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L’ETNOGRAFA GIOVANNA MARINI E LA SUA SCUOLA PER UNA SETTIMANA DI STUDIO A BADOLATO E RIACE
Autore:Guerino Nisticò     Data: 30/04/2019  
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Data: 31/08/2015 - Anno: 21 - Numero: 2 - Pagina: 15 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

UNA ECONOMIA SCOMPARSA

Letture: 161               AUTORE: Giuseppe Parretta (Altri articoli dell'autore)        

Anche Badolato aveva una economia che consentiva ai suoi abitanti di condurre una vita,
se non proprio dignitosa, almeno di sopravvivenza per il ceto meno agiato. È vero, non c’erano
imprese tali da potersi fregiare con il nome di industrie, ma c’erano tante piccole attività
agricole, artigianali, commerciali da far invidia ai paesi vicini. Non parlerò delle forge, dei
numerosi telai, della centrale idroelettrica, o dei mulini ad acqua, né dell’allevamento del baco
da seta ma di una branca dell’agricoltura: la produzione delle pesche.
Badolato, per la sua naturale posizione collinare che si affaccia sul mare Ionio, è ricca
di corsi d’acqua (come il Vodà al centro del territorio badolatese, il Ponzo che a sud fa da
confine con il territorio del paese di Santa Caterina, il Gallipari che a Nord fa da confine con
il territorio di Isca), che noi Badolatesi chiamiamo fiumi, ma che in realtà sono torrenti e poi
altri numerosi ruscelli che permettevano una buona irrigazione lungo il loro corso. Agrumeti e
pescheti hanno preso il sopravvento in buona parte del territorio irrigabile. LE PESCHE, che
chiamavamo pèrzica, di una qualità pregiata, di buona pezzatura, dolce profumata, resistente
agli urti e con maturazione in Agosto - Settembre, erano molto ricercate nei mercati italiani.
Sorse così in Badolato una fiorente attività commerciale. I contadini con i loro asini, ciascuno
con due gerle legate al basto e le donne con una capiente cesta sulla testa, portavano le pesche
da vendere ai punti di raccolta di loro gradimento. Alcuni si trovavano nei pressi della stazione
di Badolato dove era efficiente lo scalo merci. La parola SCALO nel gergo badolatese è
divenuta SCARU. U scaru era quindi un punto di raccolta delle pesche.
Uno dei commercianti molto noto era don Ciccio Pultrone che aveva un piccolo emporio
in Badolato, ma nel periodo di maturazione delle pesche si dedicava al commercio di questo
prelibato frutto. Pultrone aveva due centri di raccolta: uno ubicato nel palazzo del barone
Paparo dove oggi c’è il bar centrale ed il tabacchino e un altro nei pressi delle sponde del
torrente Ponzo che affidava, per la gestione, a Vincenzo Cossari detto Cenzu ’e Gioia. Un altro
commerciante era don Micu De Rosi, che pur avendo un negozio di tessuti non disdegnava di
dedicarsi anche a questa attività. Anch’egli aveva due punti di raccolta: uno era situato dove
oggi c’è la pescheria e l’altro a Rosàcina. Lavorava con lui Pasquale ’e Cciccuesanta. C’erano
ancora altri due punti di raccolta importanti: uno dove ancora si può scorgere il vecchio casello
ferroviario di Cardàra ed un altro dove oggi c’è il deposito del punto vendita Garretta (Pirri)
che lui ha voluto ricordare chiamando il suo negozio SCALO DELLE PESCHE (oggi non più
- ndd). Li ricordo bene questi luoghi per due motivi: primo perché il commerciante titolare era
mio padre, secondo perché una mattina mio padre era preoccupato perché, essendo impegnato
altrove, lo scaru sarebbe rimasto scoperto non avendo al momento una persona di fiducia che
potesse gestirlo.
Eravamo già a Ferragosto, in piena campagna. Correva l’anno 1951. Io avevo già compiuto
17 anni e mio padre ancora non si fidava di me per affidarmi un tale delicato compito.
Mentre cercavo di convincerlo che potevo farcela, arrivò un contadino con il suo asino
carico di due gerle di pesche e sua moglie con una capiente cesta sulla testa. Mio padre, dopo
aver salutato il contadino, mi disse: “Mettiti alla prova”, e si mise da parte.
Il contadino aiutò la moglie a liberarsi dalla cesta poggiandola a terra, la moglie aiutò il
marito a scaricare l’asino, poi diedi loro una corda per legarla alla gerla, mentre io presi la
stadera ed il bastone che servivano per pesare, e pesai correttamente. Dal peso lordo tolsi la
tara, e poiché c’erano pesche di piccola pezzatura e alcune anche bacate, d’accordo con il
contadino dal peso netto tolsi anche il 10%. Indi compilai la ricevuta indicando i kg da pagare
e il prezzo (15 lire al kg), firmai e la consegnai al contadino, il quale, a sera, sarebbe dovuto
venire a casa mia a riscuotere quanto dovuto.
Mio padre approvò il modo come gestii quel mio approccio e mi lasciò raccomandandomi
di prestare attenzione anche alle donne che più tardi sarebbero venute a lavorare le pesche.
Non era ancora mezzogiorno quando arrivarono quattro donne, giovanissime, che avevano
il compito di selezionarle dividendole in 1ª e 2ª scelta (allo scopo usavano una tavoletta con
quattro fori di diametro diverso) e trasportarle alla stazione dove su un binario morto sostava
un carro-merci pronto per essere riempito e spedito con destinazione Napoli o Catania.
Per dare l’idea della mole di lavoro e di impiego di manodopera devo dire che soltanto mio
padre spediva un carro-merci con circa 80/100 q.li di pesche ogni due-tre giorni.
Da quel giorno il prezzo delle pesche cominciò a lievitare. Nel napoletano c’era stato un
nubifragio che aveva danneggiato sopratutto le pesche ormai mature. Alcune ditte di marmellate
e confetture varie si riversarono in Calabria in cerca di frutta matura. La Cirio arrivò a Badolato
e stipulò un contratto con Staiano che avrebbe fornito il frutto pronto per la spedizione a 30
lire il kg. Il prezzo delle pesche salì vertiginosamente a 35 lire al kg con grande sollievo per i
contadini che poterono realizzare un lauto guadagno e che già sognavano d’ingrandire i loro
piccoli pescheti. Purtroppo, come spesso accade con le cose belle, questa euforia non doveva
durare a lungo. Nella prima decade d’ottobre cominciò a piovere, piovve tanto che le colline
cominciarono a franare. Torrenti e ruscelli s’ingrossarono tanto che strariparono e distrussero
tutto ciò che di vegetazione esisteva nelle loro vicinanze. Era l’alluvione del 17 ottobre 1951
che danneggiò in modo serio anche parte del paese.
Ricordo bene questa data perché mio padre era a letto febbricitante quando verso
mezzogiorno un contadino, che io conoscevo col soprannome, Peppi ’e Ponzu, bussò a casa
mia. Mia madre lo fece entrare e non appena fu al cospetto di mio padre disse: “Compare
Vincenzo, le pesche non le comprerete più. Sta succedendo la fine del mondo”.
Catanzaro, 22-06-2015


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