Data: 31/03/2003 - Anno: 9 - Numero: 1 - Pagina: 28 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
Letture: 1558
AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
I ragazzi di oggi, accovacciati qua e là nelle piazze o nei cantucci appartati delle proprie case e con il cellulare a portata di mano, affondano la loro attenzione negli SMS e nei giochi sempre più coinvolgenti che I TIM e altri offrono, al fine di carpire i loro ingenui pensieri. Il cellulare, appunto, avendo ormai sostituito vecchi e nuovi giochi, parrebbe ora voler offuscare ogni ricordo. Noi per non dimenticare vogliamo qui esaltare il vecchio caro “jo-jò”, uno dei più semplici e umili strumenti utilizzati per giocare. Da due pezzetti di tavola, spesso riciclati dalle cassette che contenevano “l’arènghi” (le aringhe), venivano ricavate due rotelline di 5 cm di diametro, ben rotonde e altrettanto ben levigate. Al centro di esse veniva praticato un piccolo foro dove s’inseriva un pezzetto di legno, facendo in modo che le due rotelle restassero incastrate e bloccate ad una distanza di 2-3 mm l’una dall’altra. Al legnetto, che fungeva da asse centrale, veniva annodato e avvolto uno spago lungo 60-70 cm, mentre l’altro capo rimaneva ben serrato fra le dita della mano che manteneva le rotelline. Liberando la presa, queste tendevano, con moderata velocità, a cadere fermandosi solo al termine del percorso obbligato dalla lunghezza dello spago. La brusca interruzione e lo scaltro contraccolpo dato dal giocatore, facevano sì che lo spago, come per magia, si riavvolgesse intorno allo stesso asse. Iniziava, così, il ritmato su e giù del “jo-jò”, per il passatempo e la gioia dei bambini. |