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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 38 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

BADOLATO: CHE FARE? Il DOVERE DI NON TACERE

Letture: 985               AUTORE: Vito Teti (Altri articoli dell'autore)        

All’inizio di agosto Amerigo Cuglietta, giovane sindaco di Cleto, dopo aver preso visione di una relazione dell’Ufficio Tecnico del Comune, che dichiara inagibili tutte le strutture municipali, scrive sui giornali: `C7Siamo pronti, anzi costretti, a ricorrere alla sponsorizzazione privata per salvare il Comune. Sono pronto ad avere un municipio targato Pirelli, un asilo del Mulino Bianco oppure l’ex mattatoio della Simmenthal. L’alternativa a cui stiamo lavorando è la chiusura di tutti gli immobili comunali, comprese le scuole ed il Municipio`C8. L’ allarme ha il merito di mettere al centro dell’attenzione della stampa nazionale e locale il problema delle zone interne e montane, dei paesi a rischio spopolamento e in via di abbandono. Intervengo anch’io con due articoli su “Il Quotidiano”: scrivo, come faccio da anni, che non si può più stare silenziosi, indifferenti, apatici di fronte alla morte di tanti paesi calabresi.
Debbo affrontare una fastidiosa sensazione di “deja vu”. Da noi le cose rischiano di ripetersi all’infinito e tutto viene rinviato a domani. La mente vola, all’indietro (vent’anni e sembra ieri) quando Mimmo Lanciano, allora giovane intellettuale studioso di storia locale, lanciò la provocazione `C7Badolato paese in vendita`C8, nella speranza di arrestare un esodo che stava portando allo svuotamento e al degrado di uno dei più suggestivi e affascinanti paesi della Calabria. L’appello fece il giro del mondo, attirando giornalisti e televisioni, qualche agente immobiliare, società di albergatori e di costruttori. Da allora Badolato è rimasto, anche per altre ragioni (vedi l’arrivo dei Curdi e di profughi di altre parti del mondo), sulle pagine dei giornali nazionali ed europei, è uno dei luoghi calabresi più citati, più noti e più visitati. Vincenzo Squillacioti, con le sue ricerche e l’attività dell’Associazione “La Radice”, che pubblica uno dei più interessanti e originali giornali di comunità (“legando” le mille comunità di Badolato sparse nel mondo); Mimmo Lanciano, che non perde occasione per scrivere, parlare, di Badolato e della Calabria; Daniela Trapasso, con la sua attività all’interno del CIR; altri studiosi locali e non solo, con i loro scritti, hanno contribuito a tenere viva l’attenzione sul paese. Senza tante diverse operazioni tese a recuperare una memoria e a prospettare un possibile futuro, il destino di Badolato superiore sarebbe stato ancora più amaro e la stessa speranza di vita si sarebbe ridotta di molto.
Tanta attenzione mediatica, quella degli emigrati che tornano d’estate, l’arrivo di tanti “forestieri” che hanno acquistato casa nell’antico abitato non sono serviti, tuttavia, ad arrestare l’esodo degli abitanti, a frenare un processo di erosione e di svuotamento del paese. Vincenzo Squillacioti, con apprezzabile e puntuale tenacia, ricorda su “La Radice” come la popolazione realmente residente sia ormai inferiore ai 400 abitanti e come niente (media, Curdi, turisti, acquirenti di case, qualche progetto di recupero ecc.) abbia potuto invertire un processo che dura da decenni.
Quali le ragioni? Tante. Molte locali, molte generali. Non starò ad indicarle, non serve individuare responsabilità ed errori. Non faremmo un passo avanti. Segnalo che gli ultimi decenni non sono stati favorevoli alle zone interne, ai piccoli centri, alle culture locali. L’economia e la politica si sono rivolte altrove. Questi luoghi sono stati liquidati come arcaici, arretrati, improduttivi da logiche prevalentemente economicistiche, che hanno seguito modelli omologanti esterni. La politica regionale ha fatto il resto. Promesse, buone intenzioni, programmi elettorali a favore delle aree interne e dei piccoli comuni, ma niente di concreto e mai una vera convinzione della necessità di intervento mirato ed efficace. Gli amministratori locali (parlo per la Calabria in genere) hanno rinunciato a portare avanti reali progetti di mutamento, accontentandosi di piccoli favori, di qualche strada, di un po’ di cemento, di qualche forma di assistenza, di clientele che hanno fiaccato le popolazioni. Il risultato è che le Badolato si sono moltiplicate, sono nate le Cleto e tantissimi comuni interni vivono con la paura dell’abbandono.
