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UN AFFRESCO: UN RECUPERO
Autore:Vincenzo Squillacioti     Data: 30/04/2019  
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Data: 30/12/2020 - Anno: 26 - Numero: 2 - Pagina: 7 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

VENERE E I SUOI FRATELLI

Letture: 587               AUTORE: Gianni Verdiglione (Altri articoli dell'autore)        

(Rare volte in questo periodico ha trovato spazio il genere letterario della favola. Ma ciò non
è mai avvenuto -lo assicuriamo- per nostra scelta, tantomeno con l’intento di ostracizzare un
genere a volte ritenuto minore, ma che noi riteniamo fantastico, degno di ogni considerazione,
di normale pratica. E non soltanto perché attiene prevalentemente al mondo dei bambini, ma
anche perché sappiamo quanto spesso coinvolga la sfera degli adulti, di ogni età, di ogni ceto,
di ogni razza.
Ciò premesso, abbiamo il piacere di offrire ai nostri lettori una favola partecipataci dal
nostro scultore Gianni Verdiglione, un artista che con la sua narrazione ci invita a riflettere
fantasticando, come gli artisti, forse più degli altri, sanno fare. Leggiamolo.)
Quando eravamo bambini e vivevamo nel paese della nonna al mattino, prima di andare a
scuola, strillavano campane, campanelli e anche i campanacci delle pecore del vicino. Pigramente
mangiavamo la zuppa di latte, con tocchi di pane o con qualche biscotto di nonna rimasto dalla
sera prima.
Un giorno, quel giorno -ah, che giorno quel giorno!- ci accorgemmo subito che il sole non era
ancora spuntato all’orizzonte, cosa strana davvero!
Andammo tutti alle finestre; i gattini di Bianchina miagolavano, in lontananza si sentiva
abbaiare il grande cane Bililly, mentre il coniglietto Cecio si rigirava nervoso nella sua gabbia,
Ugotartarugo, come sempre quando accadeva qualcosa, si era messo in un angolo della cucina,
ritirato nel suo guscio.
Ci vestimmo in fretta e ci avviammo verso la spiaggia con gli zaini sulle spalle; ci andammo
proprio tutti. La strada era rischiarata dalle lucciole che riunite a gruppi sembravano delle
lanterne. Al giorno d’oggi non se ne vedono più, ma un tempo le lucciole illuminavano i vecchi
ruderi e le chiese.
In spiaggia, al debole chiarore della luna e delle stelle guardavamo verso l’orizzonte,
aspettando che il sole sorgesse, ma questo tardava.
Notammo che anche i pesci e gli uccellini erano preoccupati e costernati. Dopo poco arrivò in
spiaggia planando il gabbiano Nino che agitato e balbettante cominciò: “Ma ma cosa succede!?
Cosa è accaduto! Che è successo?” e volò verso il mare a chiamare il giocherellone del suo amico
delfino di nome Zizino.
Zizino arrivò in prossimità della spiaggia fino alla battigia, triste e pensieroso, e noi tutti
bambini gli domandammo: “Perché il sole non sorge ancora?” Lui rispose con un laconico boh e
noi in coro: “Domandalo a Mamma Balena!”. Il delfino Zizino disse al gabbiano Nino: “Allerta
tutti gli uccelli del cielo, quelli che hanno i nidi sugli alberi, quelli che li hanno nell’alto delle
rocce e nelle rupi, proprio tutti e di’ loro che siamo tutti in grande pericolo. Io, intanto, andrò a
domandare a Mamma Balena perché non sorge il sole”.
Dovete sapere che Mamma Balena è vecchissima, anzi antica come il mondo e sul suo corpo
vivono milioni di pesci e milioni di alghe, alcune alte come alberi.
Il gabbiano Nino balbettando incredulo al pensiero della balena, grande, grande come
un’isola, si chiedeva quanto tempo ci mettesse Zizino ad arrivare. Il delfino Zizino partì dalla
spiaggia, nuotò velocemente verso l’orizzonte e non si vide più. Fortunatamente trovò subito
Mamma Balena e sfrecciando tra le alghe attecchite sul suo corpo e chiedendo scusa ai pesci
che vi vivevano in mezzo arrivò proprio dinnanzi ai grandi occhi di Mamma Balena e subito
le domandò perché il sole non fosse ancora sorto, aggiungendo che tutti i bambini erano sulla
spiaggia in attesa e che erano tutti molto preoccupati.
