Data: 31/12/2023 - Anno: 29 - Numero: 3 - Pagina: 46 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
UN COMPLESSO MUSICALE DI “STRUMENTI A FIATO” |
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Chiese di varie epoche, a cominciare da quella della Sanità, se non è preceduta -come pare- da quella di San Michele di cui rimane parte del rudere a Zangarsa. Di varia grandezza: dalla più piccola, del Carmine, a quella di San Domenico, forse tra le più grandi della Calabria. Di varia dotazione artistica, dalla più spoglia a quelle più ricche, come quella di San Domenico e quella del Convento francescano di Santa Maria degli Angeli. E così via. Per quanto ri guarda il paesaggio, il luogo su cui pog gia la chiesa dalla cupola ottagonale dell’Immacolata è tra i più belli che si possono godere non solo a Badolato, specialmente se ad ammirarlo ci si pone all’altezza di Zan garsa lungo la strada provinciale che por ta a Badolato Superiore, là dove sono realizzati alcuni rustici gazebi. Un paesaggio altrettanto ampio ed eccezionale se ci si pone alle spalle della chiesa stessa, sul Bastione (dell’antica cinta muraria), che in qualche modo la sovrasta consentendo di ammirare in particolare l’originale cupola al centro di una vasta plaga territoriale verdeggiante e geomorfologicamente varia. La chiesa dell’Immacolata è degna di ogni attenzione anche all’interno dove tra l’alto si possono ammirare tre pregevoli tele di Antonio Ceravolo, noto pittore calabrese d’inizio No vecento, e un’interessante Croce detta Aquinate formata su una parete con termini della lingua latina disposti in modo particolare. Eretta nel 1686 e restaurata nel 1859, molto probabilmente è stata convento dei Padri fran cescani conventuali, e ancor prima uno dei tre Cenobi basiliani di cui scrive Padre Giovanni Fiore da Cropani nella sua Della Calabria illustrata, opera ultimata, per sopravvenuto decesso dell’Autore, dal Monaco Fra Domenico da Badolato. Nei secoli è stata per motivi vari tra i luoghi di culto più frequentati in paese. Situata sulla strada che portava dal crinale alla pianura e quindi alla marina, quasi una continuazione di Corso Umberto I, vi passavano accanto centinaia e migliaia di contadini, al mattino di buon’o ra e a sera dopo il tramonto. E per molti era occasione di breve sosta per pregare. “Chiudendo” il paese ad Est, come San Domenico ad Ovest, era, insieme a San Nicola, la chiesa di tutta la gente della Jusutèrra, che era circa il 30% della popolazione. Non è mai stata Parrocchia (ce n’erano già quattro), ma ha sempre avuto una molto attiva Confraternita ed un Sacerdote fisso per ogni festa, per ogni processione, per ogni rito. Per lunghi decenni il Sacerdote che aveva cura della chiesa dell’Immacolata, oltre che la Parroc chia di Santa Maria in Crignetto, è stato, a memoria d’uomo, don Nicola Cosenza (26.1.1877 - 4.1.1969), un uomo della media borghesia, un po’ in carne, claudicante ma con lo stridìo (u cicatipù) alla scarpa che pretendeva dal suo calzolaio. Altro suo “pallino” l’amore per un ca narino, unico in paese, che per lunghissimo tempo è stato prigioniero in gabbia al balcone di casa sua, al Bastione, in vista della sua chiesa: le melodie di quel giallo volatile sono ancora vive nelle mie orecchie in quanto mi capitava spesso, da bambino, di passare da quelle parti. In Dicembre anche in quella chiesa si svolgeva l’usuale rito della Novena in preparazione del Natale. I numerosi partecipanti erano quasi tutti contadini che anche in quelle giornate si recavano a lavorare nei campi, motivo per cui la Novena aveva luogo molto presto, prima dell’alzar del sole, con inizio quando ancora era buio chi vi andava soleva illuminare la strada con torce realizzate usando varavàschji (tasso barbasso), immersi nell’olio d’oliva. Il rito si componeva, ovviamente, anche di canti natalizi, in dialetto e in lingua italiana quasi sempre contaminata, eseguiti quasi esclusivamente dalle donne, con “accompagnamen to” musicale dell’armonium nelle chiese in cui c’era qualcuno che sapesse toccarne i tasti. All’Immacolata l’armonium era muto, ma ci fu un periodo, intorno agli anni Cinquanta dello scorso secolo, in cui la musica non è mancata: è stata garantita da un’orchestrina, di strumenti a fiato, i sonànti, i pifferi rustici fatti in loco e rigorosamente a mano, ma con maestria tale da ottenerne note che non avevano nulla da invidiare al piffero di lusso. A volere l’originale orchestra, ovviamente il Prete don Nicola Cosenza che durante la Mes sa della Novena disponeva l’intervento musicale tre volte, al suo cenno. I pezzi da eseguire venivano preparati dagli “orchestrali” ma certamente concordati con don Nicola. A coordinare, da provetto manager Giuseppe Lentini (Manganèhṛu), il più dinamico della Banda, tanto da meritarsi dagli altri l’appellativo di u trafficanti, aggettivo con cui veniva indicato dagli amici anche in anni successivi, in Germania dove sono stati emigrati per un certo periodo. Lui era il “maestri no”. Chi erano gli altri suonatori, (tutti dai 14 ai 17 anni) che allie tavano la Novena di Natale alla chiesa dell’Immacolata? Eccoli: Camininiti Giuseppe, Capo rale Bruno, Caporale Giorgio, Carnuccio Andrea, Criniti Giuseppe, Lanciano Giacomo, Rudi Venanzio, Schiavone Domenico, Stefanelli Giacomo. Un bel gruppo! Tutti della Jusutèrra. Tutti insieme per soddisfare un’esigenza pastorale del loro Sacerdote, per sentirsi gruppo, per soddisfare l’inconsapevole esigenza di sentirsi parte della Comunità. E tutti capaci di costruire con le proprie mani lo strumento della loro esaltante esperienza musicale. Ma non li costruirono loro, si prese l’impegno un adulto pure lui della Jusutèrra, il bovaro Giorgio Paparo, che, come ogni altro bovaro e pecoraio, nei tempi lunghi in cui le bestie erano stravaccate a ruminare, realizzavano cucchiai per la cucina, forchette e cucchiai magari per le casette di campagna, e altri oggettini utili come regali, e tra questi i “sonànti”, rifiniti e belli a vedersi, ottimi nell’emissione e nella qualità delle note. Non sappiamo quanto è stato in vita l’originale complesso musicale, forse pochi anni. Ma esprimiamo soddisfazione per il godimento che abbiamo chiaramente avvertito nelle parole dell’amico Peppino Caminiti -ormai non cattolico- nel parlarci di quella esaltante storia di settanta anni fa. E noi lo ringraziamo anche per questa bella partecipazione.
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