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Autore:Guerino Nisticò     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/09/2003 - Anno: 9 - Numero: 3 - Pagina: 37 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

VICÌNU MEU PRÒSSIMU MEU

Letture: 1518               AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)        

La conformazione di gran parte dei paesi collinari della Calabria, un tempo imponeva agli abitanti di vivere a stretto contatto con i propri vicini di casa, la cui immagine appare di frequente nei proverbi calabresi.
Generalmente la gente cercava di mantenere rapporti di cordialità con tutti, a maggior ragione con i vicini, considerando che in essi ci si rifletteva come in uno specchio (“Vicìni mei, specchiàli mei”) e che il vicinato era quasi come il parentado (“U vicinàtu è menzu parentàtu”). Gli atti di condivisione tra vicini di “ruga” erano spontanei, cordiali e frequenti e gli interventi a sostegno morale o materiale delle famiglie vicine di casa erano coinvolgenti e reciproci; non a caso si soleva dire: “Puru a rigìna ava bisògnu da vicìna” (Anche la regina ha bisogno della vicina); oppure: “Ahra vicìna da vicìna danci l’ovu cu a cucchjarìna” (Alla vicina della tua vicina offri l’uovo col cucchiaino); ed ancora: “’E Diu e de’ vicìni non si pota ambucciàra” (Da Dio e dai vicini non ci si può nascondere).
Al di là dell’innegabile senso di solidarietà sociale che aleggia nei proverbi citati, emerge la figura di una vicina a volte un po’ scomoda. Il fatto che ognuno nella “ruga” fosse a conoscenza delle abitudini e dei problemi altrui non consentiva di mantenere rapporti sempre idilliaci con i propri vicini con cui, anche per futili motivi si finiva per litigare, come testimonia il proverbio: “Cu’ si menta cu a vicìna o si mbriga o si rovìna” (Chi dà retta alla vicina o litiga o si rovina). Se poi la partecipazione affettiva alla vita di una famiglia vicina di casa diveniva invadente o era considerata tale, i litigi erano consistenti e soprattutto le donne si rinfacciavano vicendevolmente il bene profuso, inserendo nell’alterco proverbi del tipo: “Non fara bena ca ricìvi mala”.
Purtroppo anche la pietà per il prossimo, in caso di litigi, veniva meno, come testimonia il seguente proverbio improntato ad uno spietato egoismo ma chiaramente dettato dalla rabbia e dalla delusione: “Cu’ ava pietà da carna ’e l’attri a sua s’a màngianu i cana” (Se si ha pietà della carne altrui, la propria sarà sbranata dai cani).
Tra i tanti proverbi non mancano quelli in cui la vicina è vista come persona ambigua con cui conveniva mantenere rapporti cordiali ma da cui era bene cautelarsi. In pratica la strategia era la seguente: offrire alla vicina scomoda le cose migliori, allo scopo preciso di tenersela buona. (“Ahra mala vicìna a pitta [focaccia] cchjù bona”).
Alla luce dei proverbi analizzati, la vicina di casa di un tempo non presentava sempre le stesse caratteristiche in quanto il suo atteggiamento variava col variare delle situazioni contingenti; una cosa è certa: malgrado i risvolti negativi essa si configurava come una presenza sulla quale si poteva contare ed in quanto tale è nettamente preferibile alla figura della “vicina” del nostro tempo, contraddistinta dalla frettolosità, dalla convenzionalità e spesso dall’indifferenza.


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