Predrag Matvejevic ricorda che questa situazione di abbandono sconta problemi di ordine più generale. L’immagine che offre oggi il Mediterraneo, il mare nostrum, non è per nulla rassicurante. L’Unione europea, del resto, si è compiuta senza tener conto del Mediterraneo: un’Europa separata dalla `C7culla dell’Europa`C8. Le principali istituzioni europee sono quasi tutte collocate nell’Europa continentale (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo; anche la Banca europea si trova a Francoforte). I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano sempre con quelli del Sud. Il Mediterraneo, nota lo scrittore, si presenta come uno stato di cose, non riesce a diventare un vero progetto. Questo vale per l’Italia intera e per la Calabria in particolare. Egli sottolinea che un’identità dell’essere, forte e intensa nelle città sul mare, non riesce a trovare un’identità del fare conveniente e adeguata. La retrospettiva continua più di una volta ad avere la meglio sulla prospettiva.
Badolato, Nardodipace, Torre di Ruggiero, Cleto, tanti paesi dell’interno, rischiano di morire perchè, da noi, in alto e in basso, a livello regionale e a livello locale, il “parlare” prevale sempre sul “fare”, le analisi restano fine a se stesse, i progetti non vengono mai realizzati, la chiacchiera soffoca le iniziative. Proprio in una prospettiva del “fare” più che del parlare, mi sembra opportuno domandarci: 1. Siamo ancora in tempo a fare qualcosa per Badolato? 2. Cosa si può fare? 3. Chi debbono essere i protagonisti di una nuova cultura del “fare”. Le risposte sarebbero lunghe, problematiche. In maniera telegrafica, aperta e non definitiva, rispondo.
I giochi, per fortuna, non sono fatti. Non tutto è accaduto. Badolato ha speranza. Le sue chiese, le sue strade, i suoi palazzi, i suoi portali, oltre a costituire segni che comunque debbono essere guadagnati alla memoria, si prestano a molteplici iniziative di valorizzazione culturale, turistica e anche imprenditoriale. L’antico centro può vivere perchè molti dei suoi abitanti e tanti badolatesi vogliono che viva, mantenendo ancora uno stretto legame con il luogo. Il cimitero e le chiese, dove si svolgono i riti e le funzioni di una comunità allargata, dilatata, l’arrivo per la Settimana Santa e le feste estive di turisti, emigrati e forestieri, parlano di Badolato come di un paese ancora vivo. Non bisogna dimenticare, inoltre, che ciò che ieri era considerato marginale oggi sta assumendo un altro valore. I luoghi, i piccoli centri, i modelli e gli stili di vita “diversi” da quelli urbani (si pensi a un diverso senso del tempo, a beni immateriali come il silenzio ecc.) hanno un richiamo sorprendente, che potrebbe essere adeguatamente intercettato.
Si possono fare tante cose: iniziative turistiche, culturali e sociali che richiamino persone anche in maniera stabile. In Calabria non abbiamo ancora capito fino in fondo come l’emigrazione -da guardare non in maniera lacrimevole- possa costituire una grande risorsa. Molti discendenti di emigrati vorrebbero tornare nei paesi dei nonni e dei padri, ma spesso non lo fanno per mancanza di case e di strutture che possano accoglierli. Bisogna presentare progetti di “recupero”, fattibili, credibili, praticabili sempre individuati dai locali. Bisogna, però, abbandonare l’equivoco che si possa ripristinare il passato così com’era e che, peraltro, non sempre era edificante se è vero che tanta gente è andata via. Bisogna avere una nostalgia critica che guardi al presente, e non una nostalgia inautentica che rinchiude in un passato mitico e non fa comprendere i processi in atto. Il passato è una risorsa soltanto se lo sappiamo interrogare e se lo sappiamo far parlare alle persone di oggi. è necessario innovare, senza stravolgere, ma senza rimpianti sterili. Non ci sono “frutti puri” da conservare, ma nuove piante da far crescere in un