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Data: 31/12/2009 - Anno: 15 - Numero: 3 - Pagina: 52 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

U GABBU COGGHJAA JESTÌMA NO

Letture: 3433               AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)        


Gabbu e jestìma sono due termini molto in uso nel linguaggio dialettale, citati spesso nei
proverbi calabresi. Gabbo, in lingua italiana sta per beffa, derisione, mentre in dialetto assume un
significato diverso che esprime meraviglia e si esplica con giudizi negativi e maldicenza, difatti
l’espressione “mi fazzu gabbu” è usata ancora oggi nel senso di “rimango scandalizzato” per un
presunto indecente comportamento di qualcuno.
Il gabbo produce sempre del male, spesso mina l’onorabilità di chi ne è colpito ed è opinione
comune che prima o poi si ritorce su colui che lo prova, come spiegano i seguenti proverbi: “U gabbu
ahra! casa torna” (Il gabbo ricade sulla propria casa); “Cu’ si facia gabbu ’e l’attri u soi prestu nci
vena” (Chi si scandalizza del comportamento altrui sarà anch’egli esposto a ciò).
La jestìma, invece, è una vera e propria invettiva, un anatema contro persone verso cui non si
nutre sicuramente benevolenza. Pare tuttavia che essa, a differenza del gabbo, non abbia il potere di
colpire, come si deduce da un proverbio ancora in uso che recita così: “U gabbu cogghja, a jestìma
no”; anzi è credenza popolare che le imprecazioni pronunciate per invidia producano l’effetto
contrario. A riprova di ciò si diceva un tempo: “Ahru! cavàhru! jestimàtu nci lùcia u pilu”, e cioè: “Al
cavallo maledetto il pelo diventa più lucido di prima”. Forse, affermando l’impotenza dell’invettiva,
si cercava di esorcizzarla nel modo più immediato possibile.
Altri proverbi sostengono addirittura che la maledizione ricade anch’essa su chi la pronuncia; i
più significativi sono i seguenti: “Li jestìmi su’ comu li fogghj, cu’ li manda li ricògghj” (Gli
anatemi sono come le foglie, chi le manda in giro li riporta a sé); “Li jestìmi su’ di canìgghja, cu’ li
manda si li pigghja” (Le imprecazioni sono fatte di crusca e ricadono su chi le invia).
Per fortuna c’è chi non è sempre pronto a condannare i difetti altrui, e quando succede
qualcosa di anomalo o di imprevisto al suo prossimo, immedesimandosi con umiltà e comprensione
nel problema, si limita ad esclamare: “Fora gabbu e fora meravìgghja”, ossia “Non è proprio il
caso di scandalizzarsi per un fatto che potrebbe capitare anche a me”.


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