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Autore:Mario Ruggero Gallelli     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/09/2006 - Anno: 12 - Numero: 3 - Pagina: 24 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

SILENZI

Letture: 951               AUTORE: Caterina Guarna (Altri articoli dell'autore)        

Mi aggiro per i vicoli del paese, tornati silenziosi ai primi di settembre, con la partenza degli ultimi turisti e villeggianti. Da una finestra si odono le voci familiari del dialetto, di chi vive qui tutto l’anno, pochi, e sempre meno. Alcune case, che portano i segni di un recente restauro, si riapriranno e riprenderanno vita al ritorno della prossima effimera stagione estiva. Molte sono ancora in stato di abbandono, quasi in rovina, ma conservano i segni di un vissuto non troppo lontano, e sono belle, nella loro semplicità, non ancora alterata. Mi viene da pensare che paradossalmente l’abbandono del paese ha segnato anche la sua salvezza, dal punto di vista architettonico e urbanistico, diversamente da tanti altri paesi dell’interno che sono stati stravolti dalle esigenze, pure legittime, di chi ha continuato ad abitarli, di riadattare le vecchie case ad un vivere più confortevole.
Interrogando amici o conoscenti che hanno deciso di comprare casa a Badolato, noto che sono attratti dalla bellezza dei luoghi e dal fascino dell’“antico”; ma è la dimensione del silenzio che li attira e colpisce di più, come un bene sempre più raro in un mondo di suoni e rumori che dappertutto ci assalgono, quasi ad impedirci di pensare.
Il silenzio come “vacuum”, vuoto, per lasciare spaziare i pensieri nei giorni di ozio, di vacanza dagli impegni quotidiani.
Ma il silenzio può anche essere indice di assenza, di mancanza. Provo ad immaginare quali dovevano essere i suoni che echeggiavano nei vicoli che sto percorrendo con l’aiuto dei ricordi della mia infanzia: i colpi sul ferro della forgia, il ritmo regolare del telaio, il frusciare della sega del falegname, il battere del martello del calzolaio o quello più acuto dello scalpellino; e poi in sottofondo il belato dei capretti e il chiocciare delle galline o, all’improvviso, il grido fortissimo del maiale che presentiva il macello... I suoni del lavoro, spesso della fatica, tutti scomparsi come è scomparso quel mondo di artigiani e di contadini.
E il vociare dei bambini, tanti, che si rincorrevano nelle piazzette e nei vicoli...
E allora, pur rallegrandomi che le case vengano sottratte all’abbandono e alla rovina e restaurate con cura e attenzione e che il borgo riviva almeno per una stagione all’anno, mi pervade una sottile malinconia, e un timore, che anche Badolato possa diventare, nel suo piccolo, quello che sta diventando Venezia: un luogo destinato a vivere per e di turismo, ma svuotandosi via via dei propri abitanti.
Evitare che ciò avvenga può essere l’impegno di chi ci è nato, di chi come me vi fa ritorno per ritrovare le proprie radici, di chi ha il compito di amministrare, perchè, come benissimo dice Vito Teti nel capitolo dedicato a Badolato nel suo bellissimo volume “Il senso dei luoghi”, “...non è bello parlare di vendita di un paese e comunque anche se si vendessero le case non si potrebbero cancellare le trame, i sentimenti, le storie, le emozioni, i dolori, gli affetti che quelle case e quelle pietre hanno accolto.”

Caterina Guarna * Docente di Lettere in pensione


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