura, mio padre a Toronto. Mi avvolse una grande paura e stavo cercando un urlo che non arrivava, e poi vidi in alto le stelle del mattino che mi incantarono e mi placarono. Sono invecchiato con la paura del bambino di un tempo, con lo sguardo alla ricerca della costellazione di Orione. Per non impazzire. Per andare avanti, per inventare un luogo in cui mamma continua ad abitare e ad esistere. La Madre, forse, non muore e torna anche in forma di Alba e riscalda, accende qualche fiammella, nell’anima, per quei figli che adesso, tardi, presto, troppo tardi, troppo presto, devono camminare da soli. Da soli o ancora con le mamme e con i padri e con tutti quelli che ci hanno accompagnato e abbiamo, forse, con amore accompagnato. Con quelli che ci stanno accanto nello splendido e inarrestabile succedersi delle stagioni, delle generazioni, delle età. Fino a quando questo mondo saprà continuare a vivere. (È il pianto amaro e grave, ma anche pacato e dolce di chi perde una persona cara, la più cara tra le persone che la vita ci assegna. Perciò trova spazio in questo “Periodico di Comunità” -così sempre definito dal professore Vito Teti- questo improvviso canto d’amore all’alba del primo giorno senza la mamma. All’amico professore, anche da queste colonne i sensi della nostra sentita partecipazione e il ringraziamento per averci consentito di partecipare ai nostri lettori il suo nobile sentire alla recente dipartita di sua madre. - Ndd) |