Data: 31/12/2009 - Anno: 15 - Numero: 3 - Pagina: 52 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
U GABBU COGGHJAA JESTÌMA NO |
|
Letture: 619
AUTORE: Giovanna Durante (Altri articoli dell'autore)
Gabbu e jestìma sono due termini molto in uso nel linguaggio dialettale, citati spesso nei proverbi calabresi. Gabbo, in lingua italiana sta per beffa, derisione, mentre in dialetto assume un significato diverso che esprime meraviglia e si esplica con giudizi negativi e maldicenza, difatti lespressione mi fazzu gabbu è usata ancora oggi nel senso di rimango scandalizzato per un presunto indecente comportamento di qualcuno. Il gabbo produce sempre del male, spesso mina lonorabilità di chi ne è colpito ed è opinione comune che prima o poi si ritorce su colui che lo prova, come spiegano i seguenti proverbi: U gabbu ahra! casa torna (Il gabbo ricade sulla propria casa); Cu si facia gabbu e lattri u soi prestu nci vena (Chi si scandalizza del comportamento altrui sarà anchegli esposto a ciò). La jestìma, invece, è una vera e propria invettiva, un anatema contro persone verso cui non si nutre sicuramente benevolenza. Pare tuttavia che essa, a differenza del gabbo, non abbia il potere di colpire, come si deduce da un proverbio ancora in uso che recita così: U gabbu cogghja, a jestìma no; anzi è credenza popolare che le imprecazioni pronunciate per invidia producano leffetto contrario. A riprova di ciò si diceva un tempo: Ahru! cavàhru! jestimàtu nci lùcia u pilu, e cioè: Al cavallo maledetto il pelo diventa più lucido di prima. Forse, affermando limpotenza dellinvettiva, si cercava di esorcizzarla nel modo più immediato possibile. Altri proverbi sostengono addirittura che la maledizione ricade anchessa su chi la pronuncia; i più significativi sono i seguenti: Li jestìmi su comu li fogghj, cu li manda li ricògghj (Gli anatemi sono come le foglie, chi le manda in giro li riporta a sé); Li jestìmi su di canìgghja, cu li manda si li pigghja (Le imprecazioni sono fatte di crusca e ricadono su chi le invia). Per fortuna cè chi non è sempre pronto a condannare i difetti altrui, e quando succede qualcosa di anomalo o di imprevisto al suo prossimo, immedesimandosi con umiltà e comprensione nel problema, si limita ad esclamare: Fora gabbu e fora meravìgghja, ossia Non è proprio il caso di scandalizzarsi per un fatto che potrebbe capitare anche a me. |