Data: 31/12/2006 - Anno: 12 - Numero: 4 - Pagina: 43 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
IL COSTO DEL FIGLIO MASCHIO |
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AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)
Secondo l’antica cultura meridionale, ancorata alle vecchie tradizioni, soggetta a leggi arcaiche e all’osservanza di tabù, la figura maschile ha assunto un ruolo predominante rispetto a quella femminile. Per secoli i vecchi modelli dell’uomo leader, del marito e padre-padrone hanno fatto il bello e il cattivo tempo e il culto del “maschio di casa” tramandato di generazione in generazione ha raggiunto proporzioni tali da assurgere quasi a legge di natura. è universalmente risaputo, invece, che tra l’uomo e la donna non esistono differenze che possono giustificare una qualsiasi superiorità dell’uno rispetto all’altra e viceversa e che un individuo può distinguersi dall’altro solo in virtù di particolari capacità ed attitudini. Ad un’analisi superficiale si potrebbe riscontrare una maggiore energia fisica dell’uomo, peraltro non codificata; ma la storia ci insegna come la presunta debolezza della donna venga messa da parte nei momenti di emergenza, e che, quando le condizioni lo impongono, essa può impegnarsi ad un livello identico a quello del cosiddetto “sesso forte”. Basti pensare ai lavori svolti dalle donne nel periodo della prima guerra mondiale; non parliamo poi della lotta intrapresa per la conquista dei diritti politici e sociali o dei ruoli di prestigio assunti dall’elemento femminile, che hanno contribuito in maniera decisiva a segnare tappe importanti per lo sviluppo della ricerca in ogni settore della scienza e della tecnica. Ma questo i nostri antenati non potevano minimamente supporlo! Ecco perchè erano soliti esclamare a seconda delle occasioni: “Na nottàta ’e dolùri pe na figghja fìmmana!” (Dopo una notte di dolore nasce una femmina!). Oppure: “Nda vola nu figghju màsculu!” (Pretende il valore di un figlio maschio). Il primo detto sta ad indicare il senso di grande delusione, dopo una notte di ansia e di aspettativa, per la nascita di una femminuccia; il secondo dà per scontata la grande importanza del figlio maschio. Il motivo per cui i nostri avi ci tenevano tanto ad avere in casa dei figli più che delle figlie era fondamentalmente uno e di tipo economico; almeno nelle famiglie umili dove la forza delle braccia, ritenuta tipica dell’uomo, era necessaria in molte attività lavorative. Nelle famiglie blasonate, invece, dove vigeva la legge feudale del maggiorascato, il primogenito aveva il compito specifico di tramandare il nome del casato e perciò ereditava tutti i beni di famiglia, a discapito degli altri figli maschi, spesso costretti a fare i cavalieri erranti e delle femmine che venivano rinchiuse in convento. Generalmente la donna era nata per stare in casa, dedita alle faccende domestiche, in realtà alla conduzione di un’intera famiglia patriarcale, alla cura dei figli e degli anziani e, se necessario, dava anche il suo aiuto nel lavoro dei campi e non solo. Eppure un altro antico proverbio recitava: “All’omu a scupètta, ahr1a fìmmana a carzètta”, quasi a delimitare, in effetti a sminuire, il ruolo della donna in seno alla famiglia. (All’uomo il fucile in spalla, alla donna i ferri per fare la calza.). Ma c’è di più: la donna era ritenuta fonte di spesa nell’ambito della famiglia e talvolta di indebitamento, considerando la dote per la quale occorreva risparmiare fin da quando era ancora in fasce. Una figlia era considerata pertanto elemento scomodo se non addirittura un peso; accolta fin dalla nascita con disappunto, a differenza del maschio, ritenuto capace di lavorare e di guadagnare in modo più vistoso, considerato il solo che potesse assumere ruoli importanti nella società e di dominare con la sua “figura virile” moglie e figli. Alla luce di tali considerazioni del tutto gratuite, poi smentite nel corso dei secoli, un figlio maschio non poteva che valere moltissimo e quando nelle più svariate circostanze venivano avanzate richieste esose e comunque pesanti da soddisfare, si soleva dire che veniva richiesto... un figlio maschio. |