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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/03/2004 - Anno: 10 - Numero: 1 - Pagina: 6 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

CHE DIALETTO È?

Letture: 1408               AUTORE: Ulderico Nisticò (Altri articoli dell'autore)        

I dialetti calabresi, come tutto ciò che calabrese è, non godono di grande stima agli occhi del mondo; e nemmeno sono stati studiati a fondo, se non in senso descrittivo. E dico i dialetti, intanto perché è nell’esperienza comune che le parlate di due paesi molto vicini possono essere assai diverse non solo per fonetica, ma persino per vocabolario e sintassi; e perché le Calabrie, a sud e nord del Neto, oggi dell’Istmo, presentano due dialetti di natura e struttura dissimili, e, come è agevole dimostrare, di origine e derivazione tutt’altro che unica.
I dialetti diciamo così settentrionali sono vicini a quelli italici del Meridione e del Centro fino alla Maremma. Lo sono per fonetica (quanne, palomme, assimilazione per quando e colomba); e per grammatica e sintassi, in particolare per l’uso del passato prossimo e assenza di quello remoto: aju fattu, aju jutu, e per l’uso del congiuntivo e del condizionale: avissa fattu, facèra.
I dialetti meridionali, i nostri, conservano distinte le consonanti: quandu, palumba; usano solo il passato remoto: hìcia, jia, che non è il perfetto latino, come si crede, ma l’aoristo greco-bizantino; e ignorano congiuntivo e condizionale: si sapìa, dicìa, o pemmu jia, anche questi costrutti greci o neogreci.
Quanto al vocabolario, a nord e a sud esso è in massima parte neolatino, derivato dalla lunga fase di trasformazione del tardo latino in italiano propriamente detto. È notevole la conservazione di parole greche, relitti di una grecità assai diffusa, ma esse affiorano di tanto in tanto, nella completa inconsapevolezza di chi le usa: khalona, ospria, agriommalu, rema, fanò, mirò, nòsimu, lippu, limbò, afra, kheru, muccu, rahu, ‘mbrachatu, ‘mpaticara, basilicò, Borra, calomma, camatru, càntaru, carcara, carusara, catarratu, catojiu, chicara, chippa, cianu, ciaramida, crisia, fera, folea, fraia praia, frinegli, giappi, hiasmu, làpparu, lìfantu, limba , linduni, liona, litra, ‘mbunnara, misali, naca, nacàtula, ‘nta, papatulu, pappù, paranomi, pilacchi, prèvita, rizza, scifu, scifuni, scinu, spidhussi, sponza, stracu, tiana, timpagnu, tribu, tripi, trupìa, vastasu, velìs belìs velis vedhusa... Moltissimi i toponimi: Catanzaro, Davoli, Vrisi, Spìlinga, Pìlinga, Pilìnga, Stratò, Cona... E innumerevoli i cognomi greci: Macrì, Nisticò, Scianò, Fragalà, Vavalà, Paravati, Papa, Papandrea, Papagiorgio, Fragomeni, Fera, Carioti, Caristo, Femia...
Curiosi sono alcuni termini misti: katanannu, katamisi..., e il suffisso -oti, -iti inteso come di appartenenza, e usato anche per creare nuovi termini, come lo scherzoso Svizzeroti per indicare gli emigrati.
Più rari i francesismi, alcuni moderni: brocca, bruvera, buatta, buffetta, comuna, cupara, custureri, gattujjiara, giugnettu, guccieri, gujjia aguglia, maccaturi, maddamma, mamma ‘ranna, missèri-ma, morzerhu, morzu, munzerhu, ‘ndujjia, perciara, putiha, racina, ruga, sciampagnuni, taccia, truscia, tuppu, viatu, vrenna...
Si sta diffondendo un dialetto nuovo, fatto di italianismi (‘a machina), e persino di americanismi (‘a jarda, u bossu), attraverso i quali nei nostri dialetti penetra la contemporanea tecnologia.
Il dialetto, grazie a Dio, lo parliamo tutti. Magari non sappiamo più dire cavadhu con la cacuminale invertita, ma tutti, dotti compresi, ci svaghiamo a ripetere, con finto pessimismo, che
cu è destinatu u moru a lu scuru,
avojjia u si hacia mastru candilaru!


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