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Autore:Anonimo     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/04/2014 - Anno: 20 - Numero: 1 - Pagina: 22 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

IL RITORNO DEI CERTOSINI IN CALABRIA (27 febbraio 1514) E I TORALDO

Letture: 1138               AUTORE: Rocco Codispoti (Altri articoli dell'autore)        


È nell’anno 1487 che rinasce l’interesse dell’Ordine Certosino per il recupero della Casa di S.
Stefano del Bosco, in Calabria, per opera di Padre Urbano da Cipro, nello stesso anno in cui diventa
Priore di S. Martino, presso Napoli. Fin d’allora, la Casa di S. Stefano era proprietà dei
Cisterciensi, e amministrata dall’anno 1484 dall’Abate Pandolfo di Foligno.
L’Abate Cisterciense dovette più volte difendere le proprietà della Casa di S. Stefano dal tentativo
di occupazione dai Signorotti vicini o dagli Ufficiali del Re del Regno di Napoli.
Le difficoltà incontrate nella gestione dei beni della Casa e le condizioni di degrado in cui
versava, inducono l’Abate Pandolfo di Foligno, nell’anno 1496, a informare dello stato dei fatti
il Padre Priore della Casa di Grenoble e il Padre Generale dell’Ordine Certosino, P. D. Pietro
Ruffo, che accolse favorevolmente l’apertura, per il ritorno all’Ordine Certosino della Casa di
S. Stefano.
All’interno dell’Ordine la questione si discusse nei due Capitoli Generali tenuti negli anni 1487
e 1497. Nei documenti prodotti, nel primo in seguito alla conferma del Priore di S. Martino, si
legge: “abbia cura che la Casa di S. Stefano del Bosco venga restituita all’Ordine”; nel secondo
dell’anno 1497, si legge: “Comunichiamo a tutti i membri dell’Ordine che stiamo per recuperare,
col favore della clemenza divina, il monastero di Santo Stefano del Bosco in Calabria, dove riposa
il santissimo corpo nel nostro Padre Bruno”.
Nell’anno 1503 venne a mancare Padre Dom Pietro Ruffo, Priore dell’Eremo di Grenoble e
Generale Ministro dell’Ordine Cartusiano, al suo posto fu eletto Padre Dom Francesco Du Puy, il
quale proseguì il lavoro di recupero della Casa di S. Stefano del Bosco, tanto da tenere nell’anno
1504 un Capitolo Generale privato, nel quale ottenne il consenso da parte di tutti i priori.
Intanto, nell’anno 1505 circa, a dare nuovo impulso alla cosa avvenne il ritrovamento dei resti
mortali di S. Bruno e del Beato Lanuino, da parte di Antonio de Sabinis, gentiluomo di Stilo, che
ottenne in subaffitto dall’attuale commendatario dell’Abbazia di S. Stefano, Mons. Evangelista
Tornafranza, che sostituì il Pandolfo da Foligno, che a causa di una serie di problematiche che stavano
portandolo all’arresto, dovette interrompere il suo impegno nelle trattative per il ritorno alla
chiesa di S. Stefano ai Certosini.
Ivi nella contemporanea al nostro Brunone, Chiesetta del Titolo di S. Maria della Torre, ossia
di S. Maria del Bosco facendovi le più esatte diligenze, fu così fortunato, che alla fine dietro
l’Altare in dove ancora oggi giorno s’osserva il vano a modo di tutmuletto, vi rinvenne nascose
due cassettine, una separata dall’altra.
Nella prima vi si leggeva: Queste son l’ossa del B. P. N. Maestro Brunone.
E nella seconda: Queste son l’ossa del B. P. N. Maestro Lanuino.
Onde non potendosi più tenere celate, tali quali vennero decentemente traslate, collocate nella
Casa, ora Certosa di S. Stefano, la seconda feria dopo la Pentecoste, non senza un gran concorso
di popolo.
E da ciò ebbe origine la perdonanza, e coll’andar degli anni la gran Fiera che ogni anno in
tal ricorrenza si celebra.
Lettura da: F1. pag. 272.
Ferdinando III d’Aragona, diventa Re di Napoli nell’anno 1506, e il P. Priore di S. Martino,
conoscendo l’amore che il Re portava verso i Certosini, lo avvisò sulla questione del recupero
della Casa di S. Stefano.
Il Re diede la sua totale disponibilità, avvisando i suoi ministri di sostenere con ogni mezzo
tale progetto, in particolare nell’anno 1507 incarica il da poco nominato Vicerè, Giovanni
D’Aragona, a seguire direttamente la questione.
Con la morte nel 1508 dell’abate Pandolfo De Sabinis, la Casa di S. Stefano passa in commenda
al Cardinale Luigi d’Aragona, Vescovo di Aversa.
Intanto Dom Jacopo d’Aragona viene eletto Priore della Certosa di S. Martino in Napoli nell’anno
1512, e interviene presso suo cugino, Cardinal d’Aragona e Commendatario della Casa di
Santo Stefano, per il recupero del possesso dell’Ordine la Casa di S. Stefano del Bosco, in
Calabria, il quale consegna liberamente nell’anno 1513 la Badia di S. Stefano del Bosco al
Pontefice che si operò a riconsegnarla all’Ordine Certosino.
L’intervento del pontefice si concretizza con la Bolla del 16 Dicembre del 1513, Papa Leone X concede
la Casa di S. Stefano all’Ordine Certosino; una seconda Bolla viene indirizzata ai Vassalli e
Diocesani della Casa di S. Stefano, nella quale si spiegano i motivi della soppressione del Monastero
Cisterciense in favore di quello Certosino; una Terza Bolla è invece indirizzata all’Ordine Certosino.
Ottenuta la documentazione pontificia, viene completato l’iter per l’espletamento delle richieste
per il Regio Beneplacito, che giunge non prima del 4 febbraio 1514.
L’Exequatur regio in esecuzione delle Bolle pontificie emanate dal Papa, l’anno precedente,
indirizzato a:
Mons. Vincenzo Galeota, Vescovo di Squillace; D. Adamo Toraldo, Barone di Badolato e fratello
di Padre Dom Martino, procuratore della Certosa di S. Martino, in Napoli; ad altri Baroni
vicini alle proprietà della Casa di S. Stefano.
Avuto notificato anche l’Exequatur regio, si provvide ad avvisare i RR. PP. Commissari, i
quali, partiti da Napoli, si ritrovarono non senza difficoltà incontrate durante il cammino, tutti
insieme il 27 febbraio nella Casa di S. Stefano.
Il gruppo dei Commissari era composto da:
P. D. Jacopo d’Aragona Napolitano, Priore di S. Martino’, P. D. Pietro de Riccardis Acerrano,
Priore di Chiaromonte.
Cinque religiosi sacerdoti, cioè:
il P. D. Filippo Verolano, monaco professo di Trivulti;
il P. D. Martino Toraldi, monaco e procuratore di S. Martino;
il P. D. Michele Praz, Rovilora da Barcellona, monaco parimente della casa di Napoli;
il P. D. Gio: de Stefanis Valenziano, monaco professo di Capri;
ed il P. D. Vincenzo Conte da Senisi, monaco professo di S. Nicolò di Chiaromonte.
Due soli fratelli conversi:
Fra Girolamo Vicentino dalla Padula,
Fra Michele Ferrarese da Chiaromonte.
Il Barone di Badolato Adamo Toraldi, e suo fratello Alfonso Toraldi, con molti altri così nobili, che
civili, notai, e testimoni. Per avvisarli del loro arrivo i RR. PP. Certosini, mandarono un loro inviato.
I PP. Cisterciensi, organizzatisi, allora gli andarono incontro processionalmente, con la Croce,
accompagnati dal suono delle campane.
Dopo i saluti di rito, disponendosi in fila in preghiera insieme si avviarono verso il monastero.
Ormai dentro il Monastero, i RR. PP. Certosini esposero la loro causa, accompagnandola
con la presentazione delle Bolle pontificie, e visitando i vari ambienti dell’attuale struttura
monastica; ne presero dunque possesso, con Atto pubblico stipulato dal Notaio apostolico
Jacobello Papaleo di Badolato nello stesso giorno del loro arrivo, vidimato da vari gentiluomini
presenti all’evento.


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