terreno reso favorevole e coltivabile. In occasione della manifestazione di presentazione del mio libro (Il senso dei luoghi, Donzelli 2004), che si è svolta nella bellissima chiesa di S. Domenico), grazie agli amici de “La Radice”, accanto ad interventi appassionati, puntuali, problematici, abbiamo sentito qualche voce improntata a generica lamentela. Un emigrato al Nord rimproverava, sostanzialmente, i paesani rimasti di non avergli custodito il paese così com’era, come se il compito di chi è rimasto sia quello di mummificare un luogo per farlo trovare integro a chi ha fatto altre scelte di vita. A tanti emigrati, che certo parlano per amore del paese, di solito si risponde dai rimasti, senza appello, con l’accusa: “Perchè ve ne siete andati? Perchè tornate se non vi piace”. Queste dispute, queste “querelles” tra rimasti e partiti sono deleterie, non hanno senso, non portano da nessuna parte. Viviamo in un mondo aperto, che deve saper fare i conti con gente che arriva da fuori, e bisogna accettare l’idea che non esiste un solo modo di essere calabrese o badolatese, ma esistono tanti modi, ugualmente legittimi, di manifestare il legame, l’amore, l’attaccamento ai luoghi. Ognuno può concorrere alla creazione di una nuova Badolato dal posto in cui si trova, da Badolato Marina o da Torino, dalla Germania o dagli Stati Uniti. Occorre creare reti, dialoghi, scambi e non nuove separatezze. Bisogna capire anche che Badolato non è un caso isolato. Mille paesi in abbandono esistono in Calabria, al Sud, in Trentino, in Liguria, in Piemonte, in Spagna. Non si affrontano i problemi isolatamente. Non si progetta soltanto per la propria grande piccola patria. è necessario collegarsi ad altri comuni, vicini e lontani, dialogare con l’esterno, inventarsi legami, progettare insieme agli altri.
I protagonisti di questo “fare”, di progetti di recupero e di iniziative che guardino avanti e non all’indietro, non possono che essere i locali, la pubblica amministrazione, i circoli, la parrocchia, le associazioni, gli artigiani, i commercianti, i professionisti, gli intellettuali, i giovani. Ci sono processi, però, che debbono essere guidati, organizzati, gestiti localmente. Le cose non debbono accadere “a casaccio” e non tutte le iniziative sono buone, non tutti i movimenti creano vita. Tutti dovrebbero cercare e trovare ragioni nuove, oltre a quelle antiche, per stare assieme con piacere e “felicità”, creando nuove economie, affermando nuove socialità, stabilendo nuovi legami tra l’antico e il nuovo abitato, tra le Badolato di qui e quelle di fuori, tra anziani e giovani generazioni. Bisogna inventare dal basso iniziative e movimenti che spingano la politica, quella regionale e locale, a dare risposte, a suggerire soluzioni. La forza e il potere dei luoghi deriva, oltre che dalla loro storia e dal loro passato, dalla capacità di proporre cose nuove, di legarsi ad altri luoghi, di dare nuovo senso alle cose, al paesaggio, all’ambiente, alle persone, di fondare un senso dell’appartenenza aperto, dinamico, problematico. Mi rendo conto che tutto questo non è facile. Occorre che qualcuno dia la spinta, servono fantasia e inventiva, coraggio e anche autentico amore per il luogo. Se in questa sede, nell’occasione del ventennale di un grande grido di dolore e di speranza, ci troviamo a parlare ancora vuol dire che molto si può fare, anche, come vuole Mimmo Lanciano, senza “venderci” e, soprattutto, senza svenderci. Se in questa occasione ho fatto proposte concrete, è perchè avverto la responsabilità di intellettuale che non può tacere su problemi così cruciali. Ho fatto qualche considerazione che va discussa, approfondita, criticata, messa in confronto con altre anche perchè, in qualche modo, sento di appartenere a questa comunità perchè Badolato (per me contano molto anche i rapporti di amicizia e di stima con tanti badolatesi che amano in maniera non banale e non effimera il loro paese) fa parte della mia geografia mentale ed esistenziale, è anche un mio luogo dell’anima.


Vito Teti * Docente di Etnologia
Direttore del Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo dell’UNICAL


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