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UN AFFRESCO: UN RECUPERO
Autore:Vincenzo Squillacioti     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/12/2023 - Anno: 29 - Numero: 3 - Pagina: 46 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

UN COMPLESSO MUSICALE DI “STRUMENTI A FIATO”

Letture: 110               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Chiese di varie epoche, a cominciare da quella della Sanità, se non è preceduta -come pare-
da quella di San Michele di cui rimane parte del rudere a Zangarsa. Di varia grandezza: dalla
più piccola, del Carmine, a quella di San Domenico, forse tra le più grandi della Calabria. Di
varia dotazione artistica, dalla più spoglia a quelle più ricche, come quella di San Domenico e
quella del Convento francescano di Santa Maria degli Angeli. E così via.
Per quanto ri
guarda il paesaggio,
il luogo su cui pog
gia la chiesa dalla
cupola ottagonale
dell’Immacolata è
tra i più belli che si
possono godere non
solo a Badolato,
specialmente se ad
ammirarlo ci si pone
all’altezza di Zan
garsa lungo la strada
provinciale che por
ta a Badolato Superiore, là dove sono realizzati alcuni rustici gazebi. Un paesaggio altrettanto
ampio ed eccezionale se ci si pone alle spalle della chiesa stessa, sul Bastione (dell’antica cinta
muraria), che in qualche modo la sovrasta consentendo di ammirare in particolare l’originale
cupola al centro di una vasta plaga territoriale verdeggiante e geomorfologicamente varia.
La chiesa dell’Immacolata è degna di ogni attenzione anche all’interno dove tra l’alto si
possono ammirare tre pregevoli tele di Antonio Ceravolo, noto pittore calabrese d’inizio No
vecento, e un’interessante Croce detta Aquinate formata su una parete con termini della lingua
latina disposti in modo particolare.
Eretta nel 1686 e restaurata nel 1859, molto probabilmente è stata convento dei Padri fran
cescani conventuali, e ancor prima uno dei tre Cenobi basiliani di cui scrive Padre Giovanni
Fiore da Cropani nella sua Della Calabria illustrata, opera ultimata, per sopravvenuto decesso
dell’Autore, dal Monaco Fra Domenico da Badolato.
Nei secoli è stata per motivi vari tra i luoghi di culto più frequentati in paese. Situata sulla
strada che portava dal crinale alla pianura e quindi alla marina, quasi una continuazione di
Corso Umberto I, vi passavano accanto centinaia e migliaia di contadini, al mattino di buon’o
ra e a sera dopo il tramonto. E per molti era occasione di breve sosta per pregare. “Chiudendo”
il paese ad Est, come San Domenico ad Ovest, era, insieme a San Nicola, la chiesa di tutta la
gente della Jusutèrra, che era circa il 30% della popolazione.
Non è mai stata Parrocchia (ce n’erano già quattro), ma ha sempre avuto una molto attiva
Confraternita ed un Sacerdote fisso per ogni festa, per ogni processione, per ogni rito. Per
lunghi decenni il Sacerdote che aveva cura della chiesa dell’Immacolata, oltre che la Parroc
chia di Santa Maria in Crignetto, è stato, a memoria d’uomo, don Nicola Cosenza (26.1.1877 - 4.1.1969), un uomo della media borghesia, un po’ in carne, claudicante ma con lo stridìo (u
cicatipù) alla scarpa che pretendeva dal suo calzolaio. Altro suo “pallino” l’amore per un ca
narino, unico in paese, che per lunghissimo tempo è stato prigioniero in gabbia al balcone di
casa sua, al Bastione, in vista della sua chiesa: le melodie di quel giallo volatile sono ancora
vive nelle mie orecchie in quanto mi capitava spesso, da bambino, di passare da quelle parti.
In Dicembre anche in quella chiesa si svolgeva l’usuale rito della Novena in preparazione
del Natale. I numerosi partecipanti erano quasi tutti contadini che anche in quelle giornate
si recavano a lavorare nei campi, motivo per cui la Novena aveva luogo molto presto, prima
dell’alzar del sole, con inizio quando ancora era buio chi vi andava soleva illuminare la strada
con torce realizzate usando varavàschji (tasso barbasso), immersi nell’olio d’oliva.
Il rito si componeva, ovviamente, anche di canti natalizi, in dialetto e in lingua italiana
quasi sempre contaminata, eseguiti quasi esclusivamente dalle donne, con “accompagnamen
to” musicale dell’armonium nelle chiese in cui c’era qualcuno che sapesse toccarne i tasti.
All’Immacolata l’armonium era muto, ma ci fu un periodo, intorno agli anni Cinquanta dello
scorso secolo, in cui la musica non è mancata: è stata garantita da un’orchestrina, di strumenti
a fiato, i sonànti, i pifferi rustici fatti in loco e rigorosamente a mano, ma con maestria tale da
ottenerne note che non avevano nulla da invidiare al piffero di lusso.
A volere l’originale orchestra, ovviamente il Prete don Nicola Cosenza che durante la Mes
sa della Novena disponeva l’intervento musicale tre volte, al suo cenno. I pezzi da eseguire
venivano preparati dagli “orchestrali” ma certamente concordati con don Nicola. A coordinare,
da provetto manager Giuseppe Lentini (Manganèhṛu), il più dinamico della Banda, tanto da
meritarsi dagli altri l’appellativo
di u trafficanti, aggettivo con cui
veniva indicato dagli amici anche
in anni successivi, in Germania
dove sono stati emigrati per un
certo periodo. Lui era il “maestri
no”. Chi erano gli altri suonatori,
(tutti dai 14 ai 17 anni) che allie
tavano la Novena di Natale alla
chiesa dell’Immacolata? Eccoli:
Camininiti Giuseppe, Capo
rale Bruno, Caporale Giorgio, Carnuccio Andrea, Criniti Giuseppe, Lanciano Giacomo,
Rudi Venanzio, Schiavone Domenico, Stefanelli Giacomo.
Un bel gruppo! Tutti della Jusutèrra. Tutti insieme per soddisfare un’esigenza pastorale del
loro Sacerdote, per sentirsi gruppo, per soddisfare l’inconsapevole esigenza di sentirsi parte
della Comunità. E tutti capaci di costruire con le proprie mani lo strumento della loro esaltante
esperienza musicale. Ma non li costruirono loro, si prese l’impegno un adulto pure lui della
Jusutèrra, il bovaro Giorgio Paparo, che, come ogni altro bovaro e pecoraio, nei tempi lunghi
in cui le bestie erano stravaccate a ruminare, realizzavano cucchiai per la cucina, forchette e
cucchiai magari per le casette di campagna, e altri oggettini utili come regali, e tra questi i
“sonànti”, rifiniti e belli a vedersi, ottimi nell’emissione e nella qualità delle note.
Non sappiamo quanto è stato in vita l’originale complesso musicale, forse pochi anni. Ma
esprimiamo soddisfazione per il godimento che abbiamo chiaramente avvertito nelle parole
dell’amico Peppino Caminiti -ormai non cattolico- nel parlarci di quella esaltante storia di
settanta anni fa. E noi lo ringraziamo anche per questa bella partecipazione.




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