Mamma Balena, coccolando Zizino, cominciò a parlare ed appena aprì la bocca si formarono
delle onde altissime come il Colosseo, il Colosseo di Roma, e disse: “Zizino, cucciolone mio,
il sole si trova addormentato nel più profondo del mare avvolto in un bianco lenzuolo”. Zizino
quindi chiese: “Come nel più profondo del mare?” “Si!”, rispose col suo vocione Mamma Balena,
“Devi sapere che il Sole ha dei fratelli, pianeti come la nostra terra, simili a grossi palloni colorati
e tra essi c’è Venere che è invidiosa di come tutti girino intorno a suo fratello Sole e di come esso
sia amato da tutti, anche dai bambini, mentre lei e i suoi fratelli vengono poco considerati. Sai
Zizino cosa ha fatto Venere? Ha chiamato i suoi fratelli Marte, Giove, Saturno, Mercurio e gli
altri a colloquio. “Di noi i bambini non parlano mai!”, si è lamentata Venere. “È vero sorella!”,
hanno risposto in coro i fratelli, “Ora cosa vuoi fare?”. “Tesserò un grande lenzuolo e quando il
sole si addormenterà in mezzo a qualche nuvola lo avvolgeremo con il lenzuolo legandolo poi
con un laccio e lo butteremo nel più profondo del mare”.
Preoccupato Zizino domandò: “Mamma Balena! Mamma, ora cosa dobbiamo fare per far di
nuovo sorgere il sole?”. Mamma Balena nel rispondere formò un’onda altissima che si diresse
verso la spiaggia dove ci trovavamo, tanto alta che noi per non bagnarci ci allontanammo dalla
riva, e disse: “Zizino, avvisa tutti i pesci del mare; anche loro hanno capito che qualcosa non va
e di’ loro di dirigersi nel più profondo del mare, tenendosi pronti al tuo arrivo”.
Per prima cosa, il delfino Zizino istruì gli uccelli del cielo radunati dal gabbiano Nino: “Appena
tutti noi pesci del mare porteremo a galla il sole, voi preparatevi ad afferrare con i vostri artigli il
lenzuolo volando verso il cielo con forza”. Poi, si diresse verso il più profondo del mare dove lo
stavano aspettando tutti gli altri pesci e disse loro: “Dobbiamo abboccare alle cime del lenzuolo
in cui è avvolto il sole per portarlo in superficie, lì ci stanno aspettando tutti gli uccelli del cielo”.
I pesci dunque s’avviarono. C’erano tutti, intorno al lenzuolo: la sardina, il calamaro, il tonno
che penso fosse proprio quello che con Pinocchio finì nella pancia del pescecane, la seppia che
dalla paura dello squalo che le era accanto e per lo sforzo fatto spruzzò un liquido nero, come
quello contenuto nelle penne, sporcando il lenzuolo e i pesci che le stavano vicino, la cernia
che, diventata grassa, nuotava a malapena, la triglia (quella che dicono che non se la mangia
chi la piglia), la curiosona dell’alicetta che cercò di “spunticàre” una trama del lenzuolo per
vederci dentro e si ritrovò con la boccuccia nera e bruciacchiata, il gambero che invece di tirare
il lenzuolo in su tirava in giù -ha’ voglia a ripetergli che doveva tirare in su, lui testardo tirava in
giù- il pesce luna che era contento perché non si era mai trovato così vicino al sole, lo sgombro
che sembrava vestito da soldato di marina e teneva lontano dal lenzuolo il pescespada che con la
sua bocca avrebbe sennò forato il lenzuolo.
Con grande meraviglia Zizino vide una bella sirenetta, che con le sue graziose manine
sollevava delicatamente il lenzuolo, e subito se ne innamorò.
C’erano tantissime specie di pesci, alcuni mai visti e mai conosciuti. Tutti sollevavano con
impegno, tranne il pesce palla che è veramente una palla. Salendo in superficie i pesci sentivano
il gabbiano Nino che diceva: “Siate pronti pronti pronti. Tu, picchio, non ti avvicinare non ti
avvicinare non ti avvicinare, qualcuno tenga lontano il picchio dal lenzuolo, se lo fora faremo la
fine degli uccelli della polenta”.
I pesci del mare sentivano anche il cinguettio dei passeri e del cardellino, il canto del merlo,
il tubare delle colombe, ma il canto dell’usignolo era sublime; l’aquila aveva sollevato il suo
ciuffo sulla testa e sembrava un generale, il corvo che è sempre di colore nero quel giorno era
di un nero più brillante e vellutato, il falco era pronto e attento con la sua vista potente e da un
bel po’ aveva visto arrivare i pesci che portavano il sole avvolto nel bianco lenzuolo tessuto
dall’invidiosa Venere.
Quando dall’acqua spuntò il lenzuolo, il gabbiano Nino gridò: “Beccate afferrate tirate
afferrate beccate!”. E tutti gli uccelli del cielo afferrarono con gli artigli il lenzuolo e alzarono il
sole verso il cielo. Alcuni uccelli arrivarono in ritardo. Chi erano? Il beccafico, la cornacchia e la
beccaccia che passa sempre alla solita ora come il bus. C’erano tutte le specie di uccelli, ma di
tanti non ricordo più i nomi, vuoi ricordarne qualcuno tu?
Il gabbiano Nino disse: “Attenzione attenzione actunghen hasta la vista. Cerchiamo di non
fare la fine di Icaro, quello al quale, avvicinandosi al sole, si sciolsero le ali che erano di cera,
e precipitò sulla terra. Quando saremo appena sopra la nube, quella tempestosa, liberiamo dal
laccio del lenzuolo il sole e corriamo verso casa senza voltarci indietro”.
Quando stavano per attraversare la nube, quella tempestosa, il pettirosso si mise a pregare
colui che gli aveva regalato col suo sangue quella bella piuma rossa sul petto e tutti insieme
pregarono. Appena superata la nube tempestosa liberarono dal laccio del lenzuolo il sole e come
saette volarono verso i propri nidi, chi a imboccare i piccioncini, chi a covare le uova e chi come
l’usignolo e il cardellino ad allietare le vie dei paesi. Quando la nube tempestosa svelò il sole
sulla spiaggia fummo inondati da una luce e da un calore meravigliosi. Ce l’avevamo fatta, “Batti
cinque: Ok Joe, Ok To’, Ok Ce’, Ok Pe’, Ok Mi’”. Accogliemmo il sole con suoni e canti di gioia.
Ci baciammo tutti ballando, era lì la festa, la fiesta, era tutta una “farra”.
Ma non è finita qui! Con nostra grande meraviglia, vedemmo una montagna spuntare dal
mare. Era Mamma Balena che ci disse: “Solo voi bambini, insieme agli animali di cielo, di terra
e di mare, potevate salvare il mondo.”. Non ho vergogna a dire che per la commozione piansi.
Penso sia stata l’ultima volta che gli uccelli del cielo e i pesci del mare siano andati d’amore
e d’accordo fra loro.
Vicino alla battigia il delfino Zizino ci salutò facendo delle piroette ed altre acrobazie, e andò
verso l’orizzonte sperando di reincontrare la bella sirenetta dalle graziose mani.
Il gabbiano Nino con grande meraviglia si accorse che non balbettava più. Ora, se andassi
in spiaggia, lo potresti incontrare appena tramonta il sole, lungo la riva del mare, rivolto con lo
sguardo a Sud a guardare verso il più profondo del mare…
Oggi, Ugotartarugo, che nonno dava in prestito ai vicini per allontanare i topi e le blatte dalle
cantine, non vive più da noi ma nei cunicoli che attraversano tutto il paese. Ogni tanto sbuca per
mangiare qualche foglia di lattuga nell’orto del mio amico Pepè, e fa sempre sorridere vederlo
giocare a cavalluccio con il suo amico Ranocchio.
Bililly che noi lo chiamammo così perché i suoi due precedenti padroni lo chiamavano l’uno
Billi e l’altro Lilly, aveva continuato a combinarne qualcuna delle sue: qualche volta arrivava alla
falegnameria di nonno con in bocca un intero stoccafisso, rincorso dal venditore ambulante. Lo
consideravo un grande cane. Dopo qualche anno ha avuto sette cuccioli che ora scorrazzano per
le vie del paese insieme ai bambini.
Bianchina, prima d’arrivare a casa nostra, aveva sofferto la fame, i suoi vecchi padroni
amavano solo, “per immagine” i gatti di razza e non le davano da mangiare. D’accordo coi nonni
comprammo un micino siamese, che scambiammo con Bianchina. Quando eravamo in tavola
dovevamo stare sempre attenti che non ci penzolassero le braccia perché lei ci afferrava con gli
artigli le mani pensando che avessimo dei bocconi, ora non va più a liberare dalle pulci i vecchi
depositi, spulciandosi nei prati. Invecchiando perde molto pelo e non esce quasi più di casa, ma
è sempre molto amata e coccolata dai nonni.
Cecio, volendo dire che non stava bene rinchiuso in casa da solo, rosicchiò tutte le sedie della
cucina, allora misi da parte il mio egoismo e per il suo bene, a malincuore lo portai alla “Fattoria
Santa Brigida”. L’ultima volta che lo andai a trovare giocava felice insieme agli altri animaletti.
Da BADOLATO a tutti i BAMBINI del mondo